Cambiare la propria classifica di fine anno non è cosa da poco: sono tante le variabili che entrano in gioco per chi partecipa alla composizione di queste liste, e scegliere un nome all’ultimo è un po’ come mandare un messaggio. Ai giorni nostri, la quantità infinita di ascolti possibili e i contorni sempre più allargati del paesaggio musicale dovrebbero allontanare l’uniformità anni ’90, eppure si tende ancora al pensiero unico. In un contesto in cui le preferenze musicali sono sempre più liquide, sembra quasi che ci sia l’esigenza di partecipare compatti all’incoronazione dei big del momento – mettere l’ultimo degli Arctic Monkeys tra i migliori album, e il Primavera Sound tra i concerti – per trovare il sollievo di un’immobilità lineare d’altri tempi.
Per quanto assurdo possa sembrare, tutto questo l’ho pensato durante un concerto di Ruggero de I Timidi. Vedendo un pubblico incredibilmente variegato (indie, metalhead, punk, dark a braccetto con gente che vede due concerti l’anno e l’altro è all’Arena di Verona) e incredibilmente partecipe con la piena consapevolezza che il suo show non entrerà mai nella Top 10 di qualsiasi redazione, come prima è successo con altri nomi oramai entrati nell’immaginario collettivo del cosiddetto filone demenziale, dagli Squallor agli Elii, passando da chi più vi aggrada. Indipendentemente dai meriti sul campo, neanche a dirlo.
Perché allora andare a intervistare Ruggero, perché proprio lui, vi chiederete, voi lettori di Rolling? Per uno snobismo intellettuale forse, un verdoniano tentativo estremo d’originalità, una provocazione calcolata di chi di solito mette in copertina gente dall’hype indiscusso, per il morboso gusto della contraddizione, per voglia di scoprire cosa si cela sotto il caschetto di Andrea Sambuc… ops, di Ruggero? Certamente, tutte queste cose assieme. Con la consapevolezza però che nella mia Playlist del 2018 il suo nome da qualche parte comparirà.
Ruggero, quando hai capito che la timidezza era un pregio?
Quando ho visto che è assai apprezzata dal pubblico. E’ vero, alcuni a volte mi urlano frasi difficilmente ripetibili, ma altri invece apprezzano valori ormai fuori moda come la timidezza, l’empatia e l’educazione. Ho capito di aver fatto breccia quando in prima fila sono apparse le famiglie coi bambini. Poi sono arrivati i servizi sociali e glieli hanno portati via, rovinando tutto.
A chi ti sei ispirato per il tuo look?
Agli anni 60 italiani, ai crooner di Las Vegas e ovviamente ai Beatles, soprattutto per la pettinatura. Anche un po’ a certi cantanti da matrimonio, che operano principalmente in provincia.
Consideri il tuo un progetto parodistico o demenziale?
Molti dicono demenziale, alcuni trash, altri mi chiamano “Genio” o “Maestro”. Ma tutti sanno che di Maestro ce n’è uno solo: Amedeo Minghi. Io mi considero parodistico, nel senso letterario del termine. Parodia di un cantante che cerca a tutti i costi il successo. Più o meno come tutti i cantanti, solo che loro ci credono veramente.
Come hai costruito la tua fortuna?
Facendo le canzoni come voglio io, e mantenendo un rapporto costante col pubblico che ormai incontro in tutte le occasioni, dai peggiori bar di Caracas ai migliori live club italiani. Il rapporto col pubblico è per me importante. Anche sull’internet. Come Gianni Morandi sono il social media manager di me stesso, anzi sono il Gianni Morandi di me stesso.
Vuoi parlarci del tuo vino, del tuo fumetto e del sapone del Maestro Ivo?
Ho sempre cercato di essere all’avanguardia con il merchandising. Troppo facile mettere il proprio nome su un portachiavi o una bandana. Vendere gadget emozionali è importante: chi ha ascoltato Miserere cantata dal Maestro Ivo ha poi voluto a tutti i costi acquistare la saponetta di cui si parla nelle liriche, rivivendo così le stesse emozioni della canzone. Il fumetto è invece un’intuizione della casa editrice Saldapress, editori italiani, tra gli altri, di The Walking Dead. Il fumetto è un mezzo per continuare quello che già faccio nelle canzoni: narrare storie. La ciliegina sulla torta è stata la partecipazione a Lucca Comics & Games e la variant cover di un maestro del fumetto italiano: il mitico Giorgio Cavazzano. Stessa cosa per il vino timido Rougero. Non volevo un semplice gadget, ma un vino che quando la gente lo assaggia deve esclamare “Oh, è buono!” E fu così che lo abbiamo presentato a Vinitaly, tra lo stupore generale. E’ un vino adatto per le serate tra amici o per quelle più birichine e romantiche.
Quanto c’è dei Timidi e quanto di tuo nella realizzazione di un pezzo?
I timidi ormai non esistono più, ci siamo sciolti prima di arrivare al successo. Così procedo da solo nello sviluppo di liriche, musica e idee per i video. Coadiuvato sempre da professionisti così bravi che alla fine la professione di coordinatore e supervisore è facile. E poi c’è mia moglie che mi indirizza sempre verso la giusta meta, grazie a continue litigate.
È’ vagamente sensato intravedere una valenza “politica” in Padre e Figlio? Parlo dell’incedere marziale sbugiardato poi dal testo.
A parte il video, dove si cerca di addormentare il figlio con la biografia di Andreotti, c’è poco di politico per me nella canzone… E’ la storia di un quadretto familiare abbastanza ambiguo e anche un po’ ipocrita da cui il padre cerca di riscattarsi nel modo sbagliato: raccontando la verità al figlio.
Ti piace questo ruolo di leader, di capo orchestra, di frontman-icona (dal vivo soprattutto il tuo ingresso suscita reazioni come per Robert Smith dei Cure), oppure a volte ti infastidisce e ti annoia come tutte le rockstar?
No assolutamente. Tanti fan, quando vengono a fare le foto me lo chiedono: “Ma non ti stufi a fare le foto con tutti?” e io dico sempre: “Ma perchè? Tra un mese è finito tutto!” Il problema è che ormai è quasi 70 mesi che lo dico. Non ti annoi mai quando senti il boato della folla. Certo purtroppo non ti sorprendi più, neanche quando cantano tutti in coro “spruzzavi acquaaa dallaaa vagiiinaaa” come se fosse Albachiara di Vasco o Tappeto di Fragole de I Modà. E’ un peccato abituarsi a queste emozioni, a volte vorrei la macchina del tempo per rivivere tutto come se fosse la prima volta.
Esistono molte leggende a riguardo ma quale è la cosa più assurda che ha fatto un tuo fan per te?
Tatuarsi la parrucca col mio nome.
Sei tu il cinefilo che appare all’inizio di Si Muore Tutti Democristiani? Che rapporto hai col cinema?
Non sono io, io appaio nel film sotto forma di poster. Forse ti riferisci ad Andrea Sambucco, lo sento spesso nominare anche se non ci siamo mai incontrati. Lui è uno invidioso del mio successo, anche se firma tutte le mie canzoni e si becca la SIAE. Col cinema comunque ho un bel rapporto, farò un film anch’io. A mio modo ovviamente.
Quanto del tuo successo è legato ai videoclip e a YouTube?
Tanto all’inizio, grazie anche al passaparola e a whatsapp. Poi grande merito alle radio come Radio Deejay, Lo zoo di 105 e pure La Zanzara di Cruciani. Ma non dimentichiamo Tu si que Vales della De Filippi, che mi ha sdoganato al grande pubblico familiare. Anche se, quando vedo un bambino sotto i 10 anni ai miei concerti, mi imbarazzo sempre e gli dico: “Tranquillo tra poco arriva Rovazzi!”
Freak Antoni diceva degli Elii nel 2003 “il massimo della tecnica applicata al minimo dei contenuti” in opposizione al radicalismo della sua band. Tu sei sul filone Skiantos o Elio?
Tu mi vuoi chiedere se preferisco la mamma o il papà per cui ti dirò: gli Squallor per la grande passione musicale, la vena goliardica e sincera Ma soprattutto per alcune trovate pubblicitarie davvero geniali, che magari troverete anche sull’internet (una fra tutte: “Ciao comprati arrapaho”)
Come sta il genere demenziale in Italia?
Non credo ci sia uno sviluppo come c’è stato tra fine anni 80 e primi 90. Noto che ormai è tutto commistionato. Tante cose serie sembrano demenziali, per cui è difficile individuare il genere. Noto invece troppi centoni di canzoni famose: esce la nuova hit e tutti dietro con la parodia. Questo lo trovo insopportabile.
Ti aspettavi il successo da 500 mila visualizzazioni in pochi giorni de La Canzone dell’Estate?
Si mi aspettavo andasse bene, speravo avesse una maggiore eco tra i media ma d’altronde sono solo con la mia barchetta in mezzo a dei transatlantici. Ma a me va bene così: con mia moglie e la nostra Produzioni Timide siamo una sorta di agriturismo dello spettacolo dove i clienti fanno passaparola e la domenica a pranzo è sempre pieno e ci si diverte anche se il posto è piccolo. A me piace molto questa metafora, a mia moglie, che sogna la villa a Miami, meno.
Ci sarà un secondo Raduno Timido?
Ci sarà, devo solo capire dove: forse in Veneto o in Emilia Romagna dove ho tanti fan, anche se il sogno è un raduno definitivo a Udine. Vedremo. A breve ci sarà il Ruggero de I Timidi Christmas Show: debutteremo al Teatro della Luna il 10 dicembre per poi andare a Torino, Bologna e Legnago. Nel 2019 invece sto cercando di organizzare un Ruggero & Friends.
Okey, fine. Cosa prevede adesso la tua “serata lomantica”?
Spolliciata su Netflix cassando tutte le serie al grido di “non c’è niente” ma solo perché mia moglie usa il mio account e mi vengono consigliati solo film di Natale o di coppie romantiche che dovrebbero sposarsi dopo cinque minuti ma invece ci mettono un’ora e mezza.