Negli ultimi anni si è scritto molto sulla vita lavorativa di uno sviluppatore di videogiochi, ma quella di un fumettista non è da meno. Almeno quella di Michele Rech, in arte Zerocalcare, famoso per le tappe infinite dei suoi firmacopie che si concludono spesso in notturna. Oggi però non è in tour a presentare il suo nuovo libro, La scuola di pizze in faccia del professor Calcare. L’occasione per il suo passaggio a Milano è il panel con cui Bao Publishing, la sua casa editrice, celebra il decimo anniversario nella cornice di Bookcity. Abbiamo appuntamento a un tavolino del BASE, locale milanese e punto di aggregazione abbastanza hipster e modaiolo, dove entrambi appariamo abbastanza fuoriposto. Arriva trafelato e un po’ in ritardo, ma non per colpa sua: l’organizzazione della giornata ha subito un paio di imprevisti, tra cui un allagamento. In un attimo però si mette comodo e si rasserena.
Tra i banchi del professor Calcare
Sorride quando gli dico che nel nuovo libro non mi aspettavo di trovarlo nelle vesti, seppur metaforiche, del professore. “Premetto che il titolo è della casa editrice, ma il professore viene dalle mie recensioni delle serie tv, dove per fare lo scemo mi chiamo professor Goffredo Calcare. È nato da una discussione che ho avuto sul cinema con nomi noti della critica”. In effetti mi ricorda qualcuno. Chissà se Zerocalcare sa quanto andrebbe presa per il culo anche certa critica che si prende troppo sul serio nel mondo dei videogiochi. “Poi nel libro ci sono anche le mie storie politiche e quelle più leggere. Il filo conduttore è che in questi anni, qualunque cosa facessi, trovavo una marea di persone che volevano insegnarmi a vivere o come avrei dovuto fare il mio lavoro”. Per fortuna che non ha recensito Death Strading. “Me ne stanno parlando tutti, ci ho giocato da un amico, e mi sembra una cosa così vasta che non so come approcciarmi”. Dopo aver sentito un riassunto della mia recensione mi pare rassicurato.
Il volume appena pubblicato, La scuola di pizze in faccia del professor Calcare, è una raccolta di sue storie più o meno brevi pubblicate negli ultimi anni, eppure suona in qualche modo come un continuo del suo libro precedente, Macerie Prime, dove raccontava il peso di impegni e accolli. “Il libro rivendica la possibilità, anzi la “doverosità”, per ciascuno di noi, di declinare le proprie passioni come meglio crede, senza fossilizzarsi. I libri per me sono sempre il modo di fare un punto sulla vita mia, fermarmi e mettere una bandierina su ciò che sto facendo. Questo è un po’ rivendicare un percorso, anche con gli errori inevitabili che si compiono, per superare la crisi di Macerie Prime. Poi capire come si va avanti è un altro paio di maniche”. Le pizze in faccia del titolo non sono metaforiche, non solo quanto meno, e nemmeno l’assonanza con la famigerata università della strada è casuale. “Da un lato gioca con il ridicolo di quel concetto, dall’altro però è un ragionamento sulla credibilità di strada che si basa sulle botte, senza volerne essere un’apologia”. La violenza però esiste ed è un modo per affrontare le cose, negarlo sarebbe pericoloso perché vorrebbe dire tagliare fuori un’opzione, e non è detto che il nostro interlocutore ci faccia lo stesso favore. In 5 minuti di chiacchierata con Zerocalcare emerge il discorso più sensato sulla violenza che abbia mai sentito, e sono anni che ne sento parlare in relazione ai videogiochi.
“Quando si parla della complessità delle cose bisognerebbe sapere mettere in relazione tutto. Non è questione di chi mena di più, ma di non far sparire tutta la pratica a favore della teoria. Riflettere sul valore che ha l’esperienza vissuta serve. Gli schiaffi, metaforici e veri, presi o dati, sono una cosa importante attraverso cui passare. Ti mettono davanti alle tue responsabilità. Essere il carnefice ti costringe a capire che o ciò che hai fatto è giusto o ti tocca fare un passo indietro”. Viviamo in un mondo in cui la violenza esiste, fa parte dei linguaggi, ed è curioso che la si voglia estirpare solo da alcuni prodotti o situazioni. “Mi fa orrore chi pensa di risolvere tutto con la violenza, ma mi fa rabbia anche chi la rifiuta a priori trovandosi in posizione di non doverla mai subire”.
Terza ora: sala giochi
“Penso spesso a come la sala giochi sia l’esempio principe del concetto di scuola di pizze in faccia. Da ragazzino la sala giochi faceva incontrare gente di realtà diverse, lontane da quelle che frequentavo tutti i giorni. Ricordo che una volta giocavo a un Capcom vs qualcosa, ero quasi arrivato in fondo, arrivò uno, molto più grande di me. Mise il gettone e mi disse: “Dispiace se entro?”. Entrò, mi batté subito, fece gli ultimi due incontri e finì il gioco lui. Mi toccò pure stare zitto che era cento volte più grosso di me. Una scuola di vita vera”. Preso da uno slancio marzulliano gli chiedo se la vita sia un picchiaduro, suscitando una sonora risata. Azzarda un sì dubbioso, poi aggiunge: “No… sì, come un picchiaduro vero a volte c’hai le monetine per continuare, altre volte no”.
È proprio il picchiaduro a troneggiare sulla cover alternativa de La scuola di pizze in faccia del professor Calcare, l’edizione variant realizzata in occasione del festival Lucca Comics&Games. “Gli edifici dietro ovviamente sono Rebibbia. Io poi sono un super fan della grafica in 8-bit, ci sto veramente in fissa”. Al centro troneggia l’alter ego cartaceo di Calcare che prende una pizza dall’armadillo. “In realtà il riferimento era molto più preciso. Questo è uno shoryuken, nel disegno non c’era questo arco. Ma il fuoco l’ha fatto Alberto Madrigal che ha colorato la copertina”. Sappiamo che Madrigal non giocava a Street Fighter. “O forse sì, ma magari la fisionomia dell’armadillo è troppo diversa da quella di Ryu!”.
Non è un caso che il riferimento ai videogiochi peschi da un immaginario con qualche decade sulle spalle. Al contrario delle serie Tv, sempre più presenti, i videogiochi sono più un contesto nell’universo di Zerocalcare. “Un po’ perché cose che 8 anni fa mi ricordavo in maniera vivida ora me le ricordo meno, in parte perché gli anni ’90 sono stati spolpati da tutti e mi sembra super-ridondante fare quella cosa là”. Poi c’è la questione anagrafica. “Quelli che mi ricordo in maniera vivida non so quanto sarebbero riconoscibili oggi. A parte Street Fighter, da cui arriva il ragazzino Blanka. Se penso però ai miei riferimenti grossi, come Final Fantasy 7” – che a microfono spento mi definirà come il suo gioco della vita – “non credo che quella roba sia ancora tanto riconoscibile per chi mi legge”.
Fine scuola mai
Come tutti gli over 30, anche Zerocalcare non ha tempo per giocare. Nel nuovo libro c’è una vignetta dove il suo alter-ego dice che a 30 anni non si è pronti per il matrimonio, i 30 sono fatti per giocare alla play sul divano. Bello, in teoria, ad averne il tempo. “I videogiochi di oggi sarebbero super conosciuti, ma io li gioco poco. Non ho mai un cazzo di tempo. Poi magari esce un gioco che mi piace un botto e…” Si interrompe di colpo. “Adesso esce il nuovo di Star Wars, no!? Appena finisce il tour il 15 dicembre vorrei ritagliarmi tre giorni per giocarlo, ma già so che se non riuscirò a finirlo in quei giorni rimarrà là…”.
Il prossimo passo nella sua carriera, come dichiarato da lui stesso, potrebbe essere l’animazione. Al cinema ha già dato, anche se indirettamente. “Di voglia di fare un videogioco ne ho tantissima. La cosa più semplice che vorrei tantissimo fare sarebbe un picchiaduro coi fumettisti: ognuno ha il suo avatar, l’armadillo, il panda, sarebbe una figata. Oppure una cosa un po’ più legata al mondo mio, ai miei personaggi. Però lì il problema è che dovresti trovare persone molto brave a farlo. Perché la cosa peggiore del mondo è fare un videogioco brutto. Peggio un videogioco brutto di un brutto libro”. Non cita la componente politica, che caratterizza parte del suo lavoro e mi stupisco. ”C’è sempre un modo di parlare di temi impegnati, l’importante è riuscire a farlo senza essere predicanti o noiosi. Nei fumetti quell’equilibrio l’ho trovato. Sto cercando un linguaggio per farlo con le animazioni, e pochi lo fanno in occidente. Nei videogiochi non ho gli strumenti di sapere come si fa, ma sarebbe una cosa figa”.
A questo punto le domande sono finite e i ruoli si invertono. È lui a chiedere a me del remake di Final Fantasy e di Star Wars Jedi: Fallen Order. Si è preso bene con Vader Immortal su Oculus e me lo sta raccontando, quando lo avvisano che lo vuole la TV. La chiacchierata è finita, Michele si alza mentre io resto a sistemare gli appunti. Di fondo, il problema è sempre quello: il tempo che scorre. Proprio come il conto alla rovescia sotto la scritta CONTINUE? in sala giochi.