Nelle cene natalizie soffriamo perché consideriamo i parenti degli affetti imposti. Dalla società, dal caso, dalla genetica, dal galateo. Con i social network ci siamo abituati a rimuovere i contatti molesti con due tocchi di pollice. Mentre eliminare un parente dalla nostra vita comporta il rimodellamento del sistema diplomatico familiare – alleanze con zii, patti di non belligeranza con fratelli, rispetto di autorità paterne, trattati inter-cugini per lo sfruttamento di case in montagna e di eventuali proventi d’affitto.
Un grave conflitto con un cognato può originare un congresso di Vienna via Whatsapp. Oppure bisogna parlarci, col cognato, guardarlo negli occhi – occhi che guardano i tuoi occhi e non un’immagine dei tuoi occhi –, quantomeno mandargli un messaggio e aspettare una risposta che può contenere un insulto, o chissà cos’altro. E comunque alla prossima Vigilia te lo ritroverai di nuovo lì ad affettare l’arrosto. La soluzione dell’autoesilio è sempre plausibile e sempre fallibile. Si può oscurare un profilo su Facebook, non la propria origine. Ormai basta un’email per dire addio a un fidanzato. Per il proprio cognome tocca andare all’anagrafe. I nostri parenti non sono più serpenti dei parenti degli altri: l’umanità intera è un campionario di crotali, vipere, cobra, boa constrictor. Però siamo troppo lontani dalle loro spire per notare il viscidume di conoscenti e sconosciuti.
Vorremo restare lontani anche da quelle dei parenti. Da quelle di tutti. L’autodeterminazione delle solitudini. Perfino in ufficio, per chi non è ancora un precario che lavora col portatile sul piano cucina di un bilocale, oggi possiamo isolarci da ogni relazione coatta. Cuffie nelle orecchie, pupille sullo schermo, ricreiamo un ambiente soltanto nostro. Pupe che sono disposte a uscire dal proprio bozzolo, ad avere a che fare con altri corpi e con altre voci, solo per guadagnare o per scopare.
E invece a Natale dobbiamo abbandonarlo, il nostro bozzolo, con il portafoglio chiuso in tasca e con le mutande ben addosso, magari pure con la camicia. Mangiare salse e bolliti – “posso?”, “vuoi?” – panettoni e pandori – “che buono, dove l’hai comprato?” – insieme a individui che con noi hanno in comune, forse, una certa percentuale di codice genetico e, quasi di sicuro, nessuna pagina Facebook. Qualche vecchia foto ci ritrae abbracciati per contratto o per inconsapevolezza infantile, ci siamo scambiati decine di regali svogliati e di biglietti d’auguri precompilati, ma tu segui Chiamarsi Bomber, lui l’Accademia della Crusca, o viceversa. Lui Sardine contro Salvini, tu Micini con Salvini, o viceversa. Divergenze metafisiche. Siete nemici. Qui non c’è nessuna ipotesi di guadagno che lusinghi la tua tolleranza come nelle cene di lavoro.
Ciò nonostante dobbiamo fingere di ascoltare, – “come va con la merceria? –, di interessarci a malanni e gravidanze – “sei un fiore” – di gradire le lasagne che hanno cucinato – “poi mi dai la ricetta” –, di dispiacersi perché invece lo sformato che abbiamo cucinato noi è insipido – “prendi il sale, non mentire! –, di tenere a quella manciata di ricordi che ci separa appena dallo status di estranei – ah, l’Apecar del nonno!
E però non lo siamo, estranei. Qualche lineamento, certi modi di dire, alcune indelebili inclinazioni politiche, tre o quattro ricette…siamo più simili di quel che vorremmo ammettere. E per questo detestiamo i commensali del 25 dicembre ancora di più. Non solo non possiamo eliminare i parenti con un “rimuovi dagli amici”, non possiamo neppure cancellare il fondo abissale della nostra origine con un “rimuovi dall’identità”. I parenti, lì davanti a noi, che ruminano tartine all’insalata russa e scaglie di parmigiano, che sbriciolano e digeriscono – rooh –, ci ricordano che tutti gli sforzi di costruire a tavolino il personaggio di noi stessi, di trasformare la nostra quotidianità in piano editoriale, di trasmigrare da limitati corpi animali in illimitati profili virtuali …che tutti questi sforzi sono vani al cospetto di quel naso, tale e quale al nostro, che lo zio sta ispezionando con la mano libera dal bicchierino di grappa. Per quanto tu cerchi di diventare gelido e perfetto, distante anni luce da tutte le cose umane e vergognose, l’umanità, la tua umanità, a Natale ti si appiccica addosso. E forse è proprio per questo che il Natale continua nonostante tutto a salvarci.