È il batterista dei Foo Fighters, ma suonare in una delle più grandi rock band al mondo non gli basta. Taylor Hawkins è uno che con la musica ci gioca, si diverte, si esalta. Uno a cui credi anche quando ti dice che non smetterebbe di suonare nemmeno se nessuno lo considerasse, perché si percepisce chiaramente che all’età di 47 anni sul palco se la gode ancora come un ragazzino, e non importa che sia in tour con Dave Grohl e compagni o con uno dei suoi progetti paralleli. «Non ne ho mai abbastanza», afferma in quest’intervista Hawkins, noto in Italia anche per le collaborazioni con Vasco Rossi.
Una chiacchierata in vista dell’uscita, venerdì 8 novembre, di Get the Money, seconda prova con i Coattail Riders, band che lo vede accanto a Chris Chaney, bassista dei Jane’s Addiction, Brent Woods, chitarrista dei Wildside, e John Lousteau, co-produttore del disco. Realizzato con ospiti quali lo stesso Grohl, Jon Davison degli Yes, Duff McKagan dei Guns N’ Roses, Roger Taylor dei Queen, Chrissie Hynde dei Pretenders e Perry Farrell dei già citati Jane’s Addiction, l’album è un miscuglio di classic rock, hard rock, punk rock e glam che ci ha offerto l’occasione per parlare con l’affabile Taylor del destino di questi generi musicali al momento in disuso. Oltre che della sua carriera iniziata negli anni ’90 come batterista per Alanis Morissette e della sua vita personale, dei suoi figli, della passione per la mountain bike, di come mai nel 2001 finì in coma per due settimane in seguito a un’overdose di eroina.
Suoni in una rock band che riempie gli stadi, i Foo Fighters, eppure ti dividi tra vari side project, da questo Taylor Hawkins and The Coattail Riders fino a The Birds of Satan, con cui hai inciso un album nel 2014. Chi te lo fa fare?
Intanto vorrei dire che se con i Foo Fighters siamo arrivati a questo livello è anche perché abbiamo lavorato tantissimo, ce la siamo sudata questa popolarità. Quanto alle altre formazioni cui ho dato vita e al nuovo disco con i Coattail Riders, sono il frutto di un mio bisogno personale: sento la necessità di muovermi in un maggiore spazio creativo rispetto a quello che ho nei Foo Fighters, di esprimermi anche al di fuori di quella realtà, di tirare fuori altro. E di non smettere mai di fare musica. È una mia esigenza, non lascerei la musica nemmeno se fossi un totale sconosciuto, nemmeno se a nessuno fregasse nulla di me e di quel che combino, nemmeno se i Foo Fighters si sciogliessero. Devo suonare, serve alla mia anima.
In questo nuovo Get the Money hai invitato a suonare Roger Taylor dei Queen: è un tuo idolo da sempre, vero?
Sì, uno dei miei batteristi preferiti. Lo scoprii ascoltando i Queen, naturalmente: all’epoca ero un ragazzino che stava imparando a suonare la batteria, di lui mi piaceva che non fosse solo un batterista, ma anche un multistrumentista e un songwriter. Poi sentii il suo primo album Fun in Space, del 1981, e lo trovai eccezionale. Anch’io volevo essere più che un semplice batterista, ho sempre voluto anche cantare, scrivere canzoni. E se hai un desiderio del genere un disco come Fun in Space non può che ispirarti e motivarti. Voglio dire: lì Roger Taylor suona tutti gli strumenti, quando ho letto i crediti sono andato fuori di testa! Che poi è la stessa cosa che ha fatto Dave Grohl per il primo album dei Foo Fighters. Ed è giusto così: ogni musicista dovrebbe imparare a suonare almeno un po’ altri strumenti oltre al suo. Questo non significa che in Get the Money abbia fatto tutto io, mi sono circondato di gente che stimo. Insomma, so eseguire gli accordi alla chitarra, ma non potrei mai mettermi a fare un assolo.
Sono sicura tu sia consapevole che il tipo di rock’n’roll che proponi con i Coattail Riders non funziona né fa tendenza in questo momento: i giovani sono più per l’hip hop, la trap, l’elettronica, amano altre sonorità. Come la vedi?
Non posso parlare per i giovani d’oggi, ma da padre so bene che non c’è molto rock tra i loro ascolti. Vale pure per mio figlio Oliver Shane (classe 2006, primogenito di Hawkins, che ha anche due figlie, nda), anche se adesso che sogna di diventare un batterista sta allargando lo sguardo, non può sentire solo Drake e affini. A parte questo, io penso che in generale per piacere ai più giovani il rock debba contenere elementi di ribellione, essere in qualche modo sovversivo. Tutti i gruppi rock che ho amato e amo, dai Queen ai Jane’s Addiction, presentano questa caratteristica. Anche i Nirvana furono una risposta al rock di plastica che aveva dominato negli anni ’80 e i loro pezzi, oltre a essere ottimi e con un piglio pop che li rendeva adatti a una platea ampia, erano come uno specchio in cui i giovani degli anni 90 potevano riflettersi per condividere la rabbia verso una società che non li rappresentava più. Ma adesso una giovane rock band come potrebbe avere lo stesso impatto? Siamo alla generazione di Instagram, si parla per hashtag, è dura essere sovversivi di questi tempi.
Quindi nessuna speranza?
Le cose potrebbero cambiare se in futuro un ragazzo o una ragazza di qualsiasi colore, razza, religione, orientamento sessuale avesse il coraggio di alzarsi e dire: “Ma guardatevi! Guardate come vivete! Siete dei drogati, dipendenti dalla tv, da Instagram, dai social”. Però dovrà essere un giovane a dirlo, non posso dirlo io che sono vecchio. Le mie canzoni nascono dal mio punto di vista, quello di un uomo di 47 anni che fa rock, sì, ma è sposato, ha dei figli. Non m’interessa conquistare i ventenni con la musica che faccio, risulterei ridicolo.
Fai ciò che ti diverte, lo si intuisce da come ti esalti sul palco sia quando suoni la batteria sia quando canti. Difficile credere che nel 2001 un’overdose di eroina ti abbia quasi ucciso.
Ero giovane e stupido, ho commesso un errore. Ai tempi stavo attraversando un periodo difficile, mio padre era in prigione, stavo scoprendo per la prima volta, in qualche misura, il successo, e una sera ho preso della roba che mi ha quasi ammazzato. Le droghe pesanti sono pericolose, ragazzi!
Fu un punto di svolta?
Assolutamente sì, poco dopo ho incontrato mia moglie, mi sono dato una calmata. Ma non ho mai smesso di credere nella musica, anzi, mai come in quel momento ho capito quanto fosse necessario lavorare duro, cosa che continuo a fare. Anche con i Foo Fighters: quando siamo sul palco – e per ben due ore e mezza di concerto – diamo davvero tutto. E lo facciamo da più di 20 anni, se oggi i nostri show sono ancora così affollati è anche per questo. È stato un percorso e specie per me non facile, dato che quando sono arrivato alla batteria dei Foo Fighters avevo di fronte Dave Grohl, batterista pure lui, non proprio uno qualsiasi: ho dovuto farci i conti con questa cosa. Ora sono contento, ho le mie giornate no come chiunque, ma posso definirmi una persona felice.
Sei un musicista di successo, ma canti e suoni la batteria anche in una cover band, i Chevy Metal: rileggete brani di Van Halen, Queen, Rolling Stones, Talking Heads, David Bowie e altri. M’incuriosisce: perché lo fai?
Iniziai in un periodo in cui Dave stava lavorando con i Queens of the Stone Age. Un paio di amici avevano questa cover band piuttosto malmessa e visto che avevo del tempo libero decisi di aiutarli a crescere. Era un modo per divertirmi e tenermi in forma alla batteria mentre i Foo Fighters erano fermi: suonare live è l’unica palestra possibile a qualunque livello si sia. Alla fine siamo riusciti a trasformare il gruppo in un progetto musicale riconosciuto: facciamo concerti, suoniamo ai festival. Wiley Hodgden, mio socio in questo progetto, è uno dei miei migliori amici, per noi i Chevy Metal sono qualcosa che ci permette di trascorrere del tempo insieme e spassarcela. E poi mi piace l’idea di rendere omaggio alla musica con cui sono cresciuto.
Hai dichiarato che alcune idee finite in Get the Money ti sono venute in mountain bike, tua grande passione.
Sono presissimo dalla mountain bike. Mi fa stare bene fisicamente, è un allenamento molto serio, ma per me anche una sorta di meditazione, mi permette di staccare la testa. Tra l’altro faccio spesso giri in solitaria, mi aiuta tantissimo. Qualsiasi problema io abbia, che si tratti di ansia o di qualche preoccupazione, monto in sella e ora del ritorno a casa sono di nuovo carico. Lo consiglio a tutti!
Che cosa rende ansioso Taylor Hawkins?
Ho tre figli, ho parecchi motivi per essere ansioso. Essere genitore a volte mi fa paura. Specie in quest’epoca in cui è davvero semplice farsi riempire la testa di cazzate senza nemmeno accorgersene. Internet, i social media… È tutto senza senso. La mia preoccupazione maggiore riguarda l’educazione dei miei figli: suono in una rock band famosa in tutto il mondo, ma non voglio tirarli su come dei viziati convinti che gli sia tutto dovuto. Sono fortunati, vivono esperienze che alla loro età io non potevo neanche immaginare; insomma, appartengo al ceto medio, da bambino non ho mai alloggiato in un hotel 4 stelle. I miei figli vivono in un ambiente in cui gira un sacco di denaro e questo mi spaventa, bisogna trovare un equilibrio.
E come si fa?
Ne parlo spesso con mia moglie, di come insegnare ai nostri figli a essere umili e a costruirsi la loro strada da soli, non sfruttando il fatto che hanno un padre famoso. Sono convinto sia più complicato educare i figli se si hanno soldi che se non si hanno: i ragazzini senza niente in tasca devono per forza lottare per i loro sogni. Ed è un bene.