Uganda, Sudamerica, Londra, Barcellona, Milano: Hell Raton è in movimento perpetuo. Il viaggio di Manuel Torres è una missione senza regole e contro ogni confine, la ricerca di una visione musicale capace di conciliare le sue radici con il volontariato che lo impegna da anni, la drum’n’bass con la solidarietà, Milano con gli slum di Kampala.
«È una promessa che mi sono fatto», dice. «Qualcosa si era già mosso con l’etichetta Machete e la beneficienza per le vittime dell’alluvione (4 rime per la Sardegna, nda). Ora che il nostro status è tale da poter dare l’esempio, non possiamo star fermi. Non posso farlo completamente con la musica, perché è la mia valvola di sfogo, ma con Hellmuzik sì». Il suo nuovo progetto è un po’ sito d’informazione, un po’ etichetta discografica: un punto di riferimento per la bass culture italiana e internazionale. «Nei festival inglesi di drum and bass c’è sempre il banchetto della solidarietà, c’è la volontà di aiutare chi ha perso una casa, chi non ce la fa. Questo spirito è ben presente in Hellmuzik».
L’Italia, mi spiega Hell Raton, è ricca di produttori quotati all’estero ma poco considerati a casa. Realtà frammentate, poco propense a unirsi in una scena. «È un problema di radici, è una cultura che nasce isolana ma sta cambiando proprio in questo periodo. Certo è musica diversa dal rap, è più difficile identificarsi con una strumentale, il testo rende tutto più accessibile. Quello dei due generi è un percorso paragonabile, ma qui voglio dare spazio alla musica, non a un rap game che non appartiene a quel mondo». Come un rabdomante, ma con le cuffione e le sneakers, il produttore drum’n’bass è prima di tutto un esploratore del suono, uno sperimentatore.
«Con il rap mi diverto già con Machete, ora voglio dare spazio a un genere con realtà incredibili. Uno dei progetti a cui vorremmo dedicarci è quello con Dj Ardi, artista non vedente che fa anche l’Mc e parla cinque lingue. Ha una sensibilità sconvolgente, un personaggio perfetto per Hellmuzik».
Hell Raton ora è al lavoro sul suo prossimo progetto, un disco complicato come tutti i cambi di direzione, che non può permettersi di chiudere con troppa fretta. «Sto prendendo il tempo necessario per fare qualcosa che mi rispecchi completamente, appena posso mi rinchiudo in studio qui a Milano». E come fanno a convivere sala d’incisione e viaggi all’equatore? «Ho bisogno della natura, ho iniziato a correre per ossigenare le idee. Per fortuna ho trovato adidas e un gruppo con cui esercitarmi. E poi, se devo dire la verità, sono un fanatico di Pharrell Williams, non potevo dire di no».
Si riferisce ovviamente ad adidas runners, un movimento globale dove chiunque può allenarsi, sia per divertimento che per agonismo, con piani personalizzati e servizi esclusivi insieme a coach ed esperti. Per Hell Raton la corsa è un modo per ritrovare l’equilibrio psicofisico, perfetta per prepararsi al meglio sia per il lavoro in studio che sul palco. «Se ci pensi è come la musica: la dedizione è tutto, e arrivare a finire una maratona non è diverso da prepararsi per un live di un certo livello».
All’inizio in cuffia c’erano Fatboy Slim e Chemical Brothers, ora sonorità africane, latine e chissà che altro. «All’inizio mettevo la roba giusta per caricarmi, poi si è intrufolata la musica della mia ricerca, quella che mi ha portato a viaggiare negli ultimi anni. È la ragione per cui tornerò a rappare in spagnolo. Ho ritrovato le mie origini».