«Roberto Baggio is the best italian player of all time» sentenzia un uomo inglese sulla sessantina. Birretta in mano, t-shirt oversized e physique du role da pub: sta chiacchierando nell’ampio cortile di OGR con una coppietta di italiani che avrà come minimo la metà dei suoi anni. Le solite conversazioni che nascono con un “hai da accendere?” e finiscono con lui che racconta che era lì, alla Chamberlain Hall della Birmingham University, a vedere l’ultimo concerto dei Joy Division il 2 maggio 1980. Pochi giorni prima della morte di Ian Curtis.
C’è da immaginarsi la faccia che avrà fatto il nostro amico una ventina di minuti dopo alla chiacchierata calcistico-musicale con la coppietta. Cioè quando, dopo tre pezzi suonati con l’eccitazione di chi non sale sul palco da quasi un anno, i New Order attaccano con Disorder dei Joy Division. È subito un crescendo di applausi, che aumenta di decibel per ogni step del brano: intro di batteria di Stephen Morris (oh, sempre in forma il ragazzo), poi basso anemico di Tom Chapman che ormai si è perfettamente ambientato nel ruolo di Peter Hook e infine riff di chitarra di Bernard Sumner, giusto per ricordare che non è soltanto il cantante dei New Order ma prima di tutto il chitarrista dei Division.
Ce n’è molti come il nostro simpatico amico nell’immensa sala Fucine di OGR, riempita fino al sold out. Sono fan della prima ora—non spendono troppe energie per nasconderlo, specie se si trovano a parlare con fan che per motivi anagrafici non sono hanno mai vissuto la travagliatissima metamorfosi fra Division e New Order—, perlopiù inglesi o comunque venuti dal Regno Unito per un sabato sera speciale e un restante, piacevole weekend di primavera torinese. Un evento così unico (solo altre due date in Europa, entrambe a Vienna) che ci si è inventati un nome apposta, o meglio una formula. ∑(No,12k,Lg,18Ogr): la sommatoria di New Order, 12 keyboardists alle loro spalle, Liam Gillick con i suoi visual, l’anno dell’evento e il luogo, le immense Officine Grandi Riparazioni a due passi dalla stazione di Porta Susa. Se contiamo quella di Gillian Gilbert quindi fanno 13 tastiere, una sul palco e 12 alle spalle della band, posizionate in altrettante celle che all’occorrenza possono oscurarsi totalmente e far sparire chi sta all’interno grazie a un sistema di flap motorizzati. Sulle celle, Liam Gillick proietta visual astratti e colori acidi, sintetici come le onde a dente di sega generate dalle tastiere.
Viene solo da chiedersi cosa servano nell’effettivo 12 tastieristi più un Joe Duddell che con tanto di bacchettina scandisce il ritmo e dirige l’orchestra digitale (in realtà la risposta arriva con Elegia e Times Change, suonate esclusivamente dai tastieristi) ma di vero c’è che l’ensemble è bello e sta alla perfezione nel contesto OGR. E poi quale posto meglio di Torino può raccontare meglio la fumosa realtà post-industriale di Manchester? La gigantesca fucina culturale della working class che dal secondo Dopoguerra, oltre ai Joy Division (e ciò che ne è venuto dopo), ha generato una fetta fondamentale della musica contemporanea, che va dai Fall agli Smiths, dai Chemical Brothers agli Stone Roses.
Succede così che i battiti di Ultraviolence rimbalzano sulle immense pareti di mattoni e rimbombano proprio come le martellate che un tempo scandivano i turni di lavoro all’interno delle Officine, adibite alla riparazione dei treni. Il resto è un alternarsi di chicche più inusuali come Vanishing Point a classici neworderiani tipo Bizarre Love Triangle. Bernard balla, volteggia sul palco disinibendo ulteriormente un pubblico che già di suo è in fiamme. Qualcuno rischia addirittura di commuoversi quando, appena prima del gran finale affidato a Decades dei Division, Sumner tira fuori il melodica con cui suona il riff di Your Silent Face. Gli anni sono passati anche per i New Order, certo, ma i circuiti di silicio dei synth e le drum machine invecchiano molto più lentamente delle strutture in carbonio delle cellule umane.
Usciamo dalle OGR un po’ rintontiti dalle endorfine come quando allo stadio giocava Roberto Baggio. Con la sottile differenza che stavolta hanno vinto tutti.