La sostituzione di un termine con un altro che per qualche ragione si trova a spiegarne il significato meglio dell’originale è roba comunissima nella lingua orale, lo facciamo tutti continuamente, e ha un nome: metonimia. L’avete studiata, ma poi ha prevalso l’uno vale uno, la fatturazione elettronica, e vabbé.
Nel tennis invece è molto più semplice: Wimbledon. Se dici Wimbledon dici tennis, non dici il quartiere di Londra, non dici l’Afc Wimbledon (già Wimbledon Fc) vincitore di una FA Cup a fine anni Ottanta, niente di tutto ciò. Wimbledon è il tennis, e non solo perché è il più antico torneo esistente, o per le divise bianche, o per l’attenzione maniacale riversata su quei pochi millimetri di fili d’erba curati un anno intero solo per vederli violati in due sole settimane di gioco da bestioni armati di scarponi di gomma che tergicristallano da qui a là e viceversa spesso senza sapere bene perché.
Wimbledon è tradizione, è gesti bianchi, è eleganza. È eleganza del gioco. Non importa chi vince – sì certo che importa è un gioco con un punteggio – ma è l’unico torneo che ti permette di cristallizzare un giocatore per sempre, anche se ha sempre perso o quasi. Per dire, Petr Korda è Wimbledon, Jana Novotna è Wimbledon, pure Gianluca Pozzi –per chi l’ha visto – paradossalmente è Wimbledon. Rafa Nadal, che ha appena distrutto chiunque a Parigi per il suo dodicesimo Roland Garros, invece non è esattamente Wimbledon. Ha giocato partite memorabili, compresa quella vinta al quinto su Federer a metà 2000, incredibile. Nadal è un genio, è formidabile, ma non è Wimbledon. Troppo volere, troppa garra – ecco, se Wimbledon è una cosa è l’anti-garra – infine troppo sudore. Wimbledon non è sudore. Wimbledon è leggerezza nel rigore.
E invece l’eleganza cos’è se non arrivare a perdere, che siano partite o quote di mercato, e starci. Perché alla fine gli altri passano, gli avversari, i competitor o chicchessia, ma il fuoriclasse rimane. E il fuoriclasse è tale perché per definizione sta fuori dalla classe, il fuoriclasse è immune alle mode. E Wimbledon è il tennis, e Wimbledon ha scelto un marchio a cui associarsi, Stella Artois, che è sempre lo stesso, e un motivo ci sarà. Perché la tradizione non è immobilismo, all’opposto, la tradizione è “ehi se sto qui da 200 anni un motivo ci sarà, vedi di fidarti”. Quindi vinca chi vinca al prossimo Wimbledon – dall’1 al 14 luglio – una cosa è certa: nessuno coprirà il campo come lui, nessuno sarà così leggero, nessuno piglierà più “oooh” dalla tribuna, e anche se probabilmente non vincerà, tutti ci ricorderemo di lui ancora una volta. Lui è Roger Federer, là fuori c’è Wimbledon e il duca di Kent in tribuna, la probabile pioggia, i tabelloni antiquati, i nomi degli sponsor. Sempre loro, sempre gli stessi, perché è giusto, è così che deve andare.