Mark David Chapman, l’uomo che nel 1980 uccise con un’arma da fuoco John Lennon, ha di recente detto alla giuria per la libertà vigilata che si sente finalmente pentito di quello che ha fatto. «Trent’anni fa non sarei riuscito a provare vergogna. Adesso so cos’è la vergogna», ha detto durante l’udienza dello scorso agosto. «È quando ti copri il viso, quando non vuoi, insomma, quando non vuoi chiedere niente». Più avanti, secondo la ricostruzione di Associated Press, ha aggiunto che anno dopo anno sente “sempre più sensi di colpa”.
Nonostante l’udienza si sia tenuta la scorsa estate – al Wende Correctional Facility di Alden, New York – la trascrizione è stata pubblicata solo oggi. Il Board of Parole gli ha negato di nuovo la libertà vigilata, una scelta che “finirebbe per mitigare la gravità dei suoi crimini” e che lo potrebbe esporre agli attacchi di chi vorrebbe vendetta. È la decima volta che il tribunale rifiuta le sue richieste, che potrà ripresentare ad agosto 2020.
Durante l’udienza di quest’anno Chapman ha raccontato quanto è successo l’8 dicembre 1980, quando si procurò l’autografo dell’ex-Beatles per poi sparargli e ucciderlo. Ha detto che non era sicuro di voler portare a termine l’omicidio, perché Lennon l’aveva trattato con gentilezza. «Ero andato troppo oltre», ha detto. «Ricordo di aver pensato: “Ehi, adesso hai l’album. Guardalo, te l’ha firmato, va a casa”. Ma non c’era verso, non me ne sarei tornato a casa».
Adesso Chapman definisce l’omicidio un atto “senza senso”, e dice che non aveva nessuna questione in sospeso con il musicista, voleva solo notorietà. Tuttavia, come spiega AP, ha scelto di usare un proiettile a punta cava, più letale delle normali pallottole. «Ho scelto quei proiettili per assicurarmi che sarebbe morto», ha detto. «Subito dopo il crimine ero preoccupato, volevo che non soffrisse».
In questi giorni, Chapman dice di essere tornato cristiano. Tra le attività che gli è consentito svolgere in prigione ci sono la pittura, le pulizie e la cera dei pavimenti. Adesso, dice, sa che il suo atto di rabbia sopravviverà «anche dopo la mia morte».
La sua ultima richiesta di libertà vigilata risale al 2016. All’epoca la giuria diede una spiegazione simile a quella di quest’anno: “Considerando le risposte che ha dato alle nostre domande e leggendo i verbali della sua situazione, riteniamo che un suo rilascio sarebbe incompatibile con il benessere della società, autorizzarlo significherebbe sminuire la serietà dei suoi crimini, e svilire il rispetto delle leggi”