Roland Loomis, in arte Fakir Musafar, è morto ieri a Menlo Park, California. Aveva 87 anni. Lo ha annunciato su Facebook Cleo Dubois, sua moglie. Artista, sciamano, master piercer, è considerato un guru delle sottoculture e il padre del movimento dei Primitivi Moderni, che a partire dagli anni ’60 ha riportato in voga la modificazione corporale, il piercing, i tatuaggi, la sospensione, la scarificazione e il dolore fisico – o meglio, il superamento del senso di dolore – come forma di espressione personale ed elevazione spirituale.
Era nato nel 1930 ad Aberdeen, South Dakota. Si racconta che avesse praticato su se stesso il primo piercing (sul pene) all’età di 13 anni, e avesse iniziato a modificare il proprio busto con un corsetto fin da giovane, per arrivare a risultati in stile Dita Von Teese verso i quarant’anni, come testimonia una delle sue foto più famose, The Perfect Gentleman, del 1959. Verso la fine degli anni ’60 mise in pratica i propri studi antropologici con le prime pratiche di sospensione tramite ganci nella pelle. Negli stessi anni il film Un uomo chiamato cavallo, con Richard Harris, in qualche modo colse lo zeitgeist in una scena memorabile.
Laureato in Ingegneria elettrica, con un master Scrittura creativa, Musafar ha lavorato a lungo come dirigente in diverse agenzie pubblicitarie nell’area di San Francisco, per poi fondare la propria società nella Silicon Valley. È stato anche insegnante di ballo.
Nel 1977, Musafar si è rivelato al mondo in occasione della International Tattoo Convention a Reno, Nevada. Da allora, ha continuato a praticare rituali tribali e a insegnare al mondo la sua esperienza di body play, come la definiva lui, apparendo in numerosi programmi televisivi e documentari, e tenendo conferenze presso università e festival artistici.
Nelle foto, quello che colpisce è l’assoluta normalità di Musafar, un signore dal sorriso gentile che per tutta la vita, senza mai scioccare nessuno se non i benpensanti e i bigotti, ha sperimentato con i limiti del proprio corpo e della propria mente. Sempre in nome della sacrosanta libertà dell’uomo di fare il diavolo che gli pare, nei limiti del rispetto altrui.