Gli U2 non erano grandi songwriters quando formarono la band durante il liceo. Ci sono voluti un paio d’anni come cover band a Dublino anche solo per lavori acerbi come Cartoon World e Science Fiction Tune. Tuttavia, alla fine degli anni ’70, qualcosa scattò fra i membri della band, ispirandoli per canzoni epocali come Out of Control o I Will Follow.
Alcuni dei loro capolavori, infatti, sono inclusi nel loro debutto del 1980, Boy mentre, tre anni dopo, la politica entrò a far parte della loro musica ispirando Sunday Bloody Sunday e New Year’s Day. Quando hanno pubblicarono The Joshua Tree, sette anni dopo l’inizio della loro carriera, si erano trasformati nei più grandi cantautori del decennio e, inziata la sperimentazione negli anni ’90, diventarono ancora più forti. Nei 2000 tornarono al suono ruvido degli inizi, con classici come Beautiful Day o Moment of Surrender, fino agli ultimi anni, con Songs of Innocence e Songs of Experience che hanno segnato il ritorno alle origini. Una carriera leggendaria che qui raccontiamo attraverso le loro dieci migliori canzoni.
10. “Even Better Than the Real Thing”
Originariamente concepita durante le stesse sessioni di Desire nel 1988 – e basata su un riff che The Edge ha definito “la cosa più vicina ai Rolling Stones che abbiamo mai fatto o cercato di fare” – questo brano, inizialmente chiamato The Real Thing, è stato trasformato durante le registrazioni di Achtung Baby. Dopo l’intro, la traccia sprofonda dentro atmosfere oscure, guidato dalla chitarra effettata di The Edge. Parlando del testo, Bono ha detto: «È una riflessione sull’epoca in cui stiamo vivendo, dove nessuno cerca più la verità, in cui tutti cercano una gratificazione immediata».
9. “I Will Follow”
«Proviene da un luogo oscuro», ha detto Bono parlando della canzone d’apertura – e momento apice – del debutto degli U2, brano ispirato «da un grande senso di rabbia e desiderio». Incentrata sull’amore tra un figlio e sua madre (la madre di Bono è morta quando lui aveva dieci anni) questa canzone ha dato una grande spinte alla scena post-punk britannica. «Ricordo di aver preso la chitarra di The Edge, suonando un power chord per mostrare l’aggressività che cercavo», ha raccontato Bono. «Le percussioni nel drop sono state realizzate passando una forchetta sui raggi di una bicicletta, come fosse un arpa». I Will Follow è diventata subito uno dei brani principali durante i concerti della band; The Edge ha ricordato uno show di Boston, in cui la canzone era stata suonata tre volte davanti a una folla in delirio: «Quando siamo scesi dal palco ci sentivamo invincibili».
8. “Moment of Surrender”
La hit tratta dall’album pubblicato nel 2009, No Line on the Horizon, con cui gli U2 hanno chiuso praticamente ogni concerto del tour 360 ̊, è una riflessione di sette minuti sulla dipendenza. L’espressione “moment of surrender”, infatti, fa parte del linguaggio usato dagli Alcolisti Anonimi per indicare il momento in cui una persona ammette di aver bisogno di aiuto. «Il protagonista della canzone è un tossico», ha raccontato Bono nel 2009 a Rolling Stone. «Conosco tante persone coraggiose che hanno dovuto affrontare i propri demoni. Probabilmente c’è una parte di me che pensa, “wow, l’ho scampata per un soffio””». Il produttore Daniel Lanois, che ha dovuto affrontare problemi di dipendenza in passato, ha contribuito scrivendo la melodia del ritornello. Il resto della canzone è stato composto durante una jam session, in cui la band aveva improvvisato la versione che poi è stata inclusa nell’album. «Racconta di una sensazione che torno a provare di tanto in tanto – ha raccontato Bono a Rolling Stone prima della pubblicazione di No Line on the Horizon – un sentimento strano, quando aspetti un segnale da Dio che non arriva mai».
7. “With or Without You”
«Non suona come nient’altro della sua epoca», ha detto The Edge del primo singolo estratto da The Joshua Tree. «Non ha niente della mentalità degli anni ’80. Arriva da un luogo completamente diverso». Con il suo suono tagliente e il suo video lo-fi, With or Without You è stato come uno squarcio nel rock ovattato degli anni ’80, brano che ha regalato agli U2 la loro prima numero uno in classifica negli Stati Uniti, trasformandoli controvoglia in popstar planetarie. «Non immagini di sentire una canzone del genere alla radio», aveva detto Clayton, «forse in una chiesa». Il testo della canzone è ispirato dagli eroi del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti e dal new journalism degli anni ’60. With or Without You – costruita semplicemente su un giro di basso e una chitarra eterea che incornicia la voce di Bono – rimane uno dei brani più celebrati nella carriera degli U2, una meditazione dolorosa sulle diverse facce di una storia d’amore. Bono ha spesso ripetuto come la canzone racconti «Come mi sentivo all’epoca negli U2: esposto».
6. “Where the Streets Have No Name”
Con un’intro di quasi due minuti di chitarra, la prima canzone di The Joshua Tree è un inno alla libertà. The Edge si presentò con la versione demo registrata nel suo studio casalingo, ma il prodotto finale è stato il risultato di un processo di lavorazione molto lungo e faticoso, tanto che il co-produttore Brian Eno in seguito ha dichiarato come metà del tempo speso per registrare l’intero disco fosse stato impiegato su quel brano. «Avevamo questa gigantesca lavagna su cui avevamo scritto gli arrangiamenti», ha detto Daniel Lanois a Rolling Stone. «Sembrava di essere a una lezione di scienze». In seguito Bono ha aggiunto: «Racconta di un’idea molto potente. Puoi chiamarla “anima” o “immaginazione”, il luogo dove puoi intravedere Dio». Per il video, diventato iconico per l’omaggio all’ultimo concerto dei Beatles, la band ha suonato sul tetto di un negozio di liquori a Los Angeles durante una delle ore più trafficate della giornata. «È stato tagliato un centinaio di volte – ha ricordato il regista Meiert Avis – ma il carico emozionale del video è tutto dovuto al senso di ribellione; al sapore di libertà rispecchiato dalla band e dai fan».
5. “Bad”
Bad è un brano potente, con un soggetto doloroso. Bono, infatti, ha scritto questa canzone per parlare del boom dell’eroina a Dublino nei primi anni ’80, raccontato dal cantante attraverso le storie di persone a lui care. «Ho sempre avuto grande rispetto per le persone responsabili», ha detto il cantante parlando del brano. «Ma ha sempre rispettato anche le persone irresponsabili. C’è questo lato di me che le comprende, un lato della mia personalità che vorrebbe scappare». Una traccia ipnotica, ispirata ai Velvet Underground, che la band ha registrato in appena tre take, con Brian Eno che ha aggiunto tastiere e qualche sovraincisione. Tuttavia, la grande fortuna di Bad è stato durante i concerti; i Dj delle radio, infatti, hanno sempre preferito la versione dal vivo durante il live registrato sull’EP Wide Awake in America, oppure la versione di 12 minuti realizzata al Live Aid, diventata uno dei momenti più memorabili di tutto il festival.
4. “Sunday Bloody Sunday”
«Ci sarebbe molto da dire sulla prossima canzone», aveva detto Bono alla folla prima di attaccare con Sunday Bloody Sunday al concerto registrato in Live: Under a Blood Red Sky, «ma sto già parlando troppo». Questo brano ha portato gli U2 a un livello superiore: «Provavamo a essere gli Who che incontrano i Clash», ha aggiunto Bono in seguito. La canzone è ispirata dal massacro del 1972, quando i soldati inglesi uccisero 14 manifestanti disarmati in Irlanda del Nord. «Con quel brano abbiamo voluto affrontare il problema invece che nasconderlo sotto il tappeto», ha detto di The Edge in un’intervista. Non è stata la prima canzone sul Bloody Sunday – John Lennon e Paul McCartney pubblicarono entrambi un disco di protesta prima della fine del 1972. Tuttavia gli U2 avevano scritto un vero e proprio inno del pacifismo cattolico militante, tra la marcia suonata dalla batteria di Larry Mullen Jr., il violino di Steve Wickham – uno sconosciuto incontrato da The Edge a una fermata del bus a Dublino – mentre la voce di Bono scuote dal palco una bandiera bianca. Come ha raccontato Bono a Rolling Stone: «Non sono interessato alla politica intesa come persone che combattono tra di loro con pietre e bastone, piuttosto alla politica dell’amore».
3. “Beautiful Day”
Dopo aver trascorso gli anni ’90 creando musica che non suonava nemmeno lontanamente vicino agli album che lanciarono gli U2 negli anni ’80, la band decise di accogliere il 2000 tornando alle proprie radici sonore. «C’era stato un grande dibattito sul suono delle chitarre in Beautiful Day», ha detto The Edge. «Quello era davvero il suono U2, quello stesso suono che avevamo creato noi ma che avevamo abbandonato. Abbiamo discusso perché non tutti nella band erano convinti di un ritorno a quel suono». La band combinò quindi le sonorità delle origini con i tocchi elettronici del co-producer Brian Eno, con Bono che aveva scritto un testo sull’importanza di accogliere il dolore, ispirato dal predicatore australiano John Smith. «Mi aveva parlato di come la depressione e il dolore siano una delle sfide più importanti nella nostra vita – aveva raccontato Bono – è con il dolore che ci rendiamo davvero conto di vivere». Beautiful Day esplose in radio alla fine del 2000 e regalò un Grammy agli U2, contribuendo al grande ritorno con All That You Can’t Leave Behind, eletto disco dell’anno. Durante il discorso di premiazione, Bono aveva detto che la band stava «riprendendo il suo posto di lavoro come miglior band del mondo».
2. “I Still Haven’t Found What I’m Looking For”
«La musica che davvero mi emoziona è sia quella che ti porta verso Dio, sia quella che te ne allontana», aveva raccontato Bono a Rolling Stone. Il secondo numero uno in classifica degli U2, infatti, raccontava proprio del rapporto ambivalente del cantante con la religione – «Un inno al dubbio più che alla fede», aveva commentato Bono parlando del singolo. Nata durante una jam session, la canzone è figlia del periodo di duro lavoro per The Joshua Tree e originariamente doveva essere intitolata Under the Weather. «Mi ricordava un po’ Eye of the Tiger suonata da una band reggae» ha confidato The Edge. «Aveva questo beat grandioso – ha aggiunto Daniel Lanois – ricordo che avevo accennato questa melodia molto tradizionale a Bono e lui all’improvviso aveva esclamato: “Basta, non cantare altro”, poi si era messo a scrivere la melodia come oggi la conosciamo». Il testo della canzone è pieno di riferimenti religiosi e immagini prese dalla tradizione del gospel americano, filtrati dallo sguardo della band. «Cercavo di riprendere la tradizione, per poi distorcerla – ha detto Bono nel 1984 – questa è l’idea dietro I Still Haven’t Found What I’m Looking For».
1. “One”
In un catalogo dedicato ad esplorare l’amore romantico, la fede spirituale e la giustizia sociale, non esiste un singolo degli U2 migliore per racchiudere questi temi in maniera più potente di questa meravigliosa ballad. «Parla dello stare insieme, ma non con quella vecchia idea hippie del “andiamo a vivere tutti insieme”», aveva raccontato Bono. «In realtà racconta l’opposto. La canzone dice “We are one, but we’re not the same“, che dobbiamo andare d’accordo gli uni con gli altri per sopravvivere in questo mondo».
Il testo, ispirato alle tensioni che all’epoca consumavano la band, «È piovuto dal cielo, come un dono – ha ricordato Bono – One, ovviamente, parla degli U2». La musica, nata attorno a qualche riff di The Edge, è stata arrangiata fino allo stremo da Brian Eno e Daniel Lanois, che hanno aggiunto tensione alla delicatezza originale del brano. Il risultato è un equilibrio perfetto tra suoni intimi e grandiosi. La sessione ritmica e le sfumature di The Edge guidano il viaggio di Bono, dall’inizio quasi sussurrato di “Is it getting better?” fino al bridge – in cui il cantante ripete “love” con voce spezzata – fino all’outro in falsetto, ricco di dolore e speranza. One, inoltre, porta con sé anche un significato fortemente politico – registrata in Germania verso la fine della Guerra Fredda, mixata in Irlanda. Bono più tardi ha infatti ricordato: «Eravamo in tour in Europa mentre in Bosnia scoppiava la guerra, a volte combattevano a 300 miglia da dove stavamo suonando». Pubblicato come singolo benefico per la ricerca sull’AIDS, il brano parlava alle famiglie e ai giovani dilaniati dalla malattia. Cantanti come Johnny Cash o Mary J. Blige hanno realizzato delle cover di One, Michael Stipe ne ha cantato una versione memorabile durante un evento di Mtv che celebrava l’insediamento di George Clinton, mentre Axl Rose ha definito la canzone “una delle più grandi mai scritte” raccontando come, la prima volta che l’ha sentita, non riuscisse a smettere di piangere.