«Guardate che bella! Guardate che brava!» Negli ultimi anni incensare St. Vincent è praticamente diventato un esercizio di stile, ogni sua azione è stata accompagnata da un’ondata cieca e unilaterale di entusiasmo quasi fastidioso, anche perché è oggettivamente tutto meritato, tanto che i suoi (pochi) detrattori, si sono dovuti appellare a un inumano eccesso di perfezione e poco calore sul palco. In realtà Annie Clark è stata la prima a smentire questa immagine, dichiarando di aver affrontato a suon di farmaci dei grandi periodi di ansia causati dal successo, anche se in effetti continua a dare l’idea di essere una in grado di realizzare qualsiasi cosa alla perfezione e con il minimo sforzo, che si sveglia senza un capello fuori posto e con l’alito profumato e va a salvare vite umane indossando agevolmente una tuta di lattice e i tacchi a spillo.
Vuoi vedere che la soluzione sta nel mezzo? Se così fosse, la risposta perfetta è sicuramente MassEducation che è la versione interamente rifatta al piano di Masseduction, nel quale vengono abbattute tutte le barriere glitterate che St. Vincent aveva alzato nel suo ultimo disco e dona sia agli adulatori che ai detrattori dodici tracce intime e minimaliste, esclusivamente voce e piano.
Ovviamente il risultato è eccellente, anche perché ad accompagnare Annie c’è un altro personaggio che ultimamente fa diventare oro tutto quello che tocca: il cantate e produttore Thomas Bartlett, aka Doveman, che già aveva messo lo zampino in Masseduction. Giusto per fare un paio di nomi, Bartlett ha prodotto la colonna sonora di Call me by your name, collaborato con Yoko Ono, The National, Florence and The Machine, Father John Misty e sto parlando solo dell’ultimo anno. Facile così.
Nella lettera scritta a mano da Annie Clark, che accompagna il packaging del disco – anche questo con un’estetica più intimista e in totale antitesi con quella saturata di Masseduction – si legge che i due hanno praticamente improvvisato i pezzi durante l’estate a New York e che il risultato è stato talmente bello che i due si son detti «toh, ma perché non pubblicarlo?».
Già nel tour di presentazione di Masseduction, St Vincent aveva distribuito a destra e a manca performance incredibili in chiave acustica o al piano, ma in questo disco si percepisce – ed è davvero piacevole – che i due hanno premuto rec e hanno iniziato a suonare, ignari di quello che ne sarebbe venuto fuori. Questo non significa che ha un sound lo-fi o sciatto, anche perché sarebbe impossibile, anzi, sembra di assistere in presa diretta a uno spettacolo privato, con le luci soffuse e la massima cura della riuscita. E così la pomposissima Los Angeles con la chitarra compressa e i synth, diventa un jazzato à la Dave Brubeck, in Savior e Fear the future poche note di pianoforte stoppato che poi si aprono in fitti arpeggi, sorreggono la voce nuda che oscilla tra bassi e intensi falsetti. Il massimo risultato arriva forse in Happy birthday Johnny e Hang on me, la prima era già struggente nella versione originale e viene ridotta ancor di più all’osso, ottenendo un effetto da pelle d’oca facile, l’altra – originariamente tutta synth e drum machine – perché era quella più complicata da trascrivere in chiave acustica.
Insomma, sarà anche diventato un esercizio di stile elogiarla, ma in questo momento tutto fa pensare che una come St. Vincent rinascerà fra mille anni.