Quando Leonard Cohen decise di rilasciare un’intervista al direttore del New Yorker David Remnick, nel 2016, probabilmente sapeva che sarebbe stata l’ultima. Come raccontato dal giornalista, il cantautore canadese lo accolse nel piccolo salotto del suo appartamento nei pressi di Los Angeles. Magrissimo, avvolto dentro a un abito scuro.
Fu in quell’occasione che Cohen parlò col giornalista della Bat Kol, un’espressione ebraica che potremmo tradurre come “voce divina”. Una voce che era cambiata col tempo, ma non lo aveva mai lasciato. La stessa voce che a lungo lo aveva rimproverato o esortato a tenere duro – «stai perdendo troppo peso, Leonard, mangiati un panino» – era cambiata. Si era fatta più tenera e compassionevole. È stata «una vera benedizione» questo affievolirsi, secondo quanto raccontato dall’artista durante questa chiacchierata così umana e profonda.
Leonard Cohen stava morendo e non nel migliore dei modi. Eppure, nel soggiorno di quella casa, aveva scritto e registrato You Want it Darker, il suo testamento artistico: aveva arrangiato le canzoni con un sintetizzatore, un microfono a un paio di chitarre e le aveva mandate al suo produttore, dando vita a un album straordinario, elegiaco e delicato. Potete ascoltare la storia di Cohen, raccontata direttamente dalla sua voce, a questo link. Thanks for the Dance, l’album postumo di inediti del cantautore, uscirà il 22 novembre.