Incontriamo Young Signorino in un quartiere della periferia di Roma Sud che somiglia molto all’artista di Cesena: pieno di scritte fuori e inaspettatamente denso dentro. Nella sala in cui veniamo fatti accomodare Signorino, coi capelli scuri ora lunghi e fluenti, un cappotto da dandy dark decisamente troppo pesante per la temperatura esterna, somiglia più a un Oscar Wilde toy che a uno dei personaggi più controversi del panorama meta-musicale italiano. Non sembra plausibile che un corpo tanto elegante e delicato possa sopportare tanti paradossi culturali e improperi socialmediali.
Ma Signorino è tornato a pubblicare musica con un nuovo album — L’EPD’AMORE, disponibile sulle piattaforme di streaming — e questa volta ha un piano ben preciso. Fermo restando il beat ossessivo, è come se i suoi testi fossero passati dall’astrattismo delle origini (Mmh ha ha ha) al figurativismo (Whisky Maschio). Se una delle cifre contenutistiche della trap è l’edonismo a discapito del prossimo (e, specificatamente, delle fidanzate del prossimo), la musica di Signorino è oggi individualismo a beneficio degli altri. I suoi fan, come dei sorcini 2.0, si autoproclamano, su Instagram, i Signorini. Dopo qualche acciacco e pausa di riflessione, dunque, il manifesto dell’avanguardia signorinista è finalmente pronto.
Ciao Signorino. Dove eravamo rimasti? Ah sì, al concerto mancato al Monk di Roma, quasi due anni fa.
OK.
Che combinasti la sera del tuo primo live? È rimasto uno dei grandi misteri del 2018. A noi un po’ era piaciuto non vederti comparire: sembrava un pezzo da teatro dell’assurdo, come se l’attesa di Young Signorino fosse essa stessa Young Signorino, o perlomeno parte del suo processo creativo. Ma non tutti i nostri compagni di avventura la pensarono allo stesso modo.
Io non so cos’era successo perché si sono inventati un botto di storie, invece io ero lì, sulla porta del backstage, che stavo scendendo a suonare. Solo che, ogni dieci minuti, mi dicevano ‘Aspetta venti minuti’ o ‘Aspetta mezz’ora’. Gente che spariva…
Era il momento sbagliato nel posto sbagliato?
Questo non lo so. Io so che ero lì ed ero pronto a suonare.
Veniamo al nuovo EP. Ascoltandolo appare più chiaro in cosa consista il signorinismo. È una forma di egocentrismo così estrema che sfocia nella solidarietà. Come se volessi dimostrarci che, se ti accetti tu, coi tuoi pregi e difetti, con le tue avventure e disavventure, con lo specifico talento che hai per i beat ossessivi e per procurarti disgrazie, possono accettarsi tutti, da sé e, in ultima analisi, tra di loro. Questo mi sembra il tuo messaggio più bello, sempre che tu ti ci riconosca.
Sì, sì, questa cosa dell’egocentrismo, per me, significa sentirmi in contatto con chi mi ascolta, con persone che, spesso, sono molto simili a me. Elogiano sé stessi ma, nel mentre, non dico che pensano anche agli altri, ma certamente fanno gruppo con me, e stiamo insieme per quello che siamo. Io li vedo così, i miei fan.
In che genere si colloca il tuo nuovo EP?
In nessuno. Ho creato un suono. Questo è il mio suono e non mi riconosco in nessun altro.
Abbiamo letto da qualche parte, o forse l’abbiamo sognato, che c’è chi ti ascolta un po’ come la musica classica contemporanea, a volte senza badare alle parole, mentre lavora.
È rilassante ascoltare i miei pezzi. Un po’ di gente mi ha scritto che mi ascolta mentre studia, che gli ho fatto superare alcuni esami.
Ricordi di che facoltà?
Non mi ricordo. Sono comunque molto contento per loro*.
È vero, però, che ti ascoltano e apprezzano anche persone molto diverse da te?
Questo si vede sempre di più e lo sto notando particolarmente con l’uscita del nuovo EP, che comincia ad avere un pubblico di persone più adulte.
Ti consideri un guilty pleasure?
Io non so cos’è un guilty pleasure.
In Burrocacao Rosa scrivi ‘Rappresento l’Italia’. In questo caso il signorinismo conosce un’accezione più politica?
No, non volevo parlare di politica. Volevo dire che io rappresento un nuovo italiano, o quello che potrebbe essere un nuovo italiano, soprattutto per la sua estetica. Di politica non me ne frega un cazzo.
Lo dicevo perché in Italia la politica sembra avere un problema di rappresentatività: o non rappresenta gli italiani o rappresenta il peggio di loro.
Per me non c’è problema, li rappresento io, come ho detto nel pezzo.
In un altro brano, Esteticamente, lanci un vero messaggio di tolleranza.
Sì.
Ti riconosci in questi valori? Oppure è sbagliato cercare di spiegarti con queste categorie?
Io mi riconosco semplicemente in quello che ho scritto in questi cinque brani. Come dico all’inizio di tutti i pezzi: ‘Sono io’ e mi sento tale e quale quello che c’è scritto, che mi rappresenta.
Quali sono le tue letture?
Non leggo niente. Non è una cosa che ho provato e non credo che la proverò mai. So che leggere può farti migliorare ma so anche che, se mi soffermassi su qualcosa che mi piacesse davvero, potrebbe influenzarmi troppo.
Non hai fonti di ispirazione? A volte il tuo linguaggio somiglia a quello nonsense e surreale di certi umoristi inglesi.
Non c’è nonsense in quello che scrivo. Sono tutte cose che provo. Mi metto, che ne so, a fumare una sigaretta fuori dalla finestra, mi guardo intorno, respiro un po’ e mi vengono in mente queste cose qua. Poi le metto sulla base e suonano. Il pensiero di una persona non può mai essere nonsense.
Nel video di Burrocacao Rosa, quando indossi la corona di fiori, le associazioni di idee corrono a Caravaggio, quando dipinge tutto il male di un’epoca nel suo Bacchino malato, anche se tu saresti più un Bacchino tatuato..
Quello sicuro! (ride)
Anche tu simboleggi un’epoca ed è particolarmente evidente in quei fiori, che sono bellissimi e caduchi, proprio come nell’iconografia del Seicento. Come è nata l’idea del video?
Abbiamo lavorato tutti insieme a questa idea di fare una passione di Cristo paragonandola al mio percorso. Poi abbiamo scelto gli outfit e tutto.
A proposito di Cristo, la tua immagine nel video ricorda anche certi autoritratti provocatori degli anni Settanta e Ottanta, come se fossi Ontani (Luigi). [Gliene mostriamo uno]
Ah, be’, i capelli sono proprio i miei!
Che ne pensi di tutte queste stronzate?
Mah, non me ne frega un cazzo.
Che cos’è per te uno stato mistico?
Non lo so. Non è una bella domanda questa, non mi interessa.
Come stai vivendo la nuova esperienza di lavorare con un ufficio stampa, con un’organizzazione più strutturata alle spalle?
(Cerca e trova con lo sguardo la moglie Jessica Loren, seduta alla sua sinistra) Mi piacciono le persone che mi circondano e sono contento. Li sento proprio come me, ci siamo presi subito. Sono molto più che un team di lavoro. Si è creata una bella situazione.
Hanno più o meno la tua età o sono anche più navigati?
Varia.
Nei tuoi lavori non hai ancora ospitato dei featuring. C’è qualche nome che ti piacerebbe coinvolgere?
Non ho un nome ma cercherò di far intervenire nei miei pezzi gli artisti che mi piacciono di più.
Mi racconti la tua città, Cesena?
La mia città ora è Roma. La mia città di nascita è Cesena. Per quanto mi possa piacere, le persone che ci vivono non solo quelle che mi aspettavo io. Quando non sei nessuno, sei pari agli altri, non hai niente di più e niente di meno rispetto a loro, ti trattano come gli altri. Appena hai qualcosa in più o qualcosa in meno, ti aggrediscono. Ma resta una bella città.
Quando hai cominciato a vivere a Roma?
Qualche mese fa. Roma è il top. Prima ho vissuto a Milano, che va meglio per il lavoro, per le robe di business. Però non credo a quelli che dicono che per lavorare bisogna stare per forza su Milano, soprattutto per la musica. Secondo me non è vero un cazzo.
Qual è il quartiere che hai scelto?
Non posso dirlo.
Cosa ci sarà prossimamente per Young Signorino?
Un mini-tour legato a questo EP, di cui presto pubblicherò le date sui social.
In che tipo di locali suonerai?
Non posso spoilerare niente, sarà una sorpresa anche per i fan.
Grandi o piccoli?
Non farebbe differenza, l’importante è che la gente si diverta e che io vada a suonare.
Young Signorino potrebbe davvero essere un’opera perduta di Caravaggio. Il suo Bacchino tatuato è ugualmente convalescente, ugualmente cagionevole, ugualmente cristologico, rispetto a quello del pittore bergamasco, sebbene quattro secoli più tardi. Anch’egli trasferito dalle province del Nord verso la capitale, per vedere più da vicino la fine del mondo, Signorino è una creatura notturna, dal colorito non vigoroso, dalle labbra bluastre, perennemente situato tra i postumi di una baldoria e una rivelazione dall’alto. Nume portatile di un paganesimo contemporaneo, inneggia all’anarchia semantica, all’ebbrezza compositiva, al battito sfrenato, in contrapposizione a chiunque altro; e anche il darkpolino meno imborghesito, al suo cospetto, non potrà che suonare apollineo, calcolatore, salottiero.
*In effetti, tra le leggende metropolitane diffuse su Young Signorino, quella che sostiene che porti bene agli studenti è certamente una delle meno spiacevoli. Questa sorta di patto simbolico col figlio del Diavolo è confermato facilmente dai commenti al suo profilo Instagram: “Signorí sei il mio portafortuna del Quore m’hai fatto superà un sacco d’esami la laurea il concorso de dottorato”. E ancora: “Sei il giusto santino per la scrivania a fianco alla statua di Baphomet ti lovviamo grz”.