Negli scorsi giorni in Francia decine di migliaia di persone sono scese in piazza per dire basta all’antisemitismo. Un virus da cui l’Europa, nonostante l’aberrazione vissuta negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso, non riesce ad affrancarsi. Gli episodi preoccupanti ultimamente sono stati parecchi: un’ottantina di lapidi del cimitero ebraico di Quatzenheim, vicino a Strasburgo, sono state vandalizzate con delle svastiche. In precedenza il filosofo ebreo Alain Finkielkraut era stato insultato durante un corteo dei “gilet gialli”. Non per tutti simili eventi rappresentano un problema, visto che Jean-Marie Le Pen ha contestato l’allarme sul ritorno dell’antisemitismo.
Anche in Italia gli episodi di intolleranza sono in aumento. Secondo l’Osservatorio antisemitismo della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano nel 2018 ci sono stati 181 casi documentati, contro i 130 dell’anno precedente e i 16 del 2012. Si va dalle pietre di inciampo rubate per le strade di Roma agli innumerevoli insulti online (e sui media tradizionali). In Germania e soprattutto nei Paesi dell’Est Europa le cose vanno ancora peggio. Quanto c’è da essere preoccupati per una simile escalation, in un momento di feroce crisi della politica e di reiterata crisi economica?
Anche per provare a rispondere a queste domande Roberto Finzi, tra i più importanti storici dell’ebraismo in Italia, ha pubblicato per Bompiani Breve storia della questione antisemita.
L’antisemitismo oggi sta alzando la voce?
È in atto una recrudescenza da tempo, le reazioni degli ultimi giorni hanno solo portato alla luce il fenomeno. Da tempo la Polonia nega il proprio ruolo nei campi di sterminio, e in Ungheria le cose si stanno mettendo molto male. In Francia, a più di 110 anni dall’Affare Dreyfus, il clima culturale è sempre lo stesso. Di recente le migrazioni di ebrei francesi verso Israele, non a caso, hanno subito una piccola impennata. La sensazione di poca sicurezza è diffusa.
Storicamente è in momenti come questo che l’antisemitismo diventa più pericoloso?
Sì. Perché l’antisemitismo è sempre un campanello di una crisi più ampia e grave, di sistema. E affrontare il tema senza retorica o schemi fissi – come fa Macron quando dice di voler mettere l’antisionismo fuori legge – sarà fondamentale, perché o cambia la testa della gente o il problema non si risolve.
Lei individua diversi tipi di antisemitismo nella storia.
Anzitutto il tradizionale anti-giudaismo cristiano, che si riassume nell’accusa di deicidio da parte degli ebrei. Una grande sciocchezza da un punto di vista teologico, visto che era previsto soffrisse per redimere l’umanità. Poi c’è l’antisemitismo su base razziale, che nasce come giustificazione per la schiavitù: se non ci sono uomini superiori e inferiori, non si può privare uno della libertà. Questa linea di pensiero, spacciata per scientifica e in realtà solo politica, si intreccia con un antisemitismo di natura più economica: gli ebrei, che sono dappertutto, sono accusati di complottare per dominare il mondo.
Un’idea che va ancora molto forte, se pensiamo all’odio per una figura come quella di George Soros.
Di filantropi in giro ce ne sono tanti, ma lui, essendo ebreo, è scontato che in realtà voglia dominare il pianeta.
Che antisemitismo è quello di oggi?
Un miscuglio di cose. Vedo di nuovo in giro cattolici che sbraitano contro gli ebrei, evidentemente si sono dimenticati del Concilio Vaticano II. Poi c’è la solita estrema destra, e, da uomo di sinistra, non posso fare a meno di notare con dolore che anche a sinistra stanno tornado in auge certe tendenze antisemite.
In che senso?
Vedo una regressione nel discorso della sinistra. Nell’Ottocento il pensiero che l’ebreo capitalista ricco fosse il nemico era forte anche in ambito socialista, fino a che non si affermò lo slogan “l’antisemitismo è il socialismo degli stupidi”. Ora mi pare che parecchi imbecilli siano tornati a galla.
La frattura legata alla questione palestinese in un certo ambiente è lacerante da sempre.
L’idea di fondo è che, essendo state vittime della storia, gli ebrei dovrebbero operare sempre e solo per giustizia. E invece se la prendono con i palestinesi, che sono vittime, sia ben chiaro. Ma la storia non si affronta certo in questo modo.
L’antisionismo, però, è una posizione lecita.
Io sono mai stato sionista, come milioni di ebrei. Ma non amo mai gli “anti”, anche perché una volta che le cose sono andate in un certo modo non è che si possano fare fuori gli israeliani o mandarli tutti da un’altra parte.
Che tratti in comune hanno antisemitismo e islamofobia?
Varie ricerche dicono che spesso chi odia gli ebrei, odia anche gli islamici. L’ignoranza di certi ambienti europei è grande: lo scontro di civiltà è uno dei concetti più idioti che ci siano. Anche perché il rifiuto dell’altro porta a negare le enormi radici comuni: dopo Maometto, Gesù è il secondo profeta dell’Islam.
Quanto è antisemita la storia del nostro Paese?
Gli ebrei in Italia, fin dall’Unità, si sono sempre sentiti integrati. Tutto è cambiato con la politica razzista del fascismo, quando si scoprì che gran parte degli italiani erano indifferenti alle loro sofferenze e anzi approfittavano della situazione appena potevano. Un mio vecchio amico diceva sempre “se tutti quelli che hanno detto di aver aiutato gli ebrei durante la guerra lo avessero fatto davvero, in Italia avremmo avuto milioni di ebrei invece di 40mila”.
Oggi com’è la situazione?
Nel 2012 davanti all’Università di Bologna, nella celebre via Zamboni, comparve una murale con la scritta “No al debito”, affiancata da dei disegni di maiali che rappresentavano i grandi banchieri, e sopra tante stelle di David e le parole Jude e Auschwitz. Per venti giorni è rimasta al suo posto, senza che nessuno dicesse una parola. Solo quando un lettore di Repubblica ha reso pubblica la notizia, il rettore, che stava a cinque metri da lì, è intervenuto. Queste tendenze nella società ci sono, solo che le si lascia marcire finché non esplodono.
E nei partiti politici c’è ancora antisemitismo?
Io mi vanto di essere una delle persone che con il proprio lavoro riuscì a fare cambiare rotta a una corazzata come il PCI – non tutti i suoi esponenti -, che dagli anni ’80 in poi rispetto al problema degli ebrei ha cambiato il suo atteggiamento. Però non tutto è risolto, anzi. Abbiamo di recente scoperto che abbiamo eletto un parlamentare che non conosce la storia dei Protocolli dei Savi di Sion, e quindi o è ignorante oppure antisemita. In ogni caso non dovrebbe stare dove sta.