Abbiamo trascorso anni a combattere contro nemici di ogni genere. Ci siamo mossi furtivamente per non far scoprire le nostre mosse. Oppure abbiamo agito in maniera diretta, armati di spade, fucili o chissà quale altra arma. Abbiamo affrontato qualunque tipo di disciplina sportiva. Ci siamo imbattuti in dilemmi di carattere morale. Abbiamo preso decisioni difficili, gestendo città, nazioni o addirittura interi mondi. Ci siamo avventurati nello spazio più profondo. Abbiamo corso, saltato, raccolto oggetti di ogni genere. E, dopo tutto questo, siamo giunti a una conclusione: alcuni trucchetti utilizzati da designer un po’ pigri ci hanno davvero rotto il cazzo. Ecco la classifica di quelli che ci danno più sui nervi.
10. CPU, pensaci tu!
Siamo per la meritocrazia. Se siamo delle pippe in un gioco, è giusto perdere. Accettiamo la sconfitta, magari impariamo qualcosa, e con il passare del tempo miglioriamo. Allo stesso modo, quando giochiamo con un avversario, gradiremmo avere le sue stesse chance di vittoria. Sempre e comunque. Per questo motivo, troviamo davvero fastidiosi i “superpoteri” concessi in alcune situazioni. Come i giocatori di FIFA, che subito dopo un calcio d’inizio (o alla conclusione del primo e del secondo tempo) acquisiscono abilità sovrumane diventando quasi impossibili da fermare. Oppure come le macchine in alcuni racing game che, una volta in fondo alla classifica, ricevono turbo, potenziamenti e armi di ogni genere per recuperare. Meglio perdere con onore.
9. Gli ultimi saranno i primi
Prima gara della stagione. Ci troviamo sulla griglia di partenza. E notiamo una cosa. Guardiamo, riguardiamo, osserviamo con attenzione. Siamo in ultima posizione. Vabbè. Sarà un caso. Seconda gara della stagione. Ci ritroviamo sulla griglia di partenza. E rinotiamo una cosa. Riguardiamo, ririguardiamo, riosserviamo con attenzione. Risiamo in ultima posizione. Rivabbè. Risarà un caso. Terza gara della stagione. Ok, è ufficiale, ci stanno prendendo per il culo. Perché non è possibile che, a prescindere dai risultati, la nostra macchina/moto/kart/astronave sia sempre in fondo allo schieramento. E invece è così. Succede, fortunatamente sempre meno, in alcuni titoli di stampo arcade. È una pratica molto “cheap”, che permette di dare più pepe a una gara. Ma è anche una cosa profondamente ingiusta e fastidiosa, che costringe spesso a slalom speciali tra avversari che hanno la mobilità dei birilli da bowling.
8. Giocherai… solo quando lo dirò io!
È arrivato il nostro titolo sportivo preferito. 40 giga di gioco da scaricare. Magari senza disporre di una connessione super veloce. Trascorriamo ore ad attendere quello che in alcuni momenti sembra solo un lontano miraggio. Poi tutto è pronto. È il momento di smanettare con le opzioni, di cominciare a vedere cosa c’è di nuovo. E invece no! Non è così. Dopo il caricamento inizia una partita in automatico. Non possiamo neanche scegliere le squadre. Dobbiamo per forza giocare, magari senza avere la minima idea di cosa stia succedendo su schermo. Perché gli sviluppatori hanno deciso che sì, può essere un’idea simpatica buttarci subito nella mischia. Un messaggio per loro: non è un’idea simpatica. È una scocciatura. Non vogliamo essere costretti a fare qualcosa, che sia un’amichevole di calcio, di basket o una gara automobilistica. Vogliamo poter scegliere liberamente.
7. Videogame heroes can’t jump
Gli eroi dei videogiochi sono spesso noti per la loro prorompente fisicità. Per la capacità di sopportare ferite di ogni genere. Per l’abilità di sopravvivere a situazioni una più assurda dell’altra. Si aggrappano a sporgenze, si calano da corde, si esibiscono in capriole e giravolte. Però, appena si tratta di saltare su un qualcosa che sia più alto di qualche centimetro, può succedere che si incartino miseramente. E, proprio per questo motivo, che siano costretti a fare giri assurdi per arrivare in un punto che un chiunque essere umano non avrebbe problemi a raggiungere in pochi secondi. O, ancora peggio, che si blocchino contro una parete, con goffi saltelli che non portano a nulla se non a essere presi in giro da un assembramento di nemici. “Guarda quello, fa tanto il figo con la sua spada, poi basta una roccia per fermarlo”. E via le risate. Sviluppatori, lo sappiamo che è difficile, ma fate qualcosa per questi eroi. Non si meritano di essere sbeffeggiati da troll, zombie, orchi, creature aliene e mostri vari.
6. Traffico nei combattimenti
“Venghino siore e siori, è il momento di attaccare il protagonista. Mi raccomando non spingete, c’è spazio per tutti. Prendete il bigliettino e non abbiate fretta. Non accalcatevi e mettetevi in coda.”. Ecco cosa succede in alcuni action game. L’eroe di turno è lì, circondato da nemici che lo guardano e, rigorosamente uno alla volta, cercano di colpirlo. Cercano, non ci riescono, e muoiono in rapida successione, con una montagnetta di cadaveri che si accumula e diventa sempre più alta. Capiamo benissimo che siano necessarie alcune regole di combattimento per non creare situazioni caotiche e impossibili da gestire, ma dopo aver visto per anni creature di ogni genere che saltellano impazienti in attesa di farsi massacrare, ci saremmo anche un po’ stancati…
5. Non aprite quella porta…
Lezione di storia dei videogiochi. Quale è il più grande nemico di un eroe? Un gigantesco mostro di ispirazione fantasy? Una creatura aliena che dispone di tecnologia avanzata? Uno scienziato pazzo pronto a colpire il mondo con le sue ultime invenzioni? Uno spietato dittatore? No, nessuno di questi. È la porta. Sì, proprio lei. Perché non importa quali siano le risorse a vostra disposizione. Poco conta che il vostro inventario sia rifornito di ogni genere di arma. Potete uccidere chiunque. Massacrare tutti. Ma poi, al suo cospetto, non potete nulla. Scariche di mitragliatrice. Colpi di bazooka. Raggi laser. Esplosivi, granate, mortaretti e bombe Maradona. Niente. Neanche un graffio. In molti giochi le porte restano chiuse, celando al loro interno un qualcosa che resterà avvolto nel mistero per l’eternità.
4. Teniamoci per mano
Dovrebbe esserci un girone infernale per tutti i game designer che inseriscono missioni in cui è necessario seguire (o difendere) un npc. Perché, immancabilmente, il nostro compagno d’avventura si rivela di una lentezza disarmante. Mentre noi ci muoviamo baldanzosi per raggiungere il punto prestabilito, lui caracolla, ciondola, tergiversa, cercando qualunque modo possibile per rallentare la sua, peraltro già in origine “lumachesca”, andatura. La situazione peggiora ulteriormente in caso di combattimento. Noi lottiamo, lui cerca di rendersi utile pur non disponendo dei fondamentali per farlo. Per questo si caccia in situazioni disperate, e si ritrova a mulinare uno stuzzicadenti contro otto nemici armati di tutto punto. Risultato? La morte, e la conseguente ripetizione della missione.
3. Vi racconterò una storia. Lunga, molto lunga…
Capiamo il punto di vista di chi, dopo aver trascorso ore e ore a ideare una storia, a prepararne la sceneggiatura, a scriverne i dialoghi, vorrebbe che il suo lavoro venisse visto e (magari) apprezzato. E sappiamo anche che alcuni intermezzi possano essere fondamentali per avere una perfetta comprensione dello sviluppo della narrazione. Però non ce la facciamo. Ci sono casi, tanti casi, in cui la voglia di saltare un filmato cresce secondo dopo secondo. Le dita premono freneticamente un tasto. Poi un altro. E un altro ancora. Prima uno alla volta, poi a coppie, con crescente frenesia, nella vana speranza di trovare una combinazione che faccia passare subito all’azione. Nelle nostre orecchie è tutto un bla-bla-bla e, quando dopo un pippone da cinque minuti finalmente giunge il momento di menare le mani, non ci facciamo pregare. Perché non sia mai che un npc colga in noi un tentennamento, e decida di prendere nuovamente la parola.
2. I tappabuchi
Riunione di un team di sviluppo. La produzione di un nuovo action game open world procede a gonfie vele. Però manca qualcosa. Ci sono ancora dei particolari da mettere a punto. C’è da aggiungere qualche elemento di contorno che possa allungare la brod… ehm, offrire ulteriori spunti per una maggiore comprensione dell’universo di gioco e che possa arricchire l’esperienza in maniera significativa. E allora, via con le attività secondarie. Non una. Non due. Non tre. Una decina. Le prime idee sono anche buone, ma quando l’immaginazione inizia a svanire e ci si trova a raschiare il fondo del barile, si raggiungono vette che i comuni mortali non possono neanche immaginare. Per quanto il livello di sopportazione possa essere alto, a volte giunge il momento di dire no. Quando abbiamo visto il povero Peter Parker costretto a volteggiare tra i grattacieli di Manhattan all’inseguimento di piccioni (sì, avete letto bene), abbiamo capito che forse è arrivato il momento di appendere il costume al chiodo…
1. Essere o non essere, ma cambia qualcosa?
Quello che conta è il viaggio, non la destinazione. Una frase di un certo spessore. Interessante e anche condivisibile. Ma che non sempre si adatta a tutte le situazioni della vita. Perché il viaggio può essere anche piacevole, ma se una volta arrivato alla meta vi accorgete che tutte le (magari anche dolorose) scelte che hanno scandito il vostro percorso non hanno avuto alcun impatto, allora potreste anche sentirvi preso in giro. È questo quello che accade in alcune avventure. Scegliete A o scegliete B? E poi? Altro bivio, altra decisione. Fino a plasmare un personaggio, un mondo, un universo. Che alla fine, però, arriva sempre allo stesso punto. Immancabilmente e inesorabilmente, vi trovate a condividere il finale con persone che hanno seguito un percorso diametralmente opposto. E allora viene da chiedersi, ma chi me lo ha fatto fare?