Se non fosse per la fila che trovi all’uscita dall’autostrada (buon segno) e per le previsioni che mettono pioggia più o meno per sempre (pessimo), potresti definire anche Cannes a real nice place: anche se decisamente più chiassosa e glamour della Centerville che Jarmusch prende in prestito da Frank Zappa mandando in loop – e attentando alla pazienza di Bill Murray -, The dead don’t die del country man Sturgill Simpson.
Gli zombie abbondano anche sul red carpet, ma d’altra parte il Born in Usa a tutto volume che saluta l’arrivo della giuria (ma lo sanno che Iñárritu è messicano?) risveglia anche i morti. C’è l’omaggio commosso (con video tributo) ad Agnès Varda, che si inerpica, coraggiosa, su tutti i manifesti della 72esima edizione, siluri invece all’indirizzo di Alain Delon. A Cannes per ricevere una (giusta) Palma d’oro alla carriera, il bello e impossibile del cinema francese che ha girato in Italia i suoi film migliori, finisce nel mirino delle femministe Usa che lo tacciano di razzismo, misoginia e omofobia. Imbarazzo generale, con il Festival che mette le mani avanti: “Mica gli diamo il Nobel per la Pace”. Vero, ma difesa d’ufficio così così.
Mr. President Iñárritu ricorda che il cinema “è un’esperienza che può cambiare anche il mondo: siamo qui per emozionarci, non per giudicare”. Il protocollo intanto è sempre più complesso: i giornalisti firmano col sangue le regole dell’embargo che li obbligano a scrivere più o meno alla velocità con cui Bolt correva i 100 metri, mentre sulla montée des Marches sono proibiti sneaker e sandali. Donne rigorosamente con i tacchi, magari a spillo come le prediligeva Almodóvar, atteso a breve.
Vietati anche per il secondo anno consecutivo – i selfie: fanno volgare e rallentano le operazioni. Molte bellissime sulle scale della celebrità: ma se le starlette sgomitano, il nostro colpo di fulmine è per Gong Li, 54 anni e fascino da vendere, in abito scenografico di Ralph e Russo. Deliziosa la Fanning, un po’ sciura la Ledoyen, con gonna gialla che non passa inosservata Alice Rohrwacher, giurata sorridente. Intanto, dietro le quinte, si fanno già le prime “spese”: la Lucky Red ha comprato il film di Loach, la Bim si è assicurata il cartoon di Lorenzo Mattotti, La famosa invasione degli orsi in Sicilia. Poi, finalmente, si comincia: ma non si fa sul serio, per fortuna.
Inaugurazione insolita, cast fichissimo e ultra eterogeneo (i teen stravedono per Selena Gomez in hot pants, ma dai 50 in su si fa il tifo per il saggio Tom Waits), standing ovation scontata: nella zombie comedy di Jarmusch (che in Italia esce il 13 giugno col titolo I morti non muoiono) gli eremiti leggono Melville, i negozianti nerd indossano la maglietta di Nosferatu e Iggy Pop (che quasi fa più paura senza trucco) ha una gran voglia di caffè. Ma salva la pelle solo chi rifiuta questo brutto mondo; gli altri, anche da (non) morti restano schiavi delle loro ossessioni inutili e consumistiche: e, magari, cercano invano ancora il wi-fi. Pennellate serafiche, colpi di tacco cinefili (fantastica Tilda Swinton in versione Kill Bill), divertito metacinema (“Some fai a sapere tutto in anticipo?”. “Ho letto lo script”) e un numero incalcolabile di citazioni, da Romero in giù. C’è lo sguardo sull’America e, centrale, la denuncia (i morti ritornano a causa dei cambiamenti climatici che hanno mandato in pappa la Terra…) ambientalista, ma prevale, sempre e comunque, il gioco. E se l’apocalisse è già qui, pazienza: le autorità continuano a dire che va tutto bene.