Piano City Palermo ci ha scritto per invitarci a partecipare alla preview del festival che si terrà dal 5 al 7 ottobre nel capoluogo siculo. Solo che Piano City, giustamente, non sa chi sono e in che stato mi presenterò.
Nell’ultima settimana, in ordine, ho avuto tre giorni di febbre alta che mi ha sdraiato inerme nel clima desertico dell’estate condominiale, perso un amico in un incidente stradale, suonato a due feste e a un after pensando solo a lui, lasciatomi con la ragazza e, il giorno prima di partire, partecipato al funerale sotto un diluvio fuori stagione.
Sono in stato confusionale, come se mi fossi preso un cartone senza più riuscire a farlo scendere. Con questo clima metto la sveglia alle 6am e alle 7.30 sto congelandomi in pantaloncini corti all’entrata dell’aeroporto di Caselle. Mi sento un verme mentre goffo mi infilo dei jeans nei bagni pubblici con l’ansia di far cadere i Ray-Ban nel cesso. Mi sveglio di colpo in aereo quando chi mi siede di fianco decide di essere da Sephora e provare tutti i profumi proposti dal team RyanAir. Soffocamento da cloroformio: svengo. Mi risveglio all’atterraggio, sbattendo la testa contro il finestrino.
Palermo: Traffico Traffico Traffico, aveva ragione lo zio di Johnny Stecchino. Dicono che il giorno prima sembrasse Bombay, oggi un leggero venticello mi tiene in piedi mentre cerco un bar tra le serrande abbassate per il Foro Italiano. Tutto chiuso. Dicono sia per la siesta, ma sono le 11.30 del mattino.
Piano City mi invita a pranzo con colleghi educatamente vestiti. Io mi presento in look da mare con pantaloncini corti e calzette verdi matchate su delle sneakers che mi fan sentire subito cool ed emarginato. ‘Puoi, sei Rolling Stone‘ mi incita il collega de La Stampa. Quando sono l’unico a ordinare del vino, la giornata sembra allungarsi e disperdersi.
Il piano previsto è un tour di location papabili per il festival. La prima sosta è a Palazzo Butera, uno di quei palazzi palermitani-wow in cui una coppia di collezionisti d’arte, i Valsecchi, hanno deciso di stanziare la propria importante collezione dopo la trattativa fallita con il Mudec di Milano. Il restauro è ancora in corso, ma il potenziale è palese. C’è una torre di 25 metri che dà su tutta la città e su una nave di Costa Crociere.
Veniamo trasportati a Danisinni, piccolo e difficile rione (termine che subentra quando inizi a essere sbeffeggiato da ragazzelle che a coppie, senza casco, girano in cerchio come squali intorno alla piazzetta centrale) dove, appena fuori dall’orto sociale, veniamo raggiunti da un prete francescano in vespa e barba hipster, che saluta tutti con un sorridente ‘pace e bene’. A me dice solo pace, e solo quando ci congediamo.
Torniamo in riva al mare dove a Palazzo Forcella De Seta mi perdo tutte le spiegazioni del caso rapito da una video installazione curata da Manifesta 12, Biennale nomade europea di arte contemporanea con cui Piano City collabora e condivide alcune location del festival. Il video è girato con un drone e in un lento incedere ci porta da un meraviglioso prato siciliano, attraverso un contesto naturale bucolico, fino alla cima di una collina dove imperano due radar NATO. Devo fare tantissima pipì ma in tutte queste location non si trova – o non c’è – il bagno.
Quando il mal di testa mi ritrova, ci stiamo infilando all’interno del teatro dei pupi dei figli d’arte Cuticchio. Per intenderci, l’opera dei pupi è una tipologia di teatro delle marionette (tipicamente siciliano) con protagonista le vicende di Carlo Magno e i suoi paladini, patrimonio orale e immateriale dell’umanità per l’UNESCO. Veniamo introdotti al mondo del pianino a cilindro da Giacomo Cuticchio, nel piccolo teatrino di famiglia ampiamente decorato da maschere, dipinti, poster. L’effetto, per me, è un po’ quello di essere davanti ad un clown dopo aver visto IT. A me però ogni paladino ricorda Chucky la Bambola Assassina. Brividi personali a parte, Giacomo è magnifico e tra recite, sonate e spiegazioni mi fa venir voglia di tirar giù un bel torrent di Chucky.
Torniamo in hotel. Mi allontano per andare a vedere l’Orto Botanico di Palermo, dove in mezzo ad altre installazioni per Manifesta 12, faccio conoscenza con un ficus talmente grande che per sorreggere i suoi rami, costruisce dei rami-ponteggi per sostenerne il peso. È emozionante. Faccio tardivamente pipì.
Mi butto in piscina, non penso finalmente a nulla e così tardo l’appuntamento e arrivo alla chiesa di Santa Maria dello Spasimo appena in tempo per la preview di Piano City: un concerto, piano solo, di Alberto Pizzo, pianista partenopeo di cui divento subito fan grazie alla sua terrificante scelta di outfit, contraltare della sua capacità tecnica in grado di regalare, ai duecento presenti, una serata piacevole in una location magica. Perché la chiesa dello Spasimo è un luogo mistico, senza tetto e con un albero solitario che cresce all’interno delle mura. Poesia sonora a parte, finisce che in duecento ci lanciamo su tartine e spumante in educatissime ed estenuanti guerre per le focaccine.
Usciti, mangiamo una pizza in una gelateria ma è già oltre mezzanotte. Rientrati in albergo, concludo la giornata con un capolavoro anni ’90 che sembra il giusto film per questo periodo: Final Destination.
La mattina ho tempo per un tuffo e una colazione di pane e panelle prima di partire per l’ultimo appuntamento: il Castello di Maredolce, di origine araba, ennesima opera recuperata dalla volontà cittadina in questi ultimi vent’anni.
C’é ancora tempo affinché io mi innervosisca per il mancato uso della cintura di sicurezza da parte del driver e, appena me ne accorgo, un bambino seduto a fianco a me in aereo sta facendo il sudoku. Recupero l’auto, che ho fatto lavare internamente in uno slancio di igienizzazione, per scoprire che mi hanno rovinato l’autoradio e ora funziona a scatti. Rincaso esausto sotto un sole arabico.
Magari penserete che non era necessario scrivere anche i cazzi miei in questo breve reportage. Ma ogni festival, ogni viaggio, ogni città e concerto è visto e vissuto con il filtro di chi partecipa. Ho partecipato ai più importanti festival europei e ho capito che, a volte, una città, come Palermo, e un festival, come Piano City, possono farti dimenticare tutto per la quantità di bellezza che ti propongono. Non so chi abbia deciso di fare Piano City a Palermo, ma la città sembra essere fatta apposta per questo. Per ora non si sa altro che la data. Ma può bastare, ora non mettiamoci a fare gli esperti di pianoforte.