Chissà se, per capire meglio il degrado di Roma, si può partire da un luogo periferico ma centrale, godibile e al tempo stesso increscioso come Torpignattara, o almeno dalle sue parti in cui il degrado, confuso da un Tuttocittà scompaginato, si è smarrito e cerca invano la strada di casa. Te lo aspetti, lo cerchi e non lo trovi, sotto le insegne materne degli alimentari, dietro le siepi miracolosamente potate del parco pubblico meglio autogestito della città. E non è che cerchi solo un degrado grande, come quello di un’intera capitale che tollera di fatto il parcheggio in doppia fila. Ti basterebbe un degradino semplice, giusto per soddisfazione, tipo uno di quei cassonetti dei Parioli, tenuti sempre aperti, pronti all’ispezione, usando a mo’ di divaricatore ginecologico un rametto di pino.
In questo articolo proviamo a parlare di Torpignattara – e, in particolare, della bellezza di una zona come Torpignattara, multietnica, ma anche e soprattutto multipersonalità – senza essere dei Torpigna. Abbiamo imparato a nostre spese che sentire un forestiero parlare del lato affascinante di Torpignattara può essere, alle orecchie di un vero Torpigna, ancora più fastidioso che sentirne parlare espressamente male. Anche solo usare l’espressione Torpigna, senza esserne addetti ai lavori, è facilmente fraintendibile come atto post-vanziniano, frutto di una curiosità esotica da soddisfare, o avvisaglia di un’appropriazione culturale incapace, poi, di prendersi la responsabilità di gentrificare fino in fondo. Abbiamo insomma una paura dannata che l’unico modo sostenibile di esprimere affetto per Torpigna, per noi, sia chiamarla con uno pseudonimo da amore clandestino. Per mostrare, spavaldi, di esserci in confidenza, e manifestare la nostra stima nei suoi confronti, la chiameremo semplicemente Top Pignattara.
La geografia di Top Pignattara è composta da tratti di quartiere molto differenti tra loro. Alcuni sono apparentemente perfetti, e sembrano traslati dalla Svizzera ladina, come il parco Giordano Sangalli, lungo l’Acquedotto Alessandrino. Altri sono dichiaratamente fuori di testa, come il reticolo di vie che confina a nord con via Casilina e a ovest con il mini boulevard di via di Torpignattara, territorio di murales eloquenti e di serrande parlanti.
Le due anime del quartiere sono comprese tra questi poli, l’uno apollineo e l’altro dionisiaco, posto ovviamente che sia razionale cercare di creare un paradiso in terra a colpi di cesoie; e che sia irrazionale provare a toccare il cielo con un dito sporco di vernice azzurra. La domanda è: è più efficace cercare di nascondere il degrado dietro una o due mani di colore, col rischio che le due cose si mescolino irreparabilmente, o è più illusorio disintegrare il degrado, sparandogli contro i raggi gamma della virtù?
Il Parco Sangalli è come un centrino di pizzo ricamato caduto in mezzo a una pozzanghera non ancora perfettamente asciutta: uno dei più bei gioielli della corona di Top Pignattara. Il gruppo di volontari del Comitato spontaneo dell’Acquedotto Alessandrino, al grido di “Ti raserò Torpigna”, da eccellenti fondamentalisti della partecipazione dal basso quali sono, stanno costruendo nel cuore della zona urbanistica 6A del Municipio Roma V una loro piccola Innsbruck, sostituendo a ogni grigia siringa un piccolo cono di irrigazione colorato; a ogni segnale convenzionale da spaccio una posizione di yoga e, insomma, a ogni eccezione, una regola. Chissà quanto devono costare loro, non tanto in termini economici quanto di street credibility, ogni mercatino o book club che ci organizzano. Del resto, a pulire un parco sporco sono capaci tutti. Il difficile è ripulire, giorno dopo giorno, un parco già lindo.
Nelle regole dello Slargo Acquedotto Alessandrino c’è tutto il senso di questo pezzo di mondo. Quelle leggi, piuttosto enfaticamente, sono affisse alla Martin Lutero su una bacheca dotata della sua propria tettoia, siepe e ghiaietto dedicato, più varie piantine votive sacrificate da qualche balcone paratirolese vicino. Il loro fascino risiede nel fatto che dicono delle ovvietà, che dovrebbero valere ovunque, solo che qui valgono davvero. È da esse che è cominciata la riforma di Top Pignattara. “È vietato gettare a terra cartacce, sigarette, gomme da masticare, lattine, bottigliette di vario genere. È vietato recare disturbo parlando a voce alta o strillando, specie nelle ore di riposo diurno e notturno, attenuando maggiormente i toni dalle ore 23”. Seppelliteci in uno Slargo in cui si osserva il riposo diurno. Interi bambini crescono qui senza conoscere il turbamento di una clacsonata o il contatto con una carta sporca (i volontari raccolgono da terra anche le foglie). Al Bau Park Gli amici di Molly i posti a sedere destinati ai padroni sono disposti come in un cinodromo in cui non si corre ma si compete nelle categorie pacatezza e silenziosità.
Lo Slargo ha il suo murale d’autore, è del foggiano Agostino Iacurci (Clear Sky on the Pink House, 2015). Se Top Pignattara avesse una squadra di calcio, oltre ad essere in serie A, avrebbe come colori della maglia quelle strisce azzurro cielo e rosa intonaco. Chissà quante settimane di San Giovanni o giorni di Nuovo Salario riusciremmo a smaltire in una sola sera qui. Grazie a chi ha deciso di cambiare il mondo una fotosintesi alla volta, prima di andare a letto solo con due gocce di concime liquido naturale, senza mai dimenticare di rimboccare, prima, il sacco al cestino dell’indifferenziata.
Pochi metri più in là, la più bella ragione sociale di Roma, e forse del mondo, è “Mamma Alimentari SAS” e rilascia scontrini in via Cencelli – Cencelli l’impavido aeronauta, sia chiaro, non il ben più noto manualista democristiano. In questa porzione di Top Pignattara, da via Casilina all’Acquedotto, tutta la toponomastica è protesa verso il cielo. Qui non c’è dedicatario di via che non abbia volato almeno per qualche miglio, gloria più, gloria meno. Tutti, però, avevano in comune una cosa con chi abita qui, oggi: guardavano spesso oltre i palazzi. In una città e in Paese in cui, per una di quelle mode non belle e non pratiche, le cuffiette AirPods vengono indossate con le punte protese in avanti, quasi fossero erettili come colletti di polo Ralph Lauren, è bello sapere che sono esistite ed esistono persone in grado di attribuire un senso alto al concetto di superamento della gravità, della realtà.
Le cariatidi di MP5 (Millennials, 2016), dipinte più avanti, sempre in via Cencelli, paiono non reggere alcun peso sulla testa, perché il loro palazzo ha un solo piano e loro ne occupano tutta l’altezza. Per questo possono permettersi il lusso di sembrare le cariatidi più laid back di sempre: con una mano tengono su un lembo della veste; con l’altra, ti stanno chiedendo una sigaretta. Eppure, a guardare meglio, quelle ragazzone, proprio perché non sostengono alcun architrave, forse puntellano tutto il cielo con annesse nuvole, lune e sogni di gloria di tutti gli abitanti della via e del quartiere, che dormano o che siano in cerca di un posto aperto per una birra.
A Top Pignattara ogni serranda racconta una storia e ogni storia apre o chiude una serranda. Le serrande qui sono quasi tutte parlanti e la loro vita è prevalentemente notturna, salvo giorni di chiusura. Sono come giocattoli che si animano sempre e solo quando il bambino va a letto. La giovane e bella fornarina dipinta per la serranda centrale del forno Spiga d’Oro (ben tre serrande), trascorre ogni santa notte contesa tra il panificatore (serranda di sinistra), che brandisce allegro un mattarello, e il barman con tanto di shaker tremolizzo (serranda di destra), che solo apparentemente è più riservato dell’altro. Al centro, tra cotanti fuochi, un po’ per prendere tempo, un po’ per fair competition, la ragazza consiglia a tutti quelli che trovassero la serranda abbassata di non disperare e di usufruire dei servizi dei colleghi di Fatti di Farina (via Galeazzo Alessi), perché il giovedì lei è di riposo.
Se sei un parrucchiere per signori senza fronzoli, come quello di via Natale Palli (che partecipò al volo su Vienna di D’Annunzio), ti capita di non avere fuori dalla bottega uno di quei pali da barbiere a spirale. Anzi, a dire il vero non hai neanche un’insegna. Ma ci pensa Diego di Chr LAB a disegnartene una sulla serranda, particolarmente utile perché così i passanti sanno che sei un barbiere, e non un fruttarolo, anche quando sei chiuso. Quando sei aperto, tanto, dentro ci sei tu che tagli: efficienza della pubblicità per mezzo di tableau vivant.
Qualcuno, in zona, sembra volersi opporre a questa tendenza a far parlare la street art di sé e delle proprie aspirazioni, terrene o aeree che siano. Ma anche il vandalismo ha buon gusto a Top Pignattara. Abbasso la riqualificazione borghese colorata, apposto sul murale di Frederico Drew e Contra dedicato alla lupa capitolina, ad esempio, è tracciato con lo stesso punto di verde che compare nel resto dell’opera presa di mira, preciso come se si fosse usato lo strumento color picker. Piuttosto competenti, in fatto di colori, per essere dei cromoclasti.
Per fortuna c’è la Monna Lisa di Blek Le Rat di via Serbelloni, col suo messaggio pacificatore: “Di nuovo a casa”. Restituita a questo museo a cielo aperto (almeno sotto forma di stencil) proprio da un artista francese – dopo qualche secolo di prigionia nel vetro e nel marmo dei connazionali di lui – questa Gioconda si autocertifica sorella di tutti coloro che sono venuti in questo quartiere in cerca di una nuova vita, di un ritaglio di firmamento, o almeno di un pezzo di intonaco. Perché non importa che tu sia toscana naturalizzata francese o magrebina romana doc, a Top Pignattara sei sempre a casa tua.