Facciamo una rapida panoramica: Mortal Engines, tradotto fedelmente in italiano col nome di Macchine Mortali, è un romanzo di Philip Reeve del 2001. È il primo di una quadrilogia su un futuro post-apocalittico dove l’umanità, decimata dall’abuso di potenti ordigni quantici, si riorganizza in città mobili di proporzioni titaniche. La più grande di queste è Londra, che si sposta su immensi cingoli per le pianure dell’Europa fagocitando qualsiasi altra cittadina-carro armato che le capiti a tiro.
Peter Jackson è il primo a rendersi conto che una trama come questa è oro colato per farci un film, così nel 2009 acquisisce i diritti cinematografici e comincia a lavorare sulla sceneggiatura. Complici i vari capitoli de Lo Hobbit di mezzo e probabilmente qualche cavillo legale, Macchine Mortali rimane in un cassetto di Jackson per quasi otto anni, fino a quando nel 2017 finalmente iniziano le riprese. Insomma per otto lunghi anni il regista e produttore neozelandese ha avuto a disposizione un tempo assurdo per scartare, aggiungere, perfezionare elementi dello storyboard. Nel concreto, ci si rende subito conto che Macchine Mortali ha una cura dei particolari di gran lunga superiore a quella del solito colossal natalizio.
Sul villain, Jackson è andato sul sicuro scritturando uno che il villain lo fa da Dio anche a occhi chiusi e con le mani legate, vale a dire Hugo Weaving, ma sul resto del cast c’è voluto del coraggio. Nel caso di Hera Hilmar, che interpreta la protagonista Hester Shaw, la scelta di un volto pressoché sconosciuto ha pagato. La sua cupa, nordica islandesità calza a pennello nella parte di Hester, giovane orfana in cerca di vendetta. Quando era solo una bambina, il crudele Thaddeus Valentine (Weaving) le aveva ucciso la madre, archeologa che aveva rinvenuto materiali tecnologici molto utili ai fini malefici di Thaddeus. Ottimo anche l’esordio da regista di Christian Rivers, vecchia conoscenza di Peter Jackson che da supervisore agli effetti speciali e sceneggiatore per la prima volta si fa regista. Dovendo comunque scendere a patti con elementi della trama un po’ scadenti, imputabili a chi ha scritto il libro (due esempi a caso: la banalità delle “Bombe quantiche” che in passato hanno decimato l’umanità e pure il fatto che entrambi i protagonisti devono sempre essere orfani e soli al mondo) Rivers fa un ottimo lavoro, rendendo fluidissima la narrazione ed evitando elegantemente cliché hollywoodiani, tipo il classico bacio appassionato fra lui e lei.
Detto ciò, i suoi difetti il film ce li ha e il più evidente forse è Robert Sheehan, evidentemente non nel ruolo migliore per lui. La sua espressione da costante terrorizzato o shockato alla lunga stanca, tanto da farti arrivare alla fine del film ignorando completamente le sue battute. E cosa ancora più divertente, anche gli stessi personaggi smettono di fare caso alle cose che dice dopo un po’. Per il resto, Macchine Mortali risente in positivo dell’influenza di Peter Jackson: i cambi di scenario sono grandiosi e dinamici, con ambientazioni maestose che passano da città fluttuanti sulle nuvole a prigioni di massima sicurezza in mezzo al mare, fino alle montagne mozzafiato della sua Nuova Zelanda che ci aveva già fatto conoscere ne Il Signore degli Anelli. Per il resto, Macchine Mortali è una versione steampunk e post-apocalittica di Star Wars, con la Londra cingolata al posto della Morte Nera e Thaddeus Valentine al posto di Darth Vader (l’imperatore invece il sindaco).
Nella sua ora e mezza, il film ti stordisce con le possibilità infinite (e in questo caso usate benissimo) dell’animazione computerizzata, mettendo insieme insieme vari film che comunque hai già avuto modo di amare. Insomma, è un polpettone di tante cose, ma tutte ottime e con un profumino micidiale. E poi, vuoi mettere il polpettone a Natale?