Vi chiedo uno sforzo enorme: mentre leggete questo articolo ricordatevi che siamo nel 2018. So bene che bombardati da un mondo di vaccini opzionali, ritorno alla leva obbligatoria e supremazia razziale, è difficile ricordarsi di essere – da quasi vent’anni – in un altro millennio.
Non siamo nel Medioevo. Questa è la frase che CRLN, cantante marchigiana di Macro Beats, etichetta che negli anni ha lanciato talenti come Ghemon e Mecna, si è trovata a dover rivolgere al pubblico dell’Indiegeno Fest a Patti, in Sicilia. Perché come si può pensare di essere nel 2018 se il pubblico passa tutto il tuo live a riempirti di ollèlè ollàlà faccela vedè faccela toccà e insulti sessisti di ogni genere? Ok, riavvolgiamo il nastro.
L’Indiegeno Fest ha in programma il live di Gemitaiz, Frenetik&Orang3 e CRLN. Siamo nella serata rap di un festival che, negli altri giorni, ospita artisti come Cosmo e The Zen Circus. Il pubblico arriva per Gemitaiz e non ha la cultura per capire di essere all’interno di un contenitore più ampio, non realizza il contesto, non capisce che può ascoltare e apprezzare qualcosa che sia altro rispetto al proprio idolo. E appena CRLN sale sul palco, le vene dell’ignoranza scoppiano fomentate del rituale collettivo, da quell’idea bambinesca del gruppo. Si sentono forti, e volano insulti sessisti durante la performance. Partiamo da un presupposto: non tutto il pubblico rap è fatto di ragazzini accaldati, generalizzare sarebbe un errore colossale. Ma sta di fatto che questa situazione, per CRLN, era già accaduta due estati fa al Mind Festival con il pubblico di Marracash. Questo significa che nel pubblico rap/trap c’è un problema di cui bisogna discutere.
Chiamo CRLN e le chiedo un resoconto di quell’esperienza. Me lo riassume in una serie di immagini: “L’ordine di lasciare il backstage appena scesa dal palco, l’attesa paragonabile a quella di un agnellino che sta andando al macello, il confronto con un pubblico stanco e impaziente che attende di vedere il proprio idolo, i cori sessisti, gli “ollellè ollallà, faccela vedè, faccela toccà”, gli “apprezzamenti” di gruppo, il taglio di 4 pezzi del repertorio, la voglia di scappare da lì sopra il prima possibile, la sensazione che ti stanno in qualche modo violentando”.
Forse la frase finale devo riproporvela per capire cosa può provare una donna quando si sta aprendo con la propria arte e viene aggredita verbalmente da un nutrito gruppi ignoranti: “la sensazione che ti stanno in qualche modo violentando”.
Come due anni fa, nessuno degli artisti coinvolti – né il giorno stesso, né i giorni seguenti – si schiera a supporto di CRLN, mancando volontariamente di supporto e solidarietà.
Contatto Gemitaiz: “Mi hanno detto dell’accaduto quando ho finito di suonare, nel backstage. Ovviamente mi dispiace per la ragazza. Purtroppo i giovani non si rendono conto. La maggior parte dei miei colleghi chiama le femmine troie o bitches, non credo ci sia molto da aggiungere.”. Quando gli chiedo se, a suo parere, l’artista ha il dovere di educare il proprio pubblico al rispetto, la risposta è “Si fa quel che si può”. Un po’ poco. Anche perché da Gemitaiz mi aspetto qualcosa in più. Schierarsi apertamente contro Salvini, ma non supportare una collega che viene violentata verbalmente dal tuo pubblico, è un’occasione persa per dare un messaggio enorme. Sarebbe bastato uno status, una story, un gesto piccolo ma, a suo modo, estremamente potente e mirato. Perché CRLN non è stata fischiata come una qualsiasi apertura non apprezzata (quello fa parte del gioco da prima ancora dei pomodori lanciati sul palco), ma è stata vittima di gretto bullismo sessista. Ricevere dei bu è un conto, ricevere dei troia è tutta un’altra storia.
Concordo con Gemitaiz su un passaggio, ma schierandomi in maniera più netta: qualcuno dovrebbe dire ai babbi della trap e del rap (sono la maggior parte, ma non tutti) di smettere di fare i finta gangsta americani, di ripetere troia e bitches come fossero bimbi che giocano a fare i pappagalli: questo immaginario è – semplicemente – terribile e terribilmente vecchio. E non è figo per un cazzo. Soprattutto con l’aggravante del periodo storico in cui stiamo vivendo. La trap ha un potere immenso, come raramente si è visto in una sottocultura che invade così violentemente e velocemente la società. Che la stragrande maggioranza dei trapper non abbia un cazzo da dire è chiaro, fa parte del gioco stesso del genere, quello di portare il testo all’osso, all’uso primario della lingua italiana. Ma che queste poche parole finiscano per essere un incoraggiamento per fortificare stereotipi proto-leghisti, patriarcali, maschilisti, anche basta. Siete la nuova e fiammante generazione, vi svegliate?
Pensare che il pubblico, soprattutto quello più giovane, quello delle scuole medie superiori, sia in grado di non farsi influenzare dagli immaginari creati da questa musica e questa moda in cui è immerso, non è utopico, è stupido. Bisogna insegnare le sottoculture, i contesti, i diritti fondamentali. Bisogna parlare e parlarne. Se insegni al tuo fratellino che troia è un modo normale di chiamare una donna, sei un coglione. Questa è la responsabilità minima che bisogna pretendere da chi fa musica. E, per iniziare, sarebbe carino se a CRLN e a tutte le musiciste del settore non accadessero più situazioni analoghe.
Come mi ha scritto CRLN, “è pieno di ragazze musiciste che hanno subìto e continueranno a subire questo tipo di trattamento da branchi di ragazzini maleducati e abbandonati ai propri errori anche da chi avrebbe il potere di cambiare le cose e decide consapevolmente di non farlo”.
In poche parole, non siamo nel Medioevo regà; FATECELA.