«Io il più odiato? Semmai sono uno dei giornalisti con più fan, al massimo il più invidiato», dirà Andrea Scanzi durante la nostra lunga chiacchierata, lui che, domani sera, esordisce con la nuova stagione di The Match, il suo nuovo programma sul canale Nove. Il suo sarà un ruolo diverso da quello cui siamo abituati ad associarlo: da pugile dell’arena televisiva, infatti, Scanzi farà “qualche passo indietro”, vestendo i panni ‘inconsueti’ dell’arbitro per un programma, come The Match, incentrato sullo scontro, o meglio, sul confronto.
Già, perché se in Italia siamo abituati a vedere dibattiti – politici e non – trasformati in risse armate da stadio, con The Match Scanzi vuole fare l’opposto, dando voce a personalità radicalmente opposte tra loro, persino inconciliabili, illuminando un palco in cui al centro della scena ci sarà lo scontro, certamente, ma lo scontro ragionato per “accendere il cervello, la vera arma che abbiamo, quella più potente”.
Nuova stagione di The Match, dobbiamo aspettarci nuovi ‘scontri’ al vetriolo come nella precedente?
Si, il format è quello, cambia solo la messa in onda perché per la prima volta andrò sul canale Nove. Lo stile sarà quello, l’arbitro sono io, imparziale ma comunque partecipe perché il mio carattere è quello, non nascondo mai da che parte pendo. Alcuni scontri saranno particolarmente forti: ad esempio quello tra Luxuria e il padre del Family Day, Gandolfini, oppure quello tra lo chef ‘carnivoro’ Vissani e la vegana Martani, saranno due puntate particolarmente forti. Senza dimenticare il grande inizio, con Selvaggia Lucarelli che ha dato delle belle soddisfazioni contro Marco Baldini.
Puoi anticiparci qualcosa della prima puntata?
Si scontreranno due persone affrontando lo stesso tema. Trovo che Baldini per i suoi problemi con il gioco d’azzardo sia stato attaccato, spesso in maniera indelicata e gratuita, mentre le critiche più intelligenti sono arrivate da parte di Selvaggia Lucarelli, che conosco personalmente, e ho voluto che entrambi si scontrassero sul tema della colpevolezza e della ‘guarigione’ riguardo una malattia come è considerato il gioco. Quando, ad esempio, Baldini sistematicamente piange in televisione, cercando di rielaborare la sua ripartenza dopo il gioco d’azzardo, è sincero? Sta davvero intraprendendo un percorso di ‘redenzione’? Questo tema è stato analizzato molto bene sia da Baldini quando da Lucarelli: se le ‘sono date’, ci saranno momenti forti, come il racconto di Baldini del suo tentativo di suicidio, momento in cui mi sono abbastanza atterrito perché ha raccontato l’esatta dinamica. Devo ammettere, invece, che Selvaggia era sempre pronta a capire se le parole di Baldini fossero vere o se stesse cercando la lacrima facile. Sarà una puntata molto avvincente: sono stati entrambi sinceri e senza filtri, hanno perfettamente interpretato quello che sarà il punto centrale di The Match.
Tuttavia, il ruolo televisivo cui solitamente vieni associato è molto lontano da quello dell’arbitro, anzi, di solito sei uno che scende sul ring in prima persona. Come ti sei preparato per questa tua veste ‘inedita’?
Come uno che ama le sfide, raccontando e interpretando un ruolo che di solito non ricopro. Sono certo di essere una persona ‘sfaccettata’, sia nel privato che in televisione: racconto Ivan Graziani a teatro e allo stesso tempo litigo con Sgarbi o, ancora, intervisto Carlo Verdone. Amo molto reinterpretarmi continuamente. The Match per me ha rappresentato una sfida perché ha significato lavorare in ‘sottrazione’, fare qualche passo indietro soprattutto nei momenti in cui vorrei intervenire. Tuttavia, allo stesso tempo, non mi voglio snaturare: non sono Fabio Fazio, non sono Carlo Conti né lo voglio essere. Sono una persona con le sue idee, che se ne vanta pure, orgoglioso persino di ostentare ciò che penso quando mi viene chiesto. Faccio un esempio, quando in puntata ci sarà Luxuria contro Gandolfini, sarà del tutto evidente che prenderò le parti di Luxuria; lo stesso durante la sfida carnivori contro vegani, essendo io vegetariano, pur non essendo un ‘talebano’. Ciò nonostante ho sempre cercato di non prendere il centro della scena, lasciandolo agli ospiti, e per far questo ho preso come punto di riferimento l’esempio smisuratamente bello di Arbasino e del suo Match, programma Rai degli ultimi anni ’70. La mia idea nasce proprio dall’arbitro interpretato da Arbasino: da una parte Montanelli e dall’altra Bocca, Monicelli contro un giovanissimo Nanni Moretti. Arbasino, infatti, senza dire niente di particolare, riusciva sempre a tirare fuori il meglio – ma anche il peggio – dai suoi ospiti, sempre lasciando intuire da che parte pendesse. Io non mi paragono a Arbasino, al confronto di un gigante come lui io sono piccolissimo, ma l’approccio rimane quello: essere sé stessi pur facendo qualche passo indietro.
Il tuo programma si fonda sul confronto: credi sia ancora utile confrontarsi? Lo chiedo perché usciamo da una campagna elettorale in cui confronti – o scontri – fra i candidati non ce ne sono mai stati.
La domanda è molto interessante. Credo che il confronto abbia senso solo laddove sia portato avanti da persone intelligenti, capaci di argomentare con calma e lucidità le proprie posizioni, pur rimanendo ‘di parte’. Faccio un esempio: ci sarà una puntata sulla legittima difesa, da una parte il pro-armi Meluzzi, dall’altra la controparte Diego Fusaro, ed entrambi a fine puntata erano entusiasti di un contesto in cui si potesse realmente argomentare, anche su tematiche spinose. Il confronto ha senso solo se fatto in questo modo, solo se le due parti possono dialogare concretamente. Al contrario, se invece si parla di confronti politici, è un altro paio di maniche: era certamente giusto farli in campagna elettorale – peccato che Di Maio o Salvini non abbiano accettato – ma in quel caso chi parla ha un proprio tornaconto poiché deve convincere il suo interlocutore, ovvero l’elettorato, a dargli il proprio voto in cambio. Ai miei ospiti, al contrario, non interessa il favore popolare, sono liberi di dire la propria in maniera intelligente: in politica, invece, quasi mai trovi persone intelligenti o disinteressate, ed è per questo che il 99% delle volte i confronti politici sono una rottura di palle infinita. La classe politica attuale fa cadere le braccia: che confronto vuoi fare tra Calderoli e Picierno o tra Lombardi e La Russa?
Credi che l’assenza di confronto tra i rappresentanti politici abbia influito sui risultati delle elezioni?
Credo di sì. Bisogna dire che, per chi è in vantaggio, come lo erano Salvini e Di Maio, non aveva alcun senso confrontarsi con gli inseguitori, così come aveva fatto in passato lo stesso Renzi. C’è stato un discorso strategico che si è sempre visto: Berlusconi andava da Santoro solo quando era in crisi, altrimenti non ci sarebbe mai andato, o Renzi quando ha accettato il confronto con Travaglio prima del referendum costituzionale, non gli è andato bene e, infatti, ha perso. In questa strategia, inoltre, c’è sempre un elemento di convenienza: se Salvini o Di Maio avessero accettato il confronto, probabilmente, per loro sarebbe stato un danno. Avevano già convinto la loro fetta di elettorato, non volevano rischiare il fianco e dare qualche motivo alla gente per non votarli. In questa campagna elettorale ha funzionato più l’assenza che la presenza: assenza dai dibattiti da cui spesso i politici escono malconci.
Non credi che, in una società già fortemente spaccata come la nostra, un programma come il tuo, fondato sulla divisione, possa essere ‘pericoloso’?
Il problema me lo sono posto, dato che rimane il rischio di alimentare un Paese sempre più diviso e sempre più tendente alla divisione. Credo che il problema ci sia quando un programma televisivo cerca lo scontro becero a tutti i costi per alzare gli ascolti, e questo non è il caso di The Match, in cui abbiamo cercato più un confronto e non un scontro, tenendo un certo livello qualitativo. Il confronto televisivo ‘classico’ fa leva sulla perversione del tifare: in Italia non siamo più persone che ragionano ma persone che tifano, anche nella politica. Se, ad esempio, Di Maio fa una cazzata, il suo elettorato lo difende a prescindere, come si fa nel calcio. In The Match tutto questo non ci sarà, il confronto sarà ponderato e giustificato dall’opinione di chi interverrà: abbiamo voluto stimolare il cervello e non l’auditel.
Tuttavia, nelle ultime settimane, sei stato protagonista di uno scontro tutt’altro che ponderato, quello che ti ha visto opposto a Vittorio Sgarbi in cui ti ha accusato di essere “la fidanzata del potente”.
In quel caso ero un ospite, sapevo già che gli avrei fatto perdere la testa. Sgarbi è una persona ‘dialetticamente’ molto debole e io sapevo che con quelle quattro parole non ci avrei messo nulla a farlo sbroccare. Sgarbi è molto sopravvalutato da un punto di vista dialettico, parla bene ma con poco contenuto, basta essere più bravo di lui e te lo metti in tasca facilmente. Mi sono divertito molto, l’ho fatto parlare il più possibile, anzi, lo ringrazio così mi compro anche la macchina nuova e già che ci sono due tre Harley nuove. Sgarbi oggi rappresenta il peggio della politica e della cultura italiana: lui ci è rimasto male perché mi stimava e non si aspettava la mia provocazione, che è stata tutt’altro che gratuita. Io lo trovavo una persona intelligente anche se sempre sopra le righe e spesso insopportabile. Negli ultimi mesi, invece, credo sia una persona unicamente cafona, diventata una patetica caricatura di se stesso, insultante nei confronti degli 11 milioni di italiani che hanno votato Cinque Stelle così come del Sud Italia, che accusa di essere “parassitario”. Gli ho detto quello che molti non hanno mai avuto il coraggio di dirgli: che è una prostituta politica di basso livello, non vale neanche Alfano, che non lo vota nessuno e dovrebbe ritirarsi in un eremo. È un uomo morto che non si è accorto della propria morte. Sgarbi dopo quello scontro ha rosicato così tanto che per una settimana mi ha mandato sistematicamente degli sms di insulti, tipo stalker: all’ennesimo messaggio gli ho risposto con parole impietose e, a quel punto l’ho bloccato. Ci è rimasto male perché mi stimava? Io di Vittorio Sgarbi non ho alcuna stima, preferisco ricordarlo da vivo, non come la caricatura postuma in vita che è oggi, in cui il massimo che può fare è la meretrice avvizzita si Silvio Berlusconi.
Leggendo in rete sembra che tu sia uno dei giornalisti con più hater d’Italia.
Nella vita reale di odio ne vedo molto poco e la rete ho smesso di sopravvalutarla tempo fa. Sono una persona più o meno famosa – senza essere Bruce Springsteen, sia chiaro – ed è normale che ci siano persone che mi detestano così come molti che mi amano. Io, al contrario di quello che dici, credo di essere uno dei giornalisti con più fan d’Italia: non ci sono tanti giornalisti in classifica con dei romanzi, che riempiono i teatri tutti i giorni da sette anni, che hanno 420mila fan sui social pur usandoli molto poco. Io faccio ciò che ho sempre sognato di fare, sono famoso come giornalista, come conduttore televisivo, come scrittore, come uomo di teatro, mi sono pure tolto la soddisfazione di andare a Sanremo, sono stato l’unico in Italia ad aver intervistato Roger Waters nel 2017: quando hai raggiunto questi traguardi, quando hai questa fama, fai qualche soldo e non sei manco un cesso – per cui la gente dice “Scanzi deve essere uno pieno di donne”, ed è vero, sono uno che la vita se la gode – è ovvio che ci sono tanti che rosicano. Io non me la prendo, è legittimo, chi è renziano poi mi detesta a prescindere, e ne prendo atto, ma allo stesso tempo ho sempre amato gli intellettuali capaci di dividere. Se nel ’74 ci fossero stati i social Pasolini sarebbe stato l’intellettuale più odiato d’Italia mentre, al contrario, è stato il più grande del ‘900. Io detesto chi vuole piacere a tutti e di chi mi invidia non me ne può fregare di meno.
E con Travaglio ti è mai capitato di litigare?
Non mi è mai capitato (ride, nda). Mi fa molto ridere quando vengo definito “la brutta copia di Travalgio”, rispondo una volta per tutte: quando mi dicono così mi sento come Stevie Ray Vaughan quando gli dicevano che somigliava troppo a Jimi Hendrix. Quando non conoscevo Marco lo ammiravo, ero d’accordo con lui, e il fatto che la gente oggi mi dica: «Dieci anni fa c’era solo Travaglio, oggi ci sei anche tu», non può che farmi piacere. Se tu invece mi dicessi: «Somigli a Sallusti o a Maria Teresa Meli», mi darei fuoco da solo. Per certe cose siamo anche molto diversi: lui in questi giorni sta insistendo con Di Maio perché apra al PD mentre per me sarebbe un suicidio oppure, ancora, lui è juventino e io son milanista, lui è astemio e io senza vino non vivrei, lui fuma e io no, lui è filo-israeliano e io filo-palestinese, lui ama il karaoke mentre io lo detesto, lui ama Renato Zero mentre io Springsteen, la lista delle divergenze è infinita. È chiaro che se ci ascolti solo a Otto e mezzo tutte queste cose non vengono fuori. Nove anni fa ci fu una scaramuccia via sms perché io criticai una puntata di Santoro – non dimentichiamoci che comunque abbiamo due caratterini abbastanza di merda –. ‘Litigata’ durata cinque messaggi e poi fu lui a dirmi: «Andrea, ma di che cazzo stiamo parlando». Non lavoravo ancora con lui e fu lui stesso a volermi nel suo giornale, anche se all’inizio rifiutai. Gli sarò sempre debitore e lo ritengo uno dei miei maestri.
Parlando di musica, invece, uno dei tuoi scontri più celebri è stato quello con Pau dei Negrita. Oggi rifaresti uno scontro con lui in televisione?
Diciotto anni fa lo rifarei: mi faceva schifo l’ultimo disco che avevano fatto, XXX, lo scrissi e lui ci rimase male a tal punto da aggredirmi fisicamente e per questo ha pagato, sia in sede civile che penale. Oggi non lo rifarei perché qualche bel disco i Negrita sono tornati a farlo e in più mi sono molto riavvicinato a Drigo, il chitarrista, con cui sono sempre stato amico in quanto entrambi di Arezzo e entrambi amanti del blues. Spero un giorno di poter riabbracciare anche Pau: sono passati 18 anni, ora ne ho 44, e sono cattivo con chi merita la mia cattiveria e come in passato scrissi male di Jovanotti, oggi non lo rifarei. Con Jova abbiamo addirittura lo stesso veterinario ad Arezzo, anche se continuiamo a far di tutto per non incontrarci, ma sarebbe bello riavvicinarsi sia con lui che con Jovanotti. Se devo litigare preferisco farlo con chi fa il male di questo Paese: va benissimo Sgarbi, Brunetta o Renzi, ma Pau e Jovanotti non sono miei nemici, hanno semplicemente gusti diversi dai miei.
Invece se dovessi scegliere uno scontro da arbitrare a The Match, quale sarebbe quello dei tuoi sogni?
Mi divertirebbe molto Renzi-Di Battista, lo avrei fatto prima del voto, dato che il primo è in declino e il secondo andrà in Sud America. Andando a ritroso nel tempo, invidio Arbasino per aver arbitrato lo scontro Bocca-Montanelli. Tuttavia, mi piacerebbe anche un match dove da una parte c’è Benigni e dall’altra parte ci sono io, durante il quale cerco di capire che diavolo sia successo in questi decenni a Benigni e come abbia fatto a ridursi così quieto, molle, pavido e renziano. Certo, essendo io uno degli sfidanti non potrei arbitrare, ma il giudice ce l’avrei: il Cioni Mario. Che sarebbe molto più incazzato di me col Benigni attuale.