Qualora servisse ulteriore dimostrazione di quanto dannosi siano i monopoli, il mondo del wrestling nordamericano sarebbe il caso di studio ideale. Da quelle parti la concorrenza non è mai stata il paradigma, con aree del paese monopolizzate da singole federazioni regionali fin dagli esordi. L’esplosione di popolarità della WWE (allora WWF) negli anni ’80 ha solo spostato il problema su un piano diverso. Non per nulla il momento d’oro della disciplina viene da tutti associato con la Monday Night War, il periodo a cavallo tra il 1995 e il 2001 in cui il dominio totale della WWE è stato messo in seria discussione dalla WCW di Ted Turner. Una guerra capitalista per gli ascolti del prime time del lunedì condotta a colpi di sediate e volgarità che si è conclusa con il fallimento dell’utopia di Turner, fagocitata dall’istrionico proprietario della WWE, Vince McMahon.
Effetti collaterali
Se le conseguenze della deriva monopolistica del wrestling si limitassero a show settimanali scritti da scimmie ammaestrate, palazzetti vuoti e ascolti in picchiata, in fondo si potrebbe liquidare il tutto come ripercussione tra le più trascurabili della modernità. Il dominio della WWE, tuttavia, porta con sé un effetto collaterale ben più preoccupante e disdicevole: la progressiva, ma inesorabile estinzione dei giochi di wrestling. Vero è che, se ci limitassimo agli ultimi capitoli della serie di WWE 2K, tale evenienza non sarebbe di certo ascrivibile tra le catastrofi. In passato però il wrestling ha spesso prestato la sua colorata follia a titoli divertenti e spensierati, in grado di catturare con precisione quel mix di testosterone e non-sense che caratterizza la disciplina. Quindi perché non se ne possono avere di altrettanto godibili oggi?
Non è tempo per noi
Le cause, come ovvio, sono molteplici. Da un lato, il materiale originale, ovvero il wrestling, sembra aver perso la carica attrattiva che aveva in passato. I tempi di Hulk Hogan e Ultimate Warrior eroi dei bambini sono ormai tramontati e con loro anche i giochi come WWE Wrestlefest o il mitico Royal Rumble per SNES. Forse perché quel wrestling metteva in scena una rappresentazione semplice della lotta tra bene e male, e oggi il presente non è per nulla semplice. Tuttavia anche la Attitude Era, col suo approccio politicamente scorretto, espressione allegorica perfetta dei ’90, è passata alla storia insieme a No Mercy per Nintendo 64, forse il miglior gioco di wrestling di sempre. Oggi il wrestling è un prodotto che vuole risultare adatto a tutti inscenando è una finta trasgressione che non colpisce i bambini e annoia i grandi. Il che si riflette nei giochi su licenza realizzati da 2K, ormai da anni avviluppati su se stessi, privi di qualunque novità e a volte addirittura monchi di feature rispetto alle precedenti edizioni. Non per nulla, il solo target a cui parrebbero mirare è quella fetta sempre più stretta di appassionati che comprano il gioco a prescindere per l’aggiornamento del roster.
Here comes a new chellenger
Il recente ingresso in scena di AEW, nuova compagnia finanziata da Tony Khan, altro esponente di quell’imprenditoria eccentrica che sembra essere la sola fonte di finanziamento ad alti livelli del wrestling, potrebbe però rappresentare la ventata d’aria fresca che si attendeva da tempo. Questa nuova federazione fondata sull’entusiasmo di un gruppo di ragazzi emersi dalle indie sta già attirando su di sé l’attenzione dei fan e dei media. Non è poi così improbabile, dunque, che presto o tardi la licenza possa finire in mano a qualche studio di sviluppo intenzionato a competere con 2K. Senza il fardello del franchise WWE, qualcuno potrebbe riprendere i buoni spunti di Here comes the pain, soprattutto la modalità narrativa che provava a imbastire storyline ben scritte, dagli esiti non obbligati e cucite intorno a ciò che succedeva sul ring. Magari coniugandole con l’approccio più rigoroso e tecnico, ma meno appagante, di Fire Pro Wrestling. E, se fosse possibile esprimere un desiderio, con un motore grafico che non affondi nell’uncanny valley. Come dire, viva la concorrenza.