È una delle rare artiste del panorama italico che può essere definita una triple performer, capace di cantare, ballare, recitare e anche presentare (aggiungo io). Loretta Goggi non è solo Maledetta Primavera, ma molto di più: una signora riuscita, in passato, a creare una crepa nella bigotta Italia. La Goggi è stata pioniera, ha raggiunto primati. Eppure, molte volte, non le è stato riconosciuto il valore che merita. La giudice di Tale e Quale Show – che ogni venerdì, in prime time su RaiUno, sorride a suon di «chapeau!» e ha come motto «Felicità!» – racconta la sua carriera, il suo mondo, i suoi valori.
Signora Goggi. Partiamo dalle foto che hanno fatto il giro del web: lei e la Carrà che giocate a golf!
(ride, ndr) Abbiamo preso qualche lezione.
Avete anche smontato anni di presunta rivalità con uno scatto.
Ma di fuffa anche, per fortuna. Onestamente non pensavamo di essere viste, infatti non ci siamo accorte di niente, ma va benissimo. Tanto prima o poi sarebbe uscita l’intervista fatta per il suo programma A raccontare comincia tu. La fuffa girata per anni, si sarebbe smontata tra un mese.
Lei e la Carrà che persone siete? Vi sarete confrontate ogni tanto…
Siamo due persone caratterialmente e artisticamente molto diverse, ma anche molto simili in alcune cose.
Recentemente si è definita, rispetto alla Carrà, un’eterna seconda. Sinceramente trovo ingiusto paragonarvi.
Non mi sono mai posta il problema di paragonarmi, ma nell’immaginario collettivo del pubblico televisivo ci sono dei miti: Baudo, Bongiorno, Corrado e Carrà. Sono riusciti ad arrivare al pubblico con una forza totalmente diversa dalla mia. Ma quando dico che sono seconda, non parlo di bravura o professionalità. Sono seconda rispetto alle icone televisive costruite negli anni ’70.
A proposito di icone, lei è un’icona gay.
Sì, ne ho prova tangibile per tutte le persone che mi seguono, lo so per certo. Ho festeggiato il compleanno dell’Arcigay al Teatro Strehler. E devo dire che l’attenzione per l’arte delle persone omosessuali è notevole. C’è una ricerca di sentimenti forti per le loro icone.
Sa che la sua canzone Maledetta Primavera è usata dai Sentinelli come inno per le loro battaglie. Recentemente è uscito anche il libro Che fretta c’era.
Certo che sì! Gli ammiratori mi mandano i filmati e l’ultima volta, a Corso Buones Aires, è stata una cosa da brividi e meravigliosa per quello che è successo. Ero fuori, ma mi sembra impossibile che questa canzone possa avere una forza ancora così dirompente. E capace di unire, di accomunare sentimenti e pubblici trasversali.
Qual è il primo ricordo legato a questo brano?
Quando l’ho sentita la prima volta a casa di Bigazzi, a Firenze. Al pianoforte c’era Totò Savio, che era allora il mio produttore e l’autore delle mie canzoni negli anni ’70. Pensi che volevano cambiare la parola “maledetta”.
E lei?
Ho detto «Assolutamente no! Trovo che abbia una forza proprio per questo!». Non è che l’alternativa fosse “benedetta” eh! Loro trovavano la parola “maledetta” troppo forte, ma io la sentivo come un “mannaggia” rivolto alla fretta di amare, questa voglia di innamorarsi senza dare retta ai giudizi e alla razionalità al posto del cuore.
Mi tolga una curiosità: perché questa canzone, in (quasi) tutte le versioni internazionali, non la canta lei?
Non è stata una scelta mia. L’ho cantata nell’81 in Italia, poi sono andata in Germania, ma non era lo stesso anno di Sanremo. Pensi che ho cantato un pezzettino in tedesco, ma loro volevano fosse in italiano e dicevano: «Noi non capiamo cosa lei dice, ma lo dice talmente con forza che le crediamo». In alcuni Paesi ci sono stata io, a interpretarla. Poi anni dopo – non subito – l’hanno ripresa altri cantanti nel mondo. Yuri l’ho conosciuta attraverso Laura Pausini.
Ah sì?
Già, è convinta che la mamma le cantasse, quando era piccola, quella versione. Io credo cantasse la mia però.
Non le dà un po’ fastidio che, ogni volta che si parla di lei, tirano sempre in ballo Maledetta Primavera? Lei ha un bellissimo repertorio…
Come L’aria del sabato sera, come Il mio uomo o Io nascerò, scritta da Mango. Comunque no, non mi dà fastidio. E sa perché?
Mi dica.
È una sfida vinta contro quelli che pensavano fossi adatta solo a cantare marcette, come tutte le showgirl dell’epoca. Andare a cantare – sul serio! – sul palco più importante e vedere il pubblico della galleria dell’Ariston – non quelli in platea che generalmente sono personaggi o addetti ai lavori – lì è stata la mia vittoria. Io Sanremo l’ho vinto. Maledetta Primavera è una medaglia per me.
Però dopo quel secondo posto all’Ariston non ha fatto solo la cantante.
No, anche se mi era stato richiesto dalla Wea, ai tempi. Mi avevano detto che ero la nuova Mina e dovevo smetterla con imitazioni e balletti. Anche Gianni Ravera, il patron di Sanremo all’epoca, mi disse che dovevo solo cantare.
E lei?
Non mi sentivo di privarmi della possibilità di spaziare nel mondo dello spettacolo. Quindi, tutte le volte che facevo un programma, promuovevo le mie canzoni all’interno di quella trasmissione. Perché comunque, il prestigio di una primadonna, si vede anche dal fatto che non va a fare la promozione ovunque. Non sarebbe stato giusto per quello che ho costruito. Quindi vendere e fare una seconda Maledetta Primavera non era così semplice.
Lei, tra le altre cose, è una delle pochissime artiste in Italia ad avere un’impostazione americana che le permette di ballare, cantare e recitare.
Pensi che, invece, mi dicevano che sapevo fare tutto, ma non sapevo fare bene niente: una che canticchia, ballicchia, imiticchia, presenticchia.
Però alla fine le sue soddisfazioni se l’è prese.
C’ho impiegato tanto. Io, ad esempio, ho sempre cambiato colore di capelli e taglio. Questo spiazza, perché il pubblico non riconosce, tra mille, la sua beniamina. Ero un bersaglio mobile. Ho fatto una scelta non scientemente, mi piaceva fare queste cose e ho deciso questa strada che mi ha premiato veramente tanto: ho presentato Sanremo, ho cantato a Sanremo, ho presentato i quiz. Posso ritenermi soddisfatta.
In effetti lei ha un sacco di primati: è stata la prima donna a condurre un quiz, a presentare Sanremo non da valletta, ad avere il suo nome nel titolo di uno show e pure a passare a Mediaset…
Ma anche ad andare a Telemontecarlo quando era di Rede Globo, a militare tra le fila di Rete 4 quando era Mondadori e il bravo Enzo Tortora era ancora vivo.
Signora Goggi, che lo voglia o no, lei è stato un personaggio di rottura. Con i suoi primati ha contrastato il maschilismo imperante in tv, da vergine di ferro (come la chiamavano) alla cover di Playboy, per non parlare della sua love story con Gianni Brezza, sposato e con figli in un’Italia bigottissima.
Devo dire la verità: sì. E pensare che all’apparenza sembro tutta a modino. Dentro sono aperta alle sensazioni, alle emozioni. Mi butto nel nuovo, cerco di non stare sulla stessa linea. Diciamo che sono rock, anzi, hard rock!
Eh sì. Lei è una che non le manda a dire. Come con Mike, a Miss Italia. Ma non ha più cercato un chiarimento?
Non dovevo chiarire nulla, avevo tutto molto chiaro.
Capito. Senta, ma perché quando a Tale e Quale Show la imitano, lei si commuove?
Non potrei non farlo. I media, anni fa, dicevano che chi fa imitazioni non ha una sua voce, come se vestire i panni di Mina, Liza Minelli e Barbra Streisand significasse non avere un’estensione vocale. Vedere qualcuno che mi imita e coglie qualcosa di me, è ciò che meraviglia a tutti gli imitati. Una scoperta di quello che faccio, come canto. E mi commuove pensare che ci sono persone che possono avere notato quel quid che fa la differenza.
Però lei, nel giudicare, mi sembra un po’ troppo buona. Ci sono personaggi, soprattutto arrivati dai reality, che a volte fanno imitazioni che lasciano molto a desiderare…
Devo dire la verità: il web a volte è troppo severo e pieno di pregiudizi. L’ho vissuto anche io sulla mia pelle. Quanti “lascia perdere” ho dovuto sentirmi dire da ragazza. Ecco, io non voglio dare quel giudizio tranchant che non permette a una persona di migliorarsi. Secondo me questi concorrenti meritano di avere un po’ di comprensione.
Tra i tanti personaggi consacrati da Tale e Quale Show c’è Serena Rossi.
Quanto mi sono battuta per lei con i miei colleghi.
Davvero?
Pensi che quando in una puntata in cui sono mancata – quella in cui era morta la mia mamma – non l’ha votata nessuno. Incredibile. È proprio un voler ignorare – chi lo sa perché – un talento indiscutibile. Ho fatto una lunga battaglia e ne sono fiera. Poi sa, Tale e Quale Show premia anche l’ironia: Fabrizio Frizzi, che aveva passato anni bui, e Amadeus, sono riusciti da lì. Questo vuol dire che, a prescindere dal livello imitativo, se si dà qualcosa in più, quello arriva.
Contenta di Amadeus al Festival?
Sì, certo! Amadeus nasce dj e con una preparazione musicale seria alle spalle, è uno che se ne intende. Mi auguro che riesca a organizzare una kermesse all’altezza. È il festival della canzone italiana, non del cantante. Quindi il fatto che, a presentarlo, sia un conduttore puro, già da un’impronta diversa rispetto a un artista più ecclettico. Poi ho letto che ritorna la categoria delle Nuove Proposte.
Sì, esatto.
Quando partecipai io, eravamo tutti nello stesso calderone, come l’anno scorso. Io sono arrivata seconda, Dario Baldan Bembo terzo e poi, quarto, Luca Barbarossa, che era un esordiente. Se uno è bravo è bravo, ma mi sembra giusto, se si vogliono grandi nomi al festival, che questi siano almeno protetti dalla categoria.
Lei ricondurrebbe Sanremo?
Ma anche no! (ride, ndr) Io sono per le cose fatte bene una volta e basta. Non sono neanche ritornata in gara, anche se qualcuno ha pensato che avrei cambiato idea e ha stampato le schedine del Totip col mio nome. Ma non ho mai dato l’adesione per quel famoso anno in cui, poi, è andato Pupo. So solo che ho fatto una causa che ho vinto.
Che ricorda del Sanremo da conduttrice?
Che avevamo fatto ascolti pazzeschi da 20 milioni, mi dissero i dirigenti. Quindi cosa andrei a fare, oggi, col fiorire di network e programmi in controprogrammazione? È una bella cosa che lascio a fare a chi ha voglia di combattere in quel senso. Io combatto altre cose adesso.
Sa che Pippo Baudo, recentemente, ha detto al Corriere della sera che per colpa di reality e talent ci sono poche idee, di non poterne più di cucina in tv e che non smania di tornare sul piccolo schermo.
Ah, pensi un po’. E se aveva voglia? (ride, ndr). Il fatto della cucina non è un fenomeno solo legato alla tv, con ricette di grandi chef. In un periodo così magro del nostro Paese, sentire parlare di cucina a un certo livello è imbarazzante. A me imbarazza.
Stona un po’ dice?
Si parla di vini costosissimi, di tartufo, di caviale. Non di uova strapazzate… in un momento così difficile, lasciando perdere la retorica, si dovrebbe parlare di scuole, di organizzare un gruppo di cittadini per fare qualcosa per la propria città.
Cosa guarda in tv?
Onnivora. Dai talk politici alle serie Netflix. Guardo meno lo sport da quando è scomparso mio marito, perché me lo ricorda troppo.
Cosa non le piace?
Ognuno ha il suo palinsesto, ce lo possiamo creare. Non mi piacciono, però, le cose che non hanno rispetto dell’intimità, dei propri valori, della propria persona. La gente che si espone ai giudizi. Probabilmente i reality, che costringono le persone a dare il loro peggio. Non lo trovo tanto normale, ma ognuno nella sua vita fa quello che vuole, magari anche solo per guadagnare. Io preferisco altro, ma non giudico chi ha bisogno di vedere o fare cose così.
Non le hanno mai proposto uno show celebrativo tutto suo?
Io di celebrativo non vorrei proprio niente. Non voglio essere glorificata per il passato, voglio essere al presente quello che sono e rappresento. In questo momento la cosa cui tengo di più è recitare in film e fiction. Credo che il giovanilismo imposto dal varietà non si confaccia alla mia personalità.
Niente conduzione in vista, quindi.
Solo se ci fosse un format, al passo coi tempi, che mi vuole per ciò che sono. Mi tocca fare paragoni esteri per non fare polemiche, ma crede che Glenn Close, Jessica Lange, Meryl Streep abbiano difficoltà a fare le donne della loro età. E a esprimere le capacità di ultra sessantenni? Solo in Italia succede che si è costretti a fare scelte per non sentirsi ridicole.
Che cosa non ha mai digerito nella sua carriera?
Tutte le cose che ho vissuto – e sono 59 anni di questo lavoro – hanno avuto il lato positivo e negativo, ma nessuna mi ha intignato in maniera tale. C’è stata solo una trasmissione andata in onda per il giorno di San Valentino su Canale 5.
Quale?
Si chiamava Innamorati pazzi e non ero convinta per niente. Di solito ho un po’ di naso e dò retta al mio istinto. Quella volta, non so perché, ho fatto qualcosa che non avrei voluto. L’unica cosa bella è stata una fantasia di canzoni, fatte con mia sorella, con l’orchestra di Natale Massara, che ha avuto 8 milioni di contatti. Le sto parlando del 1999. La trasmissione, per il resto, non aveva niente di attraente.
E che mi dice di Via Teulada, 66? Un altro programma un tantino difficile per lei…
È un’altra di quelle cose che sono stata forzata ad accettare dall’azienda. Venivo dal successo di Ieri, Goggi e domani. Pensavo che il mio pubblico non potesse essere quello del mattino, ma mi dissero che, con quella trasmissione, volevano arrivare a parlare di problemi come il buco dell’ozono, don Di Liegro, la casa che ospitava i malati terminali di Aids, il telefono rosa, quello azzurro, gli scavi di Pompei. Con ospiti come Fiorella Mannoia, Pino Mango, Enrico Ruggeri, Mia Martini che si rendevano disponibili a venire per una settimana in studio. Il pubblico del mattino, però, non si capacitava del fatto che non potesse giocare al telefono. Così, piano piano, dalla nave i topi si sono buttati in mare. Volevano cambiare la struttura del programma, ma io ho detto di no: se si affoga, si affoga tutti insieme. Abbiamo salvato il salvabile con un pubblico che, giustamente, seguiva Il pranzo è servito o Funari. Cose completamente diverse da quelle che facevamo noi. Non mi sono sentita di tradire l’idea del programma, anche se si è dovuti passare a personaggi più pop per andare incontro al pubblico del mezzogiorno. Era un programma che meritava molta più attenzione.
Invece cosa l’ha sorpresa? Qual è stato il momento più esaltante della sua carriera?
Tutta la mia vita! Ho iniziato a dieci anni, suonando il pianoforte e cantando. I 16 anni li dedicavo alla scuola e al doppiaggio perché ero piatta. E proprio per questo sono stata scelta da Anton Giulio Majano per fare La Freccia Nera. Quindi pensi quante occasioni. Oppure vado da Baudo, si ammala l’imitatore Franco Rosi, facciamo una gag in cui imito Patty Pravo, e Pippo mi porta a Canzonissima, dove dalla prosa passo alla rivista. Lì, non sapendo come utilizzarmi mi fanno fare le imitazioni, viene ospite Alighiero Noschese e mi chiama a fare con lui il programma Formula due al 50%. E Noschese era il massimo all’epoca. Poi ho smesso tre o quattro volte di fare questo lavoro perché mi mancava la mia vita privata. Non sono mica normale io eh!
Perché ritornava?
Io sono una che ha fede e il Signore dice che bisogna sfruttare i propri talenti, non sprecarli. Proprio come mi disse Pietro Garinei quando mi richiamò dopo anni: «Lei fa un peccato mortale perché sta sprecando il talento che il Signore le ha dato». In qualche modo sono sempre ritornata, senza avere un manager, un partito o qualcuno che mi spalleggiasse, senza l’aiuto di nessuno. Solo per il mio talento e per il pubblico. Non dimenticherò mai che devo tutto al pubblico. Mai.
Però il teatro non l’ha più fatto. E il pubblico la vorrebbe rivedere dal vivo. Come mai questa scelta?
Perché nonostante i sold out e i successi non sono stata pagata. Il primo problema è nato, quando si è ammalato mio marito, mi hanno chiamata facendomi capire che sarebbe stato meglio che fossi tornata a Roma. E questo signore, questo produttore, diceva che mio marito era in clinica e aveva l’assistenza degli infermieri, come se i sentimenti e il fatto che sarebbe potuto andarsene da un momento all’altro, non dovessero riguardarmi. L’ultimo problema è stato con lo spettacolo Gypsy: hanno dovuto chiedere fallimento, ma non ho ancora visto nulla. È tutto in mano alla procura di Milano. Il teatro lo adoro, è l’unico palcoscenico in cui posso spaziare, con un pubblico consapevole, ma se devo pagare io no.
Qualche rimpianto?
No, non sono per la rosa che non colsi sa? Devo assumermi il preso delle mie decisioni.
Il “no” più giusto che ha detto?
Quello di non fare soltanto la cantante. Un’intuizione importante.
Quando ha perso suo marito, lo ha accennato prima, ha passato un periodo buio. Come l’ha superato?
Con la fede, per forza. Sapere che non finisce tutto qui, che potrei averlo vicino. Che il nostro percorso è così: si nasce, si muore e, probabilmente, Gianni aveva fatto il suo percorso. Però la cicatrice rimane. Non è più quel dolore da pugnalata appena ricevuta, ma è come se ti avessero messo i punti e c’è quel fastidio. Lui rimarrà per sempre. È stato troppo importante per me e per la mia vita.
Cambiamo discorso. Lei è stata amica di Califano.
Califano è stato il produttore, insieme ad Arbore, del debutto di mia sorella con il nome d’arte di Daniela Modigliani. Franco ha scritto le parole di molti miei pezzi. Artisticamente non devo giudicarlo io, mi sembra sia chiaro che artista fosse. E poi era persona di grande bontà e generosità. Un musicista che suonava per lui e per me, nei miei spettacoli a teatro, mi disse che una sera, prima di un concerto, Califano aveva un cappottone. E c’era un ragazzo tutto infreddolito e rannicchiato. Vedendolo così, gli diede il cappottone. Poi, quando il ragazzo voleva renderglielo alla fine dell’esibizione, Califano disse che ormai, quel cappotto, era suo. Glielo regalò.
Altra curiosità: lei non è mai voluta entrare in politica, anche se Pannella le chiese di candidarsi.
Per la politica bisogna essere puri, forti e incorruttibili. Il sapere che, per essere eletta, pure dentro uno stesso partito, avrei dovuto fare anche solo un piccolo compromesso con me stessa, non mi sarebbe piaciuto.
Prima di finire mi deve dire un’ultima cosa: lei che ha rotto così tanti tabù, pensa che le donne, oggi, facciano ancora fatica a emergere?
Direi di sì, con grande rammarico. L’immagine della donna nella pubblicità è tornata indietro rispetto ai nostri anni di femminismo. Per fare in modo che si pensi che la donna abbia, oltre un bel fisico, anche un bel cervello, bisogna impegnarsi in maniera diversa. Il maschilismo è imperante e ancora, tra i grandi del mondo, non ci sono troppe donne. Mi fa male, come mi fa male “festeggiare” l’8 marzo. Lo trovo ghettizzante. Perché non festeggiamo anche la festa dell’uomo?