Filippo Timi, 47 di piede, cammina – anzi, volteggia – sul tacco 10 meglio, molto meglio della stragrande maggioranza delle mie amiche. E di me, naturalmente: “Avevo scarpe proporzionate ma il segreto dell’agilità è il mio passato da campione di pattinaggio artistico. Impara l’arte e mettila da parte”. Niente – penso – sarà per la prossima vita. Sorride. Avrei volto voluto vedere Favola a teatro gli dico, lo replicherete? “No no, ho appeso i tacchi al chiodo! È una faticaccia!”.
Vedere questa dissacrante e surreale black comedy al cinema per credere. Nella versione per il grande schermo della pièce che ha scritto nel 2011 Timi interpreta Mrs. Fairytale, casalinga nella provincia americana degli anni Cinquanta, che sembra uscita dai film di George Cukor e Douglas Sirk. La trama la riassume lui meglio di chiunque altro: “È la storia di emancipazione di due donne che si innamorano e riescono a superare i ruoli imposti dalla società. Ne succedono di ogni: ad certo punto al mio personaggio spunta il pisello. E questo è un bello scoglio (ride), perché lei è pure incinta. Come ne parla al marito? Cosa succederà?”.
Diventare una donna è stato “Doloroso fisicamente – il bustino ti sposta gli organi interni, la parrucca ti tira la faccia tipo lifting – ma anche emozionalmente. Mi ha fatto scattare una fierezza che da uomo davo per scontata. Ero molto più sensibile, anche agli occhi delle persone intorno, come se ne avessi già subite troppe, bisognava stare attenti a farmi dei commenti. Per capire, consiglio a ogni uomo, almeno una volta nella vita, di indossare un bustino anni ’50, andare per strada e subire gli sguardi del mondo”. Perché ti premeva così tanto questo tema dell’emancipazione femminile? “È quello che trascinerà qualsiasi cambiamento: arrivare a capire che non esiste più, nemmeno in famiglia, una divisione tra chi porta i pantaloni e chi porta la gonna”.
Bisogna essere meravigliosamente folli per vedere pochissimo e scrivere romanzi come Tutt’alpiù muoio, dipingere persino, bisogna essere meravigliosamente folli per balbettare e non solo fare l’attore, ma farlo ai livelli di Filippo Timi: “Anziché implodere ho preso queste problematiche e ho provato a dargli amore ed energia. Quando leggo un copione per la prima volta con gli altri attori balbetto moltissimo, ma non me ne vergogno più. So che il rischio sparisce dopo aver imparato a memoria e interiorizzato le battute”.
A volte la balbuzie ritorna: “O non mi appartiene quel momento e non ho capito bene che sentimento abbinare a quella battuta, oppure semplicemente al mio inconscio non piace” e succede quasi sempre su scene brevissime: “Capita che i registi cambino le parole magari esasperati al 27esimo ciak (ride): è successo in Come Dio comanda con Salvatores. Tutte le scene complesse sono andate benissimo, poi per la sequenza nel furgone una frase non mi veniva e Gabriele mi ha detto: “Trasformala, falla tua”. Ed è uscita”.
Timi è una delle personalità più multiformi dello spettacolo italiano: “Per fortuna” dice lui. E quando gli chiedi di definirsi risponde: “È ciò che provo a non fare, ma non per scappare a un incasellamento, ma perché credo che dentro ognuno di noi ci sia un ventaglio di possibilità”. A proposito di definizioni, Timi è un sex symbol per le donne e, soprattutto dopo le foto super rock di Butt, anche un’icona per il mondo gay: “Io non mi sento né un né l’altro perché sono cose che ti vengono dette. Probabilmente sono entrambi. E va bene così. Se c’è qualcuno a cui non va bene, mi spiace, ma non è un problema mio” sorride.
Favola ha aperto il Festival MIX di Milano, dedicato al cinema gaylesbico e alla queer culture. Cosa pensa Timi del nuovo governo e del nuovo Ministro della Famiglia? “Io non penso, nel senso che faccio l’attore. Mi esprimo attraverso i film e questo finisce con un lieto fine, con una nascita piuttosto sorprendente e un’amorevole famiglia arcobaleno. E siamo agli inizi degli anni ’60, nella storia. Eccola, la risposta è in Favola”.