Francesco Chiricozzi ha 21 anni, è un consigliere comunale di CasaPound a Vallerano, piccolo comune alle porte di Viterbo (dove alle ultime elezioni la “testuggine” aveva preso 300 voti, il 20% del totale). Marco Licci ha due anni di meno e, da quanto si legge sulle testate online, sarebbe a sua volta un militante della formazione neofascista. Secondo gli inquirenti che hanno disposto il loro arresto, la notte del 12 aprile avrebbero violentato una donna di 36 anni, anche lei simpatizzante di estrema destra. Dopo aver bevuto assieme, l’avrebbero condotta in un pub – definito sui siti “circolo dell’organizzazione” – dicendo che era in corso una festa. Una volta giunta sul posto la donna è stata stordita a pugni, prima di essere abusata sessualmente per ore.
Francesco Chiricozzi e Marco Licci sono un’aberrazione, come quel fascismo passivo aggressivo che CasaPound vorrebbe traghettare nel terzo millennio, nascondendo le braccia tese tra i banchetti alimentari e la presenza sul territorio. In uno scenario politico desolante e preoccupante, rappresentano il peggio. Oggi vengono accusati di un reato tra i più odiosi di tutti: violenza sulle donne, la vera emergenza italiana che non figura mai in cima ai programmi elettorali. Sul suo profilo Instagram – nelle ultime ore arato dai giornalisti in cerca di nostalgia e contraddizioni –, Chiricozzi aveva postato (e poi rimosso) un manifesto del ventennio in cui un soldato di colore aggrediva una donna bianca. Sotto lo slogan: “Difendila! Potrebbe essere tua madre, tua moglie, tua sorella, tua figlia”.
Da questa mattina la strumentalizzazione della vicenda è stata incessante. Tutti commentano a seconda delle proprie convinzioni e dei propri obiettivi. Nel dibattito pubblico, e in quello social, ogni cosa si mischia: gli stupri neri e quelli bianchi, le battute attorno al tema “prima gli italiani”, i j’accuse a gruppi e pensieri, le abborracciate prese di distanza e i silenzi imbarazzanti. Pensieri per la vittima, pochi.
Uno, però, è bene che oggi vada anche a Francesco Chiricozzi e Marco Licci, i nostri peggiori nemici. “Se quanto riporta la stampa in queste ore corrisponde al vero mi auguro si facciano 30 anni di galera”, ha detto nelle scorse ore il ministro Luigi Di Maio. Per la legge italiana – che pur dovrebbe contare qualcosa per un vicepresidente del Consiglio -, però, il reato di violenza sessuale prevede una pena massima fino a 14 anni, in base alle aggravanti. E nemmeno il recente pacchetto di norme proposto dal suo Movimento 5 Stelle aumenterebbe sensibilmente la soglia della pena.
Il leader pentastellato non è stato l’unico big del governo a commentare l’episodio viterbese. “La galera non basta, ci vuole anche una cura”, ha rilanciato Matteo Salvini come soluzione al problema “pedofili e stupratori”. “Chiamatela castrazione chimica o blocco androgenico, la sostanza è che chiederemo l’immediata discussione alla Camera della nostra proposta di legge, ferma da troppo tempo, per intervenire su questi soggetti”. Il titolare del Viminale, come sempre, cavalca l’indignazione e offre al popolo una risposta facile. E sbagliata. Perché l’idea che uno stupratore vada “curato” è per lo meno scivolosa, e la castrazione chimica fa semplicemente schifo.
Ma c’è sempre chi va oltre. “Qualora e se risultasse colpevole auspico una pena durissima! Come per ogni altro INFAME stupratore. Più volte non ho esitato a chiedere per gli stupratori la castrazione (non chimica), e non cambio di certo idea solo perché questo presunto stupratore era iscritto a CasaPound” ha detto – vedi un po’ gli amici… – il leader del gruppo neofascista Simone Di Stefano, che ha annunciato l’immediata espulsione dell’ex consigliere comunale. La castrazione non chimica, dice lui.
Tutto questo oggi pare normale, ma non lo è. Non è normale che un esponente del governo invochi una pena a poche ore dall’apertura di un’indagine, tanto più se non è quella prevista dal nostro ordinamento. Non è normale che si usino fatti di cronaca tremendi per condurre le proprie battaglie politiche, e proporre soluzioni alla Game of Thrones. Non è normale, ma noi tutto questo non lo sappiamo più. Perché un lungo percorso ci ha portati qui e ormai l’assuefazione è totale.
Di questa deriva in molti abbiamo delle colpe. Chi pensava, solo per rimanere all’era contemporanea, che Tangentopoli fosse un inedito nella storia dell’umanità e quindi giustificasse legislazioni speciali. Chi ha visto in Berlusconi il male assoluto – la fascinazione per certi personaggi e certe argomentazioni riguarda molti di noi -, da combattere su ogni campo di battaglia, aule dei tribunali comprese. Chi ritiene che la nostra corruzione atavica e il cancro delle mafie facciano sì che non si possa andare più per il sottile.
È la rincorsa interminabile alla prossima emergenza che ha legittimato tutto questo. Il giustizialismo è papà di ogni guaio che affligge oggi la cosa pubblica: il dominio della comunicazione sulla politica, l’eterna semplificazione della realtà – o di quel che ne rimane -, la solleticazione delle viscere, le ansie di sicurezza, la ricerca del nemico a tutti i costi per non affrontare davvero le questioni. Pensare a Francesco Chiricozzi e a Marco Licci, o meglio a quello che sappiamo di loro dai media – altra parte enorme del nostro enorme problema – che ne hanno trattato, fa prudere le mani a tutti quanti, ed è giusto e normale che sia così. Buttare in caciara la giustizia ancora una volta è la risposta peggiore che si possa dare.