La Corte di Cassazione di Bruxelles, dopo anni, ha dato il via libera al procedimento per stabilire se l’ex sovrano belga è il padre naturale dell’artista londinese. Lui è stato costretto a sottoporsi al test di paternità. E ora si attendono i risultati. «Faccio questa battaglia anche per i miei figli», dice Delphine.
Se è tutto vero, se ha ragione lei, vanta un re, Filippo, un principe, Laurent, e una principessa, Astrid, come fratelli. La formula dubitativa è ancora necessaria nonostante una sentenza pronunciata il 13 dicembre della Corte di Cassazione di Bruxelles abbia segnato un netto punto a favore di Delphine Boël, la donna che da sei anni sta lottando per essere riconosciuta figlia di Alberto II, sovrano della casa di Sassonia-Coburgo-Gotha che dal 1993 al 2013 ha regnato sul Belgio. E proprio con Delphine inizia una nuova serie che Rolling Stone dedica ai figli segreti, misconosciuti e relegati nell’ombra di principi e sovrani. Scomode prove viventi di deviazioni dalla vita di corte.
«Sì, sono una bastarda». Il suo volto è scavato da emozione e frustrazione quando, il 15 maggio 2005, Delphine compare sulla rete televisiva France 3. Le sue parole sono affilate come lame. «Puoi essere un re o un signor nessuno, ma se metti al mondo un figlio ne sei responsabile e non puoi abbandonarlo. Non voglio titoli, né denaro. Ma solo che venga riconosciuta la mia esistenza». I belgi, da quando è venuta a galla questa vicenda, la identificano come una mitomane in cerca di fama. Ora si chiedono: e se dicesse la verità?
Riavvolgiamo il nastro. Anno 1999. La protagonista di questa storia vive serenamente a Londra. Ha studiato alla Chelsea School of Art and Design, fa l’artista, ama la sculura, è allieva di Niki de Saint Phalle, che ha realizzato il fantasmagorico Giardino dei Tarocchi nella tenuta dei principi Caracciolo, a Garavicchio. In questa vita d’ispirazione irrompe il libro di un talentuoso giornalista belga appena diciottenne, Mario Danneels. Si intitola Paola, dalla Dolce vita alla vita da regina. Pura agiografia sulla bellissima ragazza che, da Forte dei Marmi, dov’era nata, nel 1959 arrivò a Bruxelles, inondando di glamour la corte più giovane (fu istituita nel 1830) e bacchettona d’Europa. Ma quel testo all’apparenza innocuo contiene anche un capitolo bomba. L’incipit: “Il Belgio accetterà Delphine, la figlia naturale del re?”. La tranquilla esistenza della signorina Boël diventa presto un ricordo, visto che non può fare un passo senza essere assediata dai paparazzi. Per il mondo si tratta di una rivelazione capace di travolgere quel trono al centro d’Europa. Per Delphine, è una verità sommersa che viene a galla.
Spunta una foto, anno 1968. L’allora principe Alberto, fratello di re Baldovino – che morirà senza mettere al mondo figli – è ritratto accanto alla baronessa Sybille de Selys Longchamps, una delle donne più belle del Belgio. Una signora sposata: suo marito è Jacques Boël, facoltoso industriale belga, con un patrimonio di oltre 800 milioni di euro. E con il pancione: da lì a qualche mese metterà alla luce Delphine. Sembra proprio un ritratto di famiglia. E in effetti, Alberto e Sybille sono nel pieno di una relazione extraconiugale forse sconosciuta al pubblico, ma data per certa negli ambienti dell’aristocrazia. Già nel 1966, due anni prima della foto rivelatrice, il principe la moglie Paola – erano stati la coppia d’oro dei settimanali popolari – vivevano in ambienti separati. Dopo aver messo al mondo tre figli, Filippo nel 1960, Astrid nel ‘62, e Laurent nel ‘63, le incomprensioni non tardano a manifestarsi. Come il temperamento ribelle di Paola: si vocifera di una sua relazione con il cantante Adamo prima, e con un ricco imprenditore lombardo poi. Alberto, quindi, si accorge di Sybille. «Una sera, a una festa, mentre ballavamo sulle note di Strangers in the Night, mi ha dichiarato i suoi sentimenti. Mi disse che la sua vita coniugale era un disastro, Paola isterica e i figli abbandonati a loro stessi». La loro diventa una relazione assidua, anche perché il principe è amico del marito della baronessa, il quale non sa o finge di non vedere.
Delphine cresce con l’immagine di Alberto che arriva a casa della sua famiglia il venerdì sera e riparte il lunedì. Lo chiama affettuosamente Papillon. Ma la situazione sul lungo periodo diventa insostenibile. «Avevo 9 anni quando mia madre decise che ci saremmo trasferite a Londra. Voleva proteggere l’uomo che amava». Alberto è pronto a divorziare da Paola, le carte sono pronte, ha ottenuto anche il permesso dal fratello. Ma il cattolicissimo Baldovino pone le sue condizioni: «Se lo fai, perdi titolo e soldi. Vivrai da esiliato». Sybille e Delphine partono. «Ma lui non ci seguì. Anche se per anni è venuto regolarmente a farci visita». Nel 1979 la baronessa e Jacques Boël divorziano. Mentre la relazione tra lei e il principe prosegue fino al 1984. Poi lui sparisce, sostiene la donna, di punto in bianco, e senza una spiegazione. «Con me, invece, i contatti continuarono. Mi scriveva lettere, inviava regali per il mio compleanno». Nell’86, Sybille dice la verità alla figlia. «Quel signore che chiami Papillon è il tuo vero padre». Delphine non si scompone. «Ne ero felice, ma mi sono subito rassegnata, ho capito la situazione. Era il futuro re del Belgio, lì aveva moglie e figli. Ho mantenuto il segreto per non danneggiarlo». Alberto sale al trono nel 1993, dopo la morte del fratello. I contatti tra padre e presunta figlia, pur a distanza, proseguono anche dopo la pubblicazione del libro di Danneels, ma nel 2005 il re decide una cesura netta. «Lo chiamai per avvisarlo che mia madre stava male e lui ha pronunciato la fatidica frase: “Lasciami in pace, tu non sei mia figlia”. Mi fece sentire come biancheria sporca». E così, poco a poco, il desiderio di protezione verso un padre in difficoltà si trasforma in rammarico. Delphine si sente tradita. Decide di parlare. Prima in Tv. Poi, nel 2008, scrive la sua versione della storia in un libro. E nel 2013 si rivolge al tribunale per chiedere che Alberto e due dei fratelli, Filippo e Astrid, si sottopongano al test del Dna.
L’iter è tutt’altro che una passeggiata. La legge belga rende prevede l’immunità del sovrano. Ma le circostanze cambiano rapidamente: il 21 luglio 2013 Alberto decide di abdicare a favore del figlio Filippo. Gli impedimenti, però, sembrano non crollare. I legali di Delphine devono convincere i magistrati che, anche se sono passati anni da quando la donna ha avuto notizia di questa paternità, l’interesse primario è quello di stabilire il vero. Soprattutto alla luce di un test di paternità che acclara: Delphine non è figlia di Boël.
La donna non ne fa una questione di denaro o di censo. «Ho dovuto proseguire anche per tutelare i miei figli», ha raccontato a Paris Match. «Tempo fa ho tentato di aprire un conto corrente di risparmio per mio figlio Oscar – la donna è sposata e ha anche un’altra figlia, Joséphine, di 16 anni – ma mi è stato impedito. Oscar, che ha 11 anni, è considerato dal sistema bancario un Pep, persona politicamente esposta, e non può avere accesso al credito bancario perché io ho chiesto il riconoscimento di paternità all’ex re del Belgio. È una situazione insostenibile».
Il processo va avanti. Alberto è stato obbligato a sottoporsi al famigerato test, lo scorso maggio gli è stato prelevato un campione di saliva. Ma parallelamente i suoi legali si sono rivolti alla corte di Cassazione di Bruxelles per bloccare il procedimento. Corte che, però, ha respinto il ricorso, di fatto schiaffeggiando il suo sovrano emerito. E ha affermato il diritto di Delphine di arrivare alla verità. Ora bisogna solo aprire la busta che contiene il campione di saliva. E scoprire se la scienza dà ragione alla ex ragazza cresciuta senza padre o all’ex re travolto dal suo passato.