Mentre i fan dei Led Zeppelin erano impegnati a recuperare le loro magliette preferite e le foto impolverate dei vecchi tour per arrivare pronti al 50° anniversario della band, il team di Tim Fraser-Harding di Warner Music Group metteva a punto il suo piano di battaglia.
A capo del catalogo globale della musica di Warner, Fraser-Harding è responsabile di tutte le strategie di marketing che riguardano l’immenso patrimonio di canzoni non-contemporanee – una collezione che contiene alcune tra le hit più famose degli ultimi decenni, insieme a moltissime gemme nascoste. Per le nozze d’oro dei Led Zeppelin, il team ha preparato un “logo name generator” – che, come dice il nome, genera immagini con i nomi degli utenti scritti con il tipico font della band – e un “playlist generator” che permette agli utenti di assemblare le loro canzoni preferite degli Zeppelin, oppure di vedere le canzoni scelte da artisti come Jack White e Royal Blood. Questa coppia di novità digitali, pensata come antipasto di tutte le altre iniziative organizzate per l’anniversario, arriva insieme a una serie di feature che permettono ai fan di condividere playlist e immagini sui social media.
Il sito ha accumulato più di 200mila visitatori unici in meno di 10 giorni; gli utenti hanno creato 230mila loghi e 20mila playlist personalizzate. Il risultato più soddisfacente è arrivato dalla playlist di White, Led Zeppelin x Jack White, che ogni giorno attira migliaia di utenti – per centinaia di migliaia di stream, cioè un continuo flusso di denaro per Warner, senza che i Led Zeppelin muovano un dito.
«Ogni volta che un artista festeggia 50 anni di carriera il pubblico ha fame di conoscenza», dice Fraser-Harding. «Noi dobbiamo approntare gli strumenti giusti per educare e aprire nuovi orizzonti ai potenziali consumatori. Dobbiamo pensare alle loro reazioni. A volte, si tratta di tirare fuori un’idea dal nulla».
Nella vecchia industria musicale, il marketing “di catalogo” era spesso caratterizzato dalla prevedibilità e soprattutto dai bassi profitti. Quando i CD regnavano sovrani, i dipartimenti delle etichette dedicati ai cataloghi pubblicavano cofanetti commemorativi e compilation, ma l’appetito dei fan era limitato. Nell’era digitale, con un pubblico di giovani affamati di scoperte, il terreno è fertile per far sì che i cataloghi tornino in vita grazie a idee innovative applicate alle nuove tecnologie.
«È un momento molto interessante per chi si occupa di cataloghi. Se penso al mio lavoro, è un po’ come quella scena in cui Jean-Claude Van Damme è incastrato tra due camion. Non siamo nella posizione di saltare da un veicolo all’altro, dobbiamo bilanciare l’eredità degli artisti, soprattutto quelli che hanno grande forza sui formati fisici, con le potenzialità di chi invece è nato e ha più successo nello streaming».
Monetizzare un catalogo non dipende più dalla pubblicazione di cofanetti pensati per accontentare i vecchi fan, ma piuttosto dalla messa a punto di una strategia adatta anche ai nuovi ascoltatori. Spotify e Apple Music hanno reso questo passaggio infinitamente più semplice. Nonostante molti artisti si lamentino delle basse royalties che arrivano dallo streaming, le etichette discografiche vedono le nuove piattaforme come un’occasione per profitti a lungo termine, potenzialmente infiniti: un lento e costante flusso di denaro che si accumula nel corso del tempo. Questa filosofia funziona particolarmente bene con quegli artisti che non sono più in attività, ma che nel corso della loro carriera hanno accumulato più di una hit immortale, oppure con chi ha il potenziale di convincere nuovi ascoltatori.
Nel caso di una band come i Led Zeppelin, la sfida era creare un modo semplice per espandere il pubblico. Per gruppi meno noti, invece, si cercano strategie più particolari – per esempio, si può chiedere a un artista più famoso di citarli tra le sue influenze – per attivare un nuovo flusso di stream di teenager curiosi. «Nessuno passa il suo tempo a usare Shazam, quindi dobbiamo trovare altri modi per diffondere la vecchia musica, nuove tecniche di marketing e strategie di engagement dei consumatori», dice Fraser-Harding.
Per quanto riguarda Shazam: le etichette discografiche sono al lavoro per sfruttare al massimo il mercato di chi ascolta una canzone in TV e vuole subito sapere chi è a cantarla. «Gli appassionati di musica e l’industria sono molto attenti alle nostre classifiche. Il successo su Shazam rappresenta lo spirito del tempo, è il collegamento perfetto tra la musica e il pubblico», dice Jen Walsh, senior director di Shazam per Apple Music. In alcuni casi, spiega Walsh, una vecchia canzone utilizzata nel modo giusto può generare molta più attenzione di una normale uscita discografica: quando Game of Thrones ha utilizzato Jenny of Oldstones dei Florence + the Machine, nelle prime 24 ore dopo la messa in onda più di 300mila persone hanno cercato la canzone su Shazam.
Il mondo del licensing – la musica utilizzata per film, televisione e pubblicità – è spietato. Le etichette fanno molta pressione sugli studios e sui produttori per inserire la canzone giusta al momento giusto, così da ottenere dallo streaming profitti enormi e immediati. «Le canzoni utilizzate nei film, o negli spot, restano subito in testa. Il potere della musica, in alcune scene, è davvero straordinario», dice l’avvocato specializzato in licensing Erin Jacobson. «Da un punto di vista finanziario, ottenere questo nuovo flusso d’interesse e guadagni è fondamentale, soprattutto per musica che tutti consideravano inerte».
Al pubblico non interessa più in che anno è stata pubblicata la loro canzone preferita; vogliono solo che suoni bene. Shazam ha spiegato a Rolling Stone che Truth Hurts di Lizzo è arrivata al primo posto solo dopo l’uscita di Someone Great, il film di Netflix, mentre il suo singolo di punta Juice è fermo al 52°.
Servizi come Apple Music, Amazon Music e Spotify sono ormai il metodo principale con cui si ascolta la musica, e il loro pubblico cresce a velocità costante. L’era dello streaming ci dà la possibilità di «cambiare le cose in un attimo», dice Fraser-Harding. Lo scorso anno, una persona del suo team scoprì che Rubberband Man – una canzone semi-sconosciuta degli Spinners, pubblicata nel 1976 – era finita in Avengers: Infinity War. La mattina successiva, Warner aveva già messo online una playlist dedicata e attivato una strategia di marketing legata a quella canzone.
Questa nuova versione così frenetica della nostra memoria culturale ha un solo lato negativo. «Tutto è più sfuggente, il momento giusto dura molto meno che in passato», dice Fraser-Harding. «Se non ti muovi in fretta è finita».