La strage di Utøya è l’11 settembre norvegese. Il 22 luglio del 2011 un fanatico dell’estrema destra, Anders Behring Breivik, fece scoppiare un’autobomba nel quartiere dei palazzi del governo ad Oslo e poi si presentò travestito da poliziotto sull’isola dove era in corso un campus organizzato dalla sezione giovanile del Partito Laburista Norvegese. Il bilancio degli attacchi fu di 77 vittime, la maggior parte nemmeno ventenni.
In 22 july Paul Greengrass (quello della saga di Bourne e di Captain Phillips con Tom Hanks) ricostruisce gli attentati nella prima mezz’ora, puntando tutto su un’estetica documentaria e senza mai cercare il sensazionalismo. La messa in scena è dura, spietata, diretta. Greengrass lascia da parte anche la regia muscolare e il realismo action che lo identificano in favore della verità. Se la mira al naturalismo è ovvia e comprensibile, non si può dire altrettanto della scelta della lingua inglese per un film che, tra l’altro, ha voluto protagonisti rigorosamente scandinavi.
Mentre spara ai ragazzini, Breivik urla “marxisti, liberali, figli dell’élite”. Ed è su quel grido che si concentra il regista, per ricondurre tutto (e troppo) a una dimensione europea, se non universale, in cui i populismi si nutrono della crisi economica, della rabbia, della paura del diverso.
La sceneggiatura accurata, scritta del regista stesso, approfondisce la vicenda del carnefice e delle vittime. Al minuto 31 Breivik viene arrestato e la rappresentazione pulsante degli attacchi mortali lascia spazio all’indagine sulle conseguenze, evolvendosi nel dramma e nel racconto personale della lotta di una famiglia per andare avanti. Oltre che sulla vicenda processuale dell’attentatore, Greengrass infatti si concentra sulla storia di uno dei suoi personaggi, Viljar Hanssen, mentre affronta il doloroso percorso di guarigione e impara di nuovo a vivere, proprio come l’intero Paese. Come l’Europa, come il mondo. Un messaggio che, anche se veicolato in maniera un po’ piatta, merita di essere ascoltato: «Ho scelto Netflix come distributore», ha spiegato Greengrass, «perché vorrei che questo film venisse visto soprattutto dai ragazzi».