Forse negli anni Settanta l’ecologia era un vezzo da hippie, oggi è diventata una questione molto seria. Rivolgersi alle piante non è più un gesto naïf, oggi sappiamo che la salute del pianeta dipende dai grandi polmoni verdi, dalle foreste, e questo è drammaticamente assurto agli onori della cronaca mondiale in questa nuova ‘fase B’ in cui il surriscaldando globale non è più un ipotesi ma un dato di fatto. Per la loro capacità di restituire ossigeno all’atmosfera, di fornire cibo a zero emissioni, di riequilibrare i territori, di ospitare gli ecosistemi e per altre ragioni non meno importanti, le piante sono una delle ultime ancore di salvezza del Pianeta Terra per come lo conosciamo oggi.
È anche abbastanza certo che nel peggiore (o migliore) dei casi, le piante sopravviveranno all’estinzione umana. Imparare dalle piante insomma, imparare ancora (molte invenzioni, vedi internet, sono state mutuate sul modello vegetale della decentralizzazione delle informazioni). La cosa migliore da fare sarebbe imparare a comunicare con loro, magari con un linguaggio universale come la musica… ma questa pare proprio un’utopia hippie.
Per fortuna è arrivata la concretezza di una scienza dura qual è la Neurobiologia Vegetale a spiegarci che le piante sono dotate di un’intelligenza molto sofisticata ed a conti fatti più efficace, in un’ottica di convivenza e sopravvivenza sul pianeta, rispetto alla nostra. Nonostante il dibattito interno agli ambienti scientifici sia ancora più che aperto è un dato di fatto che le piante abbiano uno spiccato comportamento adattivo e sopratutto che siano in grado di trovare soluzioni ai problemi proprio come lo siamo noi umani, solo con meccanismi diversi. È forse vero, come afferma Stefano Mancuso (direttore dell’International Laboratory of Plant Neurobiology), che l’antropocentrismo ci impedisce di capire a fondo l’intelligenza vegetale.
Le differenze tra animale e vegetale sono impressionanti, spiccano su tutte l’assenza nelle piante di capacità motorie (eppure si muovono), l’assenza di organi ‘accentratori’ con specifiche funzioni, l’assenza di cervello e neuroni (l’organo più importante ed allo stesso tempo più fragile degli animali). Ma in una prospettiva non antropocentrica queste sono differenze che non impediscono alle piante di reagire con ciò che possiamo definire una sofisticata intelligenza, reagire ad impulsi esterni, stimoli, pericoli, predatori. Una delle tesi più affascinanti sulle strategie messe in opera da alcuni piante azzarda l’ipotesi che la produzione di alcune sostanze psicotrope vegetali (con effetti esclusivamente sul sistema nervoso animale, uomini inclusi), sia un modo per influenzare il comportamento dei predatori più invasivi: anziché l’eliminazione del rivale, la pianta preferisce indurne un cambio comportamentale e in qualche maniera instaurare un tipo di dialogo che eviti lo scontro.
Di fronte a tanta sapienza, a questo ‘altruismo clorofilliano’, non ci resta che fare un bagno di umiltà e cominciare a considerare quel vecchio Tiglio in giardino non un qualcosa ma un qualcuno, un qualcuno con cui sforzarsi di entrare in contatto, ad ognuno la ricerca del proprio metodo, noi di 19’40” vi proponiamo la nostra versione acustica dell’opera Mother Earth’s Plantasia di Mort Garson, come sincero omaggio dedicato ai nostri compagni di Pianeta. E ricordatevi di non portare a spasso la Begonia!