Se non è una giornata storica, di certo rappresenta un punto messo a segno nella lunga e complicatissima battaglia per l’approvazione di una legge sul fine vita nel nostro Paese. Oggi è stato reso pubblico il primo parere sul suicidio medicalmente assistito redatto dal Comitato Nazionale di Bioetica, istituto che svolge funzioni di consulenza per le istituzioni e di informazione nei confronti dell’opinione pubblica sui temi etici collegati alla ricerca e alla salute. Tra i membri del comitato ha prevalso, seppur di poco e con il consueto voto contrario della componente cattolica, la linea favorevole a un’apertura nei confronti del provvedimento, che, è stato sottolineato, è “distinto dall’eutanasia”.
Il Comitato auspica anzitutto che si faccia chiarezza sull’aiuto medicalizzato al suicidio (con cui si indica l’aiuto medico e amministrativo portato dalle istituzioni a chi ha deciso di togliersi autonomamente la vita, a differenza dell’eutanasia, termine più generico che significa “dolce morte” ma che nell’accezione comune si intende l’atto di procurare attivamente la morte di un individuo nel suo interesse), “nel pieno rispetto di tutte le opinioni al riguardo, ma anche con la dovuta attenzione alle problematiche morali, deontologiche e giuridiche costituzionali che esso solleva e col dovuto approfondimento che esige una tematica così lacerante per la coscienza umana”. Questo articolo dell’Ansa chiarisce meglio alcuni passaggi del parere del CNB.
Tutto parte dalla morte di Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo, morto in una clinica svizzera nel febbraio 2017 dopo una lunga malattia. Ad accompagnarlo era stato Marco Cappato, finito a processo per il reato di aiuto al suicidio (che prevede da 5 a 12 anni di pena). La sua vicenda giudiziaria ha forzato il dibattito sul tema, a cui la politica italiana è da sempre allergica. Il passaggio chiave è avvenuto lo scorso novembre, quando la Corte Costituzionale, esprimendosi sulle accuse rivolte a Cappato, ha dato un anno di tempo al parlamento per dare al nostro Paese un quadro normativo chiaro su eutanasia e suicidio assistito. Il tempo scadrà il 24 settembre e a questo punto diventa sempre più improbabile aspettarsi che la politica si assuma le proprie responsabilità e voti una legge, a quel punto toccherebbe alla Consulta a farlo.
Nel percorso di avvicinamento a quel momento, intanto, registriamo il voto del Comitato di Bioetica, particolarmente importante perché include tra i casi per cui è necessaria una legge anche quelli dove una persona non è attaccata alle macchina (come nel caso di Fabo), ma abbia una malattia irreversibile e che provoca dolori insopportabili. Quest’ultimo caso è quello di Davide Trentini, morto sempre in Svizzera nell’aprile 2017.
Da qui comincia la nostra chiacchierata con Valeria Imbrogno, ex campionessa europea di pugilato e compagna di Dj Fabo, che lo ha accompagnato negli ultimi anni di vita e nella decisione di rendere pubblica e “politica” la scelta personale di porre fine alla propria vita, devastata dalla malattia. Anche lei, suo malgrado, è diventata un volto di questa battaglia civile, e non ha alcuna intenzione di tirarsi indietro ora.
Quanto è importante il documento del Comitato Nazionale di Bioetica?
Molto, anche se il voto del Comitato è arrivato a maggioranza con 13 membri favorevoli a un’apertura sul suicidio assistito e 11 contrari. Non era per nulla scontato che il voto andasse così, mi pare un significativo riconoscimento della dignità della sofferenza delle persone.
Il 24 settembre scade il tempo che la Consulta ha dato al parlamento per legiferare sul fine vita. Cosa ti aspetti che accada?
Ti rispondo da compagna da Fabiano o da cittadina?
C’è tanta differenza?.
Per la nostra battaglia, il fatto che il parlamento non si sia ancora pronunciato è una vergogna. Ma, da pugile, non la vivo come una sconfitta, perché quando un avversario sul ring si rifiuta di combattere non c’è nulla che tu possa fare per obbligarlo.
E da cittadina che dici?
Ora che ci penso, più o meno la stessa cosa. Da quando la Consulta si è espressa e ha detto che serve una legge, i nostri politici hanno pensato solo a guadagnare tempo. La delusione è tanta.
Cosa succederà secondo te da qui a fine settembre?
Non mi aspetto che il parlamento cambi atteggiamento: farà scadere i termini e la Corte sarà costretta a esprimersi. Non so come andrà a finire, in ogni caso continueremo la nostra battaglia.
Il 19 settembre a Roma ci sarà un evento musicale per chiedere al parlamento una legge per l’eutanasia legale. Vuoi usare Rolling Stone per invitare qualche artista?
Wow, posso? Allora dico Paul Kalkbrenner, che era uno dei dj preferiti di Fabiano. Lo abbiamo anche incontrato.
Perché un artista – e ciascuno di noi – dovrebbe esporsi per questa battaglia civile?
Perché l’autodeterminazione è la cosa più preziosa che abbiamo. Io e Fabiano abbiamo impostato tutta la nostra vita sul concetto di libertà, ed è un valore che mi piace condividere con tutti.
La politica su questi temi è immobile e anche da un punto di vista mediatico il livello non è granché alto. Hai la sensazione che la “gente comune” sia più avanti delle élite?
Dopo la morte di Fabiano, ho realizzato varie volte che le persone sono più pronte rispetto alla politica. La gente ha fatto grandi passi in avanti in questi anni e ora vuole decidere della propria vita, e ha bisogno di una legge che parli di libertà e autodeterminazione.
Ancora oggi, ad accompagnare la notizia delle indicazioni del Comitato di Bioetica, ho visto pubblicate online le tue foto con Fabiano. Che effetto ti fa?
La gente vede quegli scatti su un sito o sulle pagine di un giornale. Per me, invece, quelli sono momenti di vita, sempre impressi nella mente. Quando le trovo pubblicate in giro, la memoria viaggia e inevitabilmente soffro un po’. Ma oggi, a distanza di qualche tempo, riesco a sorridere, ripensando ai bei momenti che ho vissuto con Fabiano. E poi, anche alla luce di giornate come quella di oggi, ho la consapevolezza che aver reso pubblica la nostra storia stia avendo degli effetti. È stato Fabiano a decidere di farlo: voleva che diventasse una battaglia di libertà per chi si fosse trovato nelle sue condizioni dopo di lui.
Chissà se si sarebbe aspettato una sfida così complicata…
Ma noi che stiamo sul ring siamo abituati a match lunghi e difficili…
Chiudi gli occhi e pensa al periodo della malattia di Fabiano. Cosa ti viene in mente?
Tanta fatica. Non mia, io traevo forza da lui. Ma la sua fatica di vivere e la sua sofferenza erano insopportabili.
Andiamo avanti: Fabiano è stato portato in Svizzera, ed è avvenuto il decesso. Cosa hai provato?
Difficile trovare le parole per descrivere quel momento. C’è chiaramente una componente personale, che non ho reso pubblica, e che continuo a vivere solo con me stessa. Ma posso dire che Fabiano mi ha lasciato un mandato, mi ha detto “non disperarti quando non ci sarò più, perché ti lascio un sacco di cose da fare: dovrai vivere anche per me”. Porto avanti quello in cui lui credeva, la sua gioia di vivere.
Cosa ti rimane di questa esperienza oggi?
La certezza che la vita è bella.