Nella più classica interpretazione dell’espressione “riconoscimento postumo”, sin dal giorno della sua morte, ciclicamente, si rievoca Piero Ciampi. Ristampe, biografie, documentari, oltre al tradizionale premio che porta il suo nome, ultimamente vengono anche appese targhe per le strade dove ha abitato e gli vengono intitolate piazze. Probabilmente sarebbe molto più utile dare un’aggiustata a quella discografia davvero troppo scarna su Spotify, ma a maggior ragione è sempre un bene ricordarlo, poiché è stato un artista straordinario e irripetibile nel panorama musicale italiano. Lo dimostra il fatto che tali rievocazioni cicliche, non sono mai dettate da un revival o da una moda passeggera, non c’è stato nessun artista che è stato paragonato o che si rifà esplicitamente a Piero Ciampi, come invece da qualche anno sta avvenendo praticamente con ogni cantautore italiano, tributato – per non dire scopiazzato – prima dall’indie e poi dall’itpop.
Imitare Piero Ciampi è praticamente impossibile, capita molto più spesso che i suoi brani vengano reinterpretati, l’ultimo in tal senso è stato Bobo Rondelli, uscito un paio di anni fa con un intero album di pezzi di Piero Ciampi rifatti. Sicuramente perché rispetto ai suoi colleghi coevi, da parte di Piero Ciampi c’era una minore ricerca e gli arrangiamenti dei suoi pezzi sono rimasti sempre molto tradizionali, ma soprattutto perché la poetica dei suoi testi si è raffinata indissolubilmente assieme al suo vissuto e alla sua intimità, tanto da renderla quasi una specie di cronaca personale.
Si ricorda spesso l’alcolismo e il carattere rissoso, le sparizioni e i viaggi improbabili in giro per il mondo, oltre al fatto che la sua carriera non è mai realmente decollata, viene dipinto come un cantautore crepuscolare e bohémien, in generale il suo personaggio – arricchito del fascino di chi ha sostanzialmente fallito – ha fatto passare in secondo piano una caratteristica importantissima dei suoi testi, che lo rende davvero unico: nessuno come Piero Ciampi ha raccontato la vita di coppia, nei suoi aspetti più turbolenti e deprimente. Una dote che oltre ad arricchire il suo immaginario decadente, lo rende moderno e all’avanguardia, se si pensa, per esempio, che pezzi che parlano di divorzio e burocrazia come In un palazzo di giustizia o Mia moglie, escono nell’Italia di inizio anni Settanta, ancora alle prese con il referendum abrogativo e con una legge sul divorzio appena entrata in vigore.
Le canzoni di Piero Ciampi sembrano delle commedie amare, cantate e narrate nei minimi dettagli, sia delle ambientazioni che degli stati d’animo: “c’era un grande disordine, tu avevi preparato le tue valigie rosse e con tono deciso chiamavi per telefono un tassì, era un sabato sera, la tavola era vuota, le stanze sottosopra”. Sembra l’inizio di una sceneggiatura, Netflix potrebbe tranquillamente produrre una serie tv incentrata sulla vicende coniugali ispirate ai testi di Piero Ciampi.
Già il suo secondo album, l’omonimo Piero Ciampi del 1971 (che viene considerato un secondo esordio), si regge su una narrazione autobiografica frutto della fine di due importanti relazioni, nelle quali in entrambi i casi ci sono di mezzo figli e avvocati. “Figli, come mi mancate” canta in Sporca estate, perché Ciampi non li vede mai, è sempre ubriaco e squattrinato, ma è anche probabilmente un uomo violento, come canta lui stesso in Ma che buffa che sei: “quel pugno che ti detti è un gesto che non mi perdono, ma il naso ora è diverso, l’ho fatto io e non Dio”. Difficilmente ci sono risvolti positivi ogni volta che incontra una donna, al massimo parte qualche “vaffanculo” ironico e liberatorio, la felicità appare solo in forma di briciole di nostalgia, “ti ricordi via Macrobio? qualche volta eri felice”. Per il resto solo esasperazione, rovina e fughe: “tu mi devi star vicina, perché ormai io sono fuori”.
Come da titolo Io e te abbiamo perso la bussola (1973) è un’antologia sul fallimento e sul declino dell’amore, in generale su tutta quella zona grigia che sta nel mezzo, tra l’innamoramento iniziale e il dolore finale, i due poli che generalmente ispirano per la maggiore i versi e ritornelli più famosi della canzone italiana. Invece qui c’è la routine, c’è il rancore che cresce silenziosamente all’interno della coppia assieme all’angoscia e alla frustrazione. In questa direzione due capolavori come Il lavoro e Te lo faccio vedere chi sono io raccontano con dovizia di particolari le faccende domestiche e le inutili ambizioni di un uomo che non può fare altro che sparare promesse impossibili da mantenere, senza un lavoro, senza certezza alcuna, sull’orlo del baratro, e che finirà con l’essere scaricato e abbandonato.
Per tutta la sua vita, da quando ne abbiamo notizia, Piero Ciampi è stato trascinato dagli eventi e dal vino, e di questo aveva deciso di morire. Ironia della sorte, ha fallito anche in questo.