Chi non segue abitualmente l’hip hop potrebbe non aver mai sentito nominare Johnny Marsiglia e Big Joe, ma nell’ambiente ormai sono quasi dei veterani. Rapper il primo e produttore il secondo, sono cresciuti entrambi a Palermo, hanno poco più di trent’anni e hanno sempre lavorato insieme, sfornando due dei migliori album degli ultimi dieci anni, Orgoglio e Fantastica Illusione.
Pur amando evolversi e cambiare qualcosa in ogni loro disco, hanno sempre abituato i fan a un rap complesso ed evocativo, pieno di contenuti, morbidamente appoggiato su beat dai campioni soul: non proprio quello che va per la maggiore oggi, insomma. Forse anche per questo, l’annuncio del nuovo album Memory, uscito il 18 maggio, ha un po’ destabilizzato le certezze di molti. Innanzitutto, perché esce per Sto Records, l’etichetta di Ghali e Capo Plaza, nota per tutt’altre sonorità; secondariamente perché il nome che compare in copertina, nei video e nei comunicati è solo quello di Johnny.
Fortunatamente, già dal primo ascolto è chiaro che non è cambiato nulla. L’album, con le evoluzioni e le novità del caso che i due amano molto sperimentare e applicare, è meraviglioso come tutti speravano fosse; e Big Joe non solo l’ha prodotto interamente, ma è seduto di fianco a Johnny, a rispondere alle domande di questa intervista da co-protagonista e non da comprimario.
Possiamo dire che questo non è un album solo di Johnny Marsiglia, ma (come sempre) di Johnny Marsiglia e Big Joe?
J.M.: Sì, assolutamente. Magari non è specificato nella grafica, ma è un disco di tutti e due, al 100%. Anche perché non riesco a immaginare un mio album prodotto da qualcun altro, o magari un mio album solista con beat di tanti produttori diversi: ormai siamo un team rodatissimo, non abbiamo neanche bisogno di parlare per capirci. Siamo cresciuti nella stessa città, con gli stessi gusti e le stesse opinioni, e ancora oggi condividiamo tutto.
B.J.: Oltretutto siamo amici veri da una vita, non facciamo solo musica insieme.
L’annuncio della firma con Sto Records è arrivato abbastanza inaspettato per i vostri fan…
J.M.: Quando abbiamo iniziato a lavorare al disco pensavamo addirittura di autoprodurcelo, ma col passare dei mesi hanno cominciato a contattarci varie realtà che si mostravano interessate al progetto. Tra agosto e settembre, quando il 60% del disco era già pronto, abbiamo conosciuto i ragazzi di Sto, che ci hanno subito trasmesso grande fiducia.
B.J.: Credo che abbiamo trovato la realtà giusta, e lo abbiamo capito subito: ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti “Questi ragazzi sanno il fatto loro”. Certo, era una bella sfida, ma l’abbiamo accettata volentieri. Amiamo le sfide.
J.M.: Infatti. Una delle cose più fighe è uscire con un’etichetta come la loro con un disco come il nostro. Il fatto che si siano mostrati interessati a un prodotto come Memory ci ha motivato tantissimo. E anche il pubblico sembra essere d’accordo.
Siete noti per rinnovarvi a ogni album, e Memory non fa eccezione. Cosa vi spinge a esplorare ogni volta nuovi territori?
B.J.: Credo sia un nostro punto di forza, sia dal punto di vista del suono che delle liriche. Io e Johnny adoriamo tutti i sottogeneri del rap e cerchiamo sempre di deviare un po’ dalla strada maestra, divertendoci a fare cose diverse.
J.M.: Gli artisti che amiamo di più sono quelli che ci fanno pensare “Chissà cosa si è inventato stavolta!”. Ci piace farci stupire, e automaticamente cerchiamo di fare la stessa cosa, pur mantenendo la nostra identità.
Partite già con un piano d’attacco o vi lasciate guidare dall’ispirazione?
B.J.: Più la seconda. In questo caso siamo entrati in studio semplicemente con l’intenzione di registrare un nuovo album, e dopo un po’ ci siamo resi conto che stava prendendo una direzione ben precisa.
J.M.: All’inizio andavamo per tentativi, ma la linea da seguire è emersa quasi in automatico insieme al tema portante del disco, che è la memoria.
In Tempi d’Oro dici “Quello che mi ha segnato l’ho cercato da me”…
J.M.: Chi sceglie la creatività è sempre alla ricerca di qualcosa: l’ispirazione, la motivazione, la voglia di fare sempre meglio.
B.J.: O più semplicemente qualcosa che non sai cosa sia, ma che sai di non dover smettere di cercare.
J.M.: Si ricollega al discorso sul rinnovamento, in effetti. Il fatto che la gente noti che cerchiamo di cambiare ed evolverci un po’ in ogni nuovo album ci fa molto piacere.
La sensazione è che è l’album più personale che abbiate mai fatto: è effettivamente così?
B.J.: Secondo me è sicuramente l’album in cui Johnny si è aperto di più. Anche senza volerlo, forse: era come se i beat gli evocassero certe tematiche.
J.M.: Abbiamo sempre pensato che nella musica più le cose sono spontanee, più funzionano. Magari non è così in assoluto, ma sicuramente è vero per il nostro modo di lavorare. Anche in questo caso è andata così.
Nella prima traccia, Clessidra, dici “Spacciarti per chi non sei è moda”. Chi sei, e soprattutto chi non sei, quindi?
J.M. Credo che emerga molto chiaramente dal disco, in cui racconto tutto, dalle esperienze più semplici e banali della nostra crescita alle cose importanti. Basta ascoltare bene le liriche per inquadrarci, forse.
Parli molto anche della tua famiglia, che racconti attraverso immagini molto vivide e ricordi. Cos’hanno detto quando hanno ascoltato l’album?
J.M.: Appena ho chiuso il master del disco l’ho passato a tutti i miei fratelli – siamo in cinque: mia sorella maggiore, io, un fratello classe 1989 e due gemelli nati nel ’92 – che lo stanno ascoltando in loop da novembre. Darglielo subito mi è sembrato quasi obbligatorio, un po’ perché loro mi hanno visto iniziare con il rap e hanno seguito tutta la mia crescita musicale, e un po’ perché sapevo che certe barre li avrebbero emozionati. Ma, anche se è un album parecchio intimo, spero che molti possano riconoscersi in quello che dico, perché in fondo racconto esperienze abbastanza comuni, quotidiane. E spero che riesca ad emozionare gli altri almeno la metà di quanto ha emozionato i miei fratelli.
Esattamente a metà del disco c’è l’interlude Memory, in cui rendete omaggio a diverse realtà ed entità, dal vostro vecchio gruppo Killa Soul a Primo Brown dei Cor Veleno, scomparso nel 2016…
J.M.: Ci è uscito come un flusso di coscienza, in freestyle, ma abbiamo capito che funzionava e abbiamo deciso di tenerlo come spartiacque.
B.J.: All’inizio doveva essere una ghost track, ma poi abbiamo deciso di usarla per separare le due metà del disco: è una divisione immaginaria, che magari non risulta tanto a chi ascolta, ma che per noi è nettissima.
J.M.: I nostri album hanno sempre una costruzione un po’ particolare, anche all’interno delle singole tracce: se ci fai caso nei beat ci sono spesso delle variazioni che cambiano completamente il tiro.
Ogni tanto arricchite anche l’insieme con altro materiale, come la nota vocale dei bambini che avete inserito alla fine di Passione.
J.M.: Sono le mie nipoti. Siccome il legame con la mia famiglia è uno dei temi portanti del disco, ho voluto includere alcuni loro messaggi vocali di Whatsapp. Abbassa un po’ il livello di street credibility, nel senso che il classico fattore “Io-sono-un-rapper-e-spacco” non è molto presente in Memory, ma va bene così!
Tornando agli omaggi, in un pezzo onirico e totalmente weird come Storie citi letteralmente un verso di Aspettando il Sole di Neffa: “Fumo un po’, sposto via la tenda”. Come mai?
B.J.: Ora come ora è difficile che qualcuno riesca a cogliere la citazione, visto che quel pezzo è uscito nel 1996 e molti fan del rap sono giovanissimi, ma ci tenevamo un sacco a farlo.
J.M.: Non c’è un vero motivo per cui è lì, in realtà: mentre lo stavo scrivendo mi è venuta fuori così, suonava bene e alla fine l’abbiamo tenuta. È stato Joe a spingermi a chiudere quel pezzo: il beat era incredibile, con un campione tradizionale e la batteria 808, e io avevo scritto la prima strofa direttamente in studio. Non mi convinceva tantissimo, ma lui era talmente preso bene che alla fine ho scritto anche il resto, e oggi è uno dei miei pezzi preferiti dell’album. A chi ci segue abitualmente forse suonerà un po’ strano, ma siamo sicuri che dal vivo sarà uno di quelli che renderà di più.
Un altro brano che suona un po’ strano è Fan, in cui parli del tuo fan n°1 esaltandolo in tutti i modi possibili. Non si capisce bene se è una metafora o se stai parlando davvero di qualcuno, però: ci illumini?
J.M.: Il fan che descrivo nelle strofe – quello che non si perde un live in città, che mi supporta sempre, che darebbe la vita per me – è una persona reale, che svelo tra le righe nell’ultima strofa: “Vuole vedermi tornare felice di ritornare / che il mio talento sia il mio pane / non vi nascondo che mio padre è il mio fan il mio fan numero uno”. Ci piaceva l’idea di dedicare un pezzo a lui, ma in un modo e su un beat che di solito non si usano per un pezzo così personale e sentimentale.
B.J.: Johnny in passato aveva già fatto un pezzo dedicato a sua madre, un altro a me… Abbiamo pensato che in quest’album dovevamo per forza inserirne uno per suo padre!
J.M.: Anche perché negli anni ha iniziato davvero a crederci, nella nostra musica: veniva ai concerti a Palermo e vedendo che tutti sapevano i pezzi a memoria ha cominciato a capire e a supportare incondizionatamente questa passione, che all’inizio non capiva tanto.
Cos’ha detto quando ha ascoltato il brano?
J.M.: Non gliel’ho ancora fatto sentire, non è ancora capitata la situazione giusta: preferisco aspettare un momento speciale.