“Tengo ’a cazzimma e faccio tutto quello che mi va/ Pecchè so’ blues e nun voglio cagnà’”, cantava Pino Daniele in A me me piace ‘o blues, autoritratto perfettamente armonico di ’na tazzulella ’e cafè – meglio se con “‘na presa d’annice” – ordinata insieme a Stevie Wonder al bancone del Bar Mexico o nel salotto del Gambrinus. Commistione all’epoca impensabile per il pubblico di massa, che il folgorante esordio del 1980 con Nero a metà trascinò fuori dal fumo dei locali jazz dove i mostri sacri Tullio De Piscopo o James Senese già presentavano Napoli al mondo, e viceversa. La tradizione partenopea, certamente, vibrante nel dialetto che Daniele cantava e accompagnava al suono d’oltreoceano, indagato nelle sue infinite sfumature con la stessa naturalezza di un bambino che disegna, ma con colori nuovi, stratificati e primari insieme.
Giocando all’iperbole, Pino Daniele rappresentò per Napoli il passo compiuto, secoli prima, dal concittadino Giambattista Vico, ma con una chitarra elettrica in mano: riunire la città alla sua anima storicamente cosmopolita, aprirne i confini al pensiero o alla musica contemporanea pur mantenendola centro e circonferenza di un anello di congiunzione tra il mondo e una cultura spesso preservata gelosamente.
Tuttavia, se la luce del filosofo cominciò a risplendere soltanto secoli dopo la sua morte, la stella di Pino Daniele illuminò la musica italiana dal primo istante, da quell’album d’esordio divenuto subito crocevia epocale con il suo tarumbò, lo stile da lui battezzato dove il neomelodico e la tarantella vanno a braccetto con il funky, il soul o il blues del Delta, dove la trinità Totò-Troisi-De Filippo continua ancora ad ammiccare con James Brown, Louis Armstrong o George Benson.
Già, perché se oggi possiamo parlare della nuova scena napoletana, la condizione sufficiente al discorso rimane Pino Daniele e la sua musica; chiedete a Enzo Dong o ai Nu Guinea, a Clementino o Liberato chi sia stato a guidare la loro musica oltre la città verso commistioni sempre diverse. La risposta sarà sempre la stessa: quel nero a metà, quell’uomo in blues e i diamanti che compongono la sua discografia.
Discografia che torna ancora una volta a brillare, grazie a De Agostini che porta in edicola tutti gli album con cui Daniele ha costellato la propria carriera, per la prima volta stampati in vinile. Un’operazione imperdibile perché l’eco di Pino e del suo tarumbò continuino a vibrare sempre più forte, perché la musica con cui apriva il porto di Napoli al mondo può essere un nuovo messaggio con cui, oggi, continuare a imparare: “Ma po ’nce resta ’o mare/ E ’a pazienza ’e suppurta’/ ’a gente ca cammina miezo ’a via pe sbraita”.
Il 15 settembre la prima uscita con Nero a metà, per tutte le informazioni basta cliccare sul sito di DeAgostini.