«A volte i giorni della malattia mentale tornano ancora a tormentarmi», sussurra timidamente Tash Sultana, con gli occhi bassi, «ci sono frammenti di alcuni miei brani in cui ricordo il passato, in cui rivivo i giorni della terapia, come fossero una collezione personale di istanti immobilizzati nel tempo, mentre la mia vita continua ad andare avanti». Nella voce della cantautrice 23enne di Melbourne è custodita la sua storia: un talento cristallino attraversato dalle ombre della tossicodipendenza, affrontata ad appena 17 anni dopo un trip finito parecchio male e uno stato di psicosi lunghissimo, durato nove mesi. «Non riuscivo nemmeno più a distinguere se ero viva o se la mia esistenza fosse una bugia, se ero morta o in stato d’incoscienza», ricorda Tash.
Ora che il suo nome inizia a essere conosciuto, grazie all’Ep Notion pubblicato lo scorso anno e a un album d’esordio, Flow State – il primo con una major – in arrivo il 31 agosto, Tash si guarda indietro con una consapevolezza e una maturità impressionanti: «Vivere un’esperienza così profonda mi ha inevitabilmente portata a scrivere canzoni con cui scavare dentro di me, ma ormai quella merda non ha più niente a che fare con la persona e l’artista che sono oggi. Certo», continua la cantautrice, «a volte ne continuo a parlare perché credo sia importante, ciò che è successo mi ha quasi fottuta, ma è una parte della mia vita che ho affrontato e che continuerò ad affrontare, anche attraverso la musica».
Un percorso ovvio per una che ha iniziato a strimpellare a tre anni sulla chitarra regalatale dal nonno, no a una pratica ossessiva che l’ha portata a imparare a suonare quindici strumenti diversi, tra i primi concerti e il busking per ricominciare, perché trovare un lavoro stabile dopo la terapia sembrava impossibile. La svolta arriva inaspettata, dopo che una registrazione casalinga della sua Jungle inizia a macinare numeri record su YouTube: le prime incisioni in studio, registrando tutte le parti, poi un tour mondiale durato due anni. «Visto da fuori può sembrare tutto improvvisato, ma dietro ci sono dieci anni di lavoro e fatica continui», commenta Tash, che sa di essere una predestinata, diversa anche da chi ha la sua età. «I miei coetanei solitamente vanno al college o all’università e sono pochi gli artisti che a 23 anni girano il mondo come ho appena iniziato a fare, ma so bene che devo ancora crescere».
Una crescita che è evidente all’interno di Flow State, nelle infinite sfumature di cui la cantautrice ha costellato l’album, in bilico fra i generi con la leggerezza di un’equilibrista navigata. Da sola ha composto in studio, come da sola continua a salire sul palco: «Sono una one-human-band», scherza, raccontando delle sue performance circondata da loop station.
«Ho scritto questa canzone quando ho realizzato che ero diventata migliore della persona che ha vissuto il mio passato», dice dell’autoritratto cantato in Salvation. «Sono io a scrivere la mia storia, e so che posso continuare a migliorare ancora e fare scelte sempre più giuste. Perché ho capito che va bene anche accettare di aver fatto cazzate di tanto in tanto».