Alessio Bertallot e Lele Sacchi sono per la scena underground italiana due punti di riferimento e due scopritori di nuovi nomi. Sicuramente sono stati tra i primi ad essere folgorati sulla via dei Prodigy. Nel giorno del suicidio di Keith Flint, abbiamo parlato con entrambi per farci raccontare i loro ricordi legati a quel momento storico.
Alessio Bertallot
Richard Russell di XL, l’etichetta che li ha scoperti, mi ha raccontato di come si erano presentati a una festa di Mtv. La definizione si adatta anche alla loro musica, soprattutto nei primi dischi: sono stati vistosi e dirompenti. Hanno creato un ponte tra la musica rock e dance, hanno messo la stessa carica del rock in un mondo che aveva voglia di sperimentare. Hanno interpretato bene l’estetica dance, quella dei rave degli anni ’90.
Erano figli di un’epoca diversa, di tempi più attivi, meno aridi. C’era l’ingenuità di esplorare nuovi territori senza paura, si poteva davvero provare di tutto e sperimentare con molta più libertà.
Quello che Flint faceva era la cosa più british di tutte: aveva ereditato l’approccio dal mondo punk e lo mostrava ad ogni occasione possibile.
Lele Sacchi
Ho visto i Prodigy per la prima volta nel 1995, al T in the Park, in Scozia. Mi avevano preso subito con Voodoo People, il singolo estratto da Music for the Jilted Generation, il loro secondo album. Non li ascoltavo molto prima, il loro suono era troppo break, troppo rave… Troppo british per i miei gusti. Ma in quegli anni ho ricevuto tanti input di musica simile e mi sono avvicinato.
Music for the Jilted Generation è stato il disco che ha, di fatto, cambiato il loro suono. Nel 1995 ho iniziato a fare il dj professionista, avevo una serata drum’n’bass al Tunnel di Milano e i Prodigy erano diventati qualcosa da suonare ogni volta. Anche quando poi è uscita Firestarter, qualche anno dopo, anche i più distratti si erano accorti di loro.
Avevano un approccio rock e il rock, in quegli anni, serviva ad abbattere le barriere.
Dal vivo devastavano tutto, in Inghilterra erano dei catalizzatori totali, avevano uno stile unico. E Keith Flint era un animale da palco, inarrestabile. Era un frontman vero. Rimarrà tra le icone da palco più memorabili di sempre.