“Tu lavori per il governo, rappresenti e servi lo Stato italiano e poi a un certo punto lo tradisci e ti vai ad arruolare nelle fila di un altro governo come responsabile della politica europea del governo Macron. Nulla contro la Francia, ma bisogna valutare se togliergli la cittadinanza”. Queste le parole che l’Ansa attribuisce al vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio, e che dimostrano una volta di più quanto la polemica politica italiana sia ormai fuori controllo e quale sforzo di fantasia comporti alzare ogni giorno il tiro.
L’ultima trovata del leader 5 Stelle riguarda la nomina di Sandro Gozi a sottosegretario agli Affari europei nel governo Macron, ruolo che tra il 2014 e il 2018 aveva ricoperto in Italia sotto Renzi e Gentiloni. Gozi, che ha studiato e vissuto in Francia, si era candidato alle scorse europee con En Marche, il partito del presidente francese. Insolito? Decisamente. Inopportuno? Forse un po’. Ma qui ci fermeremmo.
Per Di Maio, invece, la notizia merita l’ennesima sparata, che chiaramente non avrà alcun riscontro nella vita reale, ma che aiuta a sviare per qualche ora l’attenzione dai temi concreti su cui il governo naviga a vista. Ancora una volta è poi interessante notare come la stoccata del capo politico pentastellato arrivi su assist di Giorgia Meloni, che in linea teoria sarebbe una sua fiera oppositrice, salvo poi risultare perfettamente contigua quando c’è da buttarla in caciara. Cioè sempre, come dimostrano la questione migranti, il Franco CFA e da ultimo il “caso di scuola” Bibbiano.
Quella della cittadinanza è una questione seria, fondante per un Paese e per la sua identità, e non può essere la contingenza politica e la vis polemica del momento a stabilirne i criteri. Che il tema vada affrontato è fuori discussione, e non aver approvato lo Ius Soli (o qualcosa di simile) rimane uno dei vulnus principali della recente esperienza del centrosinistra al governo. Adesso la materia – come tante altre – è finita in “mani sbagliate”. E, dopo lo shaker sovranista, ha smesso di essere una questione di diritti civili e politici ed è diventata una specie di carota e di bastone che il governo – e le sue propaggini di opposizione nominale come FDI – usano per acchiappare qualche clic e delegittimare gli avversari.
Effettivamente, come fa notare il Post, secondo la legge 91 del 1992 Gozi potrebbe perdere il suo status per aver assunto un incarico in un governo straniero. Ma è una strada, al di là dei giudizi di merito sulla bontà e sull’utilità del provvedimento, del tutto impercorribile, visto che per la Costituzione “nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome” e che per i trattati internazionali firmati dall’Italia non si può ridurre qualcuno alla posizione di apolide.
Fa sorridere quasi a dirlo: il sottosegretario apolide. Però intanto loro lo dicono, e in parecchi gli vanno dietro. D’altra parte nell’aria c’è un clima da “ogni tempo ha il suo fascismo” (tanti auguri Primo Levi!) che metà basta, e l’episodio è perfettamente funzionale alla retorica con cui siamo bombardati da anni. Quella del perfido vicino francese e dei traditori della patria, della distinzione irriducibile tra italiani e anti-italiani. Gli uni con interessi contrapposti agli altri, in attesa del conflitto finale.
Ne avevamo già avuto prova a marzo, quando uno scuolabus nel cremasco era stato dirottato e un gruppo di ragazzini preso in ostaggio. Quell’evento fu trasformato in uno show sull’onda di un’emotività tracimante. I due “eroi” dell’episodio, Adam El Hamami e Ramy Shehata, rispettivamente 14 e 13 anni, nati in Italia da genitori marocchini ed egiziani, sono diventati ufficialmente cittadini italiani – “bruciando” le procedure secondo cui avrebbero dovuto aspettare il compimento dei 18 anni – nelle scorse ore, con una cerimonia presso il Comune di Crema.
Già ai tempi del sequestro a qualcuno era apparso stonato il fatto che la cittadinanza fosse interpretata come un premio per un atto di coraggio. Però, anche se la richiesta dei giovani al governo di applicare lo stesso metro a parenti e amici aveva incrinato non poco la narrazione di Salvini e Di Maio, il riconoscimento è perfettamente funzionale all’idea di mondo gialloverde, in cui si può essere veri patrioti anche senza il foglio di carta (e allora te lo meriti) e non essere italiani anche se i documenti dicono il contrario.
Tipo il traditore Gozi, o, ancora peggio, il terribile villain del bus cremasco: Ousseynou Sy, il dirottatore del mezzo. Nato in Francia, di origini senegalesi e cittadino italiano dal 2004 per via di un matrimonio, nei giorni successivi al fatto sulla sua identità la schizofrenia ha raggiunto vette notevoli. Per alcuni commentatori – probabilmente gli stessi che cercavano in tutti i modi di dargli del jihadista o dell’amico delle ong – doveva essere definito senegalese, terra in cui magari non è neanche mai stato. Per altri, di segno diametralmente opposto, era unicamente italiano, come se la cittadinanza non fosse anzitutto un concetto giuridico e resettasse le radici che ciascuno di noi ha.
A risolvere la disputa nel peggiore dei modi, come sempre, provò Matteo Salvini. Che a bus ancora fumante si affrettò a chiedere la revoca della cittadinanza a Sy, sulla base del decreto sicurezza e nell’ambito delle azioni di contrasto al terrorismo. La proposta naturalmente trovò ampio risalto mediatico, all’interno del grande racconto del governo decisionista e muscolare (soprattutto se si tratta di creature). Chi provò a dire che la cittadinanza non funziona esattamente così, come Gad Lerner, fu subito additato a nemico del popolo.
Naturalmente non se n’è fatto nulla, perché non c’erano i margini per una simile iniziativa. Salvini e i suoi lo sapevano sin dall’inizio, ma non era quello il punto. Tanto nessuno sarebbe poi andato a controllare, e intanto la polemica è stata buttata lì. Così italiani e anti-italiani si stanno ancora un po’ più sul cazzo, e prima o poi vuoi che un ex sottosegretario renziano non si candidi con Macron?