Il cinema di Taylor Sheridan (Sicario come sceneggiatore, Hell or High Water e Wind River anche come regista) si basa su elementi semplici: cowboy laconici, la relatività della legge in alcune zone di frontiera, il rapporto tra i nativi americani e chi ha sottratto loro la terra, e un generale interesse verso chi si ribella allo Stato centrale. Si potrebbe usare il termine “western moderno”, se non portasse alla mente un tipo di storie tanto codificato da essere sinonimo di mediocrità. Le storie di Sheridan, invece, a oggi hanno avuto la doppia qualità di essere semplici e fresche, originali.
Questa volta, forse, l’autore esagera un po’ con gli ingredienti. Ambientata nell’immenso Montana rurale, Yellowstone (dal 13 marzo su Sky Atlantic e in streaming su NOW TV) ruota intorno alla famiglia Dutton, proprietaria del maggiore allevamento di bestiame degli Stati Uniti, di cui tutti – compagnie petrolifere, nativi, immobiliaristi – reclamano una parte.
Ma John (Kevin Costner), il patriarca, non è portato al compromesso ed è disposto a tutto pur di mantenere lo status quo. Vedovo, ha cresciuto i figli con la stessa fermezza con cui gestisce il suo impero: stiamo parlando di uno che ha l’abitudine di marchiare a fuoco gli uomini tanto quanto le bestie.
In una parte che sembra tagliata per lui, Costner, che è anche produttore esecutivo, è convincente nella parte del cowboy che mette la proprietà e la famiglia (in quest’ordine) prima di ogni altro valore. I suoi figli sono monodimensionali e non molto interessanti, ma per fortuna c’è Cory, il figliol prodigo che ha sposato una nativa (la bella Kelsey Asbille) e vive in una riserva con lei e il figlio meticcio. Nella guerra che sta per esplodere, ognuno dovrà scegliere da che parte stare.
Yellowstone è tante cose insieme, e per certi versi ricorda la seconda, incasinatissima stagione di True Detective (che ad alcuni comunque è piaciuta). Certo, non è Fargo, per citare un’altra serie che mette al centro la violenza e le conseguenze dalla brama di potere. Ma è spettacolare dal punto di vista delle immagini e ha dentro parecchie idee d’autore. E riesce a porre allo spettatore la domanda fondamentale del western: io che cosa avrei fatto, in quella circostanza? Chi ha un debole per i fallimenti in grande stile dovrebbe dargli una chance.