Aladdin si è appena svegliato? Sembra di sì. Scritturare persone di diversa etnia è stata una scelta ispirata per la versione live-action di Guy Ritchie del film d’animazione Disney. Come Will Smith, fiero nel ruolo del Genio, il personaggio a cui Robin Williams ha dato vita in maniera esilarante con la sua voce nel 1992. Mena Massoud, che interpreta Aladdin, ha radici egiziane. Naomi Scott, ovvero la Principessa Jasmine, è di origine indiana. Nasim Pedrad, la sua ancella Dalia, è nata in Iran. E Marwan Kenzari, il villain Jafar, è in parte tunisino. Una fantasia di notti arabe piena di attori dalla pelle scura? Meraviglia delle meraviglia.
Che il film sia di per sé un piacere, al di là delle sue buone intenzioni, è la ciliegina sulla torta, anche se i cliché e gli stereotipi etnici continuano a intrufolarsi. In questo film per famiglie Ritchie, meglio conosciuto per action come RocknRolla e Lock & Stock – Pazzi scatenati, non tira fuori l’artiglieria pesante, ma dà alla storia un movimento che aiuta quando si cerca di confrontarsi con le possibilità dell’animazione. Ovviamente è una battaglia persa, ma l’intenzione è precisa.
Gli attori aiutano moltissimo. Massoud, già molto convincente nella serie tv di Jack Ryan, è un fuoco d’artificio nei panni di Aladdin, che gira per le strade di Agrabah come un acrobata mentre canta la colonna sonora firmata da Alan Menken, Howard Ashman e Tim Rice. La sua One Jump Ahead (in italiano La mia vera storia) ha un’energia vorticosa che non troverete nella versione musicale attualmente in scena a Broadway. Aladdin ha un problema: è innamorato di Jasmine, una principessa il cui status va ben oltre il suo. E non riconoscerete Jasmine rispetto al suo personaggio del cartoon. Non sogna più solo l’amore, ma vorrebbe essere l’erede del padre sultano (Navid Negahban) e prendere decisioni per il suo Paese. Ha anche una nuova canzone, Speechless, scritta dai vincitori dell’Oscar per La La Land Benj Pasek e Justin Paul. E Scott la sfrutta al massimo.
Come finiscono insieme questi due opposti? Grazie al Genio, ovviamente. Smith lo interpreta nella sua versione umana e, in seguito, come una meraviglia potenziata dalla computer graphic, che esce da una lampada quando Aladdin la sfrega. Il Genio può realizzare solo tre desideri, nessuna eccezione. Per iniziare, Aladdin vuole essere un principe degno di corteggiare Jasmine. E Ritchie tira fuori tutte i suoi assi nella manica in Prince Ali (Il principe Ali), un numero musicale con una produzione da circo.
Smith, tuttavia, è il miglior effetto speciale del film. Porta l’impertinenza del Principe di Bel Air al ruolo e saggiamente non cerca mai di imitare l’inimitabile Robin Williams. Quando rivisita in modo personale il mitico brano del Genio, Friend Like Me (Un amico come me), Smith è un’esplosione di comicità. Le sue scene con Massoud hanno una carica sconclusionata che solleva l’umore quando la meccanica della trama si fa pesante. Cosa che accade più o meno a metà, con Ritchie e il co-sceneggiatore John August che accantonano la scintilla per pensare al franchise commerciale. La prospettiva romantica funziona benissimo, specialmente quando Aladdin e Jasmine cavalcano un tappeto magico (lo amerete) e duettano sulle note di A Whole New World (Il mondo è mio), brano che ha vinto l’Oscar. Ma azzardare una storia d’amore tra il Genio e l’ancella di Jasmine sa di riempimento. E mai una volta penserete che Jafar sia abbastanza malvagio da impedire un lieto fine.
Eppure, ogni volta che Aladdin diventa troppo blando o le canzoni suggeriscono la sensazione statica di un musical di Broadway che è in scena da troppo tempo, Ritchie e gli attori scatenano sorprese a ruota libera e capriole inarrestabili che attirano la nostra attenzione. Avevamo davvero bisogno di un altro remake live-action di un classico Disney? Forse no. Ma questo va giù bene.