A metà del concerto-maratona degli Eagles al Madison Square Garden, Don Henley si avvicina al microfono e si rivolge al pubblico, una delle rare volte in cui lo fa: “Voglio ringraziarvi per il sostegno che ci avete sempre dato. Vogliamo distrarvi per tre ore dall’orribile ciclo delle notizie che va avanti 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Vogliamo darvi qualcosa di familiare in questi tempi incerti perché è vero che la vita è come una scatola di cioccolatini, ma in alcune scatole c’è scritto quel che ti capita. Ecco, noi siamo quella scatola”.
Ci sta. Nel 2020 un concerto degli Eagles è una scatola di cioccolatini molto costosa da cui sai che cosa aspettarti. Questa volta, all’interno della scatola c’è l’esecuzione completa del capolavoro del 1977 Hotel California, oltre a una lunga serie di classici tratti dagli altri album della band e ad alcuni successi solisti.
Gli Eagles sono stati giudicati per la prevedibilità dei loro concerti e la tendenza a ricreare dal vivo le registrazioni sul palco con una precisione incredibile. Sono critiche ingiuste. Le loro canzoni sono opere d’arte realizzate meticolosamente e sono entrate nella coscienza collettiva grazie a decenni di passaggi radio. Suonare strane variazioni, oscuri lati B, cover stravaganti o brani solisti dimenticati sarebbe un’offesa criminale per la loro enorme fan base. Queste canzoni richiedono precisione.
Il concerto inizia con un uomo che sale sul palco e mette sul piatto una copia in vinile di Hotel California. Nel momento in cui scende la puntina, il sipario si alza e la band attacca la title track. L’album prende vita letteralmente portando il pubblico in uno stato di estasi nostalgica. È la prima volta che il gruppo suona un disco per intero. La scelta di Hotel California, anche in assenza di un anniversario tondo, è scontata: è il loro disco di inediti di maggior successo e quello scritto meglio.
Le nove canzoni costituiscono un concept sulla fine del sogno americano in un periodo in cui tramontano la speranza e l’idealismo tipici degli anni ’60. I personaggi sono intrappolati in relazioni tossiche, combattono le loro dipendenze, vivono in luoghi un tempo bellissimi e ora distrutti dall’avidità delle multinazionali e dall’indifferenza della gente.
Della formazione che l’ha scritto e registrato sono rimasti solo Don Henley e Joe Walsh. Glenn Frey è morto nel 2016, Randy Meisner ha avuto gravi problemi di salute e personali, Don Felder ha avuto un ruolo fondamentale nella scrittura della title track ed è stato il loro chitarrista principale negli anni ’70 e nella prima reunion nei ’90, ma li ha portati in tribunale dopo essere stato estromesso nel 2001. Sarebbe stato bello vederlo di nuovo sul palco, ma sfortunatamente non è successo. A colmare i vuoti nella formazione ci sono il figlio ventiseienne di Glenn, Deacon Frey, il cantante country Vince Gill, il chitarrista Steuart Smith e il bassista Timothy B. Schmit, che fa parte della formazione ufficiale degli Eagles dal tour di Hotel California nel 1977.
Si ascolta l’album canzone per canzone, il che significa che New Kid in Town viene subito dopo la title track. Era l’unico pezzo con Frey voce solista e Gill lo interpreta con grande delicatezza. Life in the Fast Lane riscalda l’atmosfera e dà a Walsh la possibilità di suonare il suo celebre assolo, ma le cose si fanno davvero interessanti con Wasted Time, una dolorosa ballata derivante dalle esperienze personali di Henley con gli archi dell’amico Jim Ed Norman, già con lui negli Shiloh. Dopo tanti anni, Norman torna con la band per supervisionare gli archi. A quel punto Henley, che inizia lo spettacolo seduto alla batteria, è sul fronte del palco per cantare il pezzo con grande trasporto.
Tocca a una ragazza vestita come una sigaraia, di quelle che giravano per i corridoi durante l’intervallo degli spettacoli di Las Vegas fino agli anni ’50, girare il vinile e far partire il lato B. Attenendosi scrupolosamente al copione, gli archi attaccano la breve ripresa di Wasted Time prima che il gruppo suoni Victim of Love. Joe Walsh ha finalmente la possibilità di guidare la band in Pretty Maids All in a Row, mentre Vince Gill interpreta il country-rock mezzo dimenticato Try and Love Again che la band non suonava dal 1977. Le due canzoni hanno dato a Henley la possibilità di riprendere fiato prima dell’epico finale di The Last Resort. È una canzone profetica, un viaggio nell’America e nel tempo che documenta la devastazione ambientale dalle coste orientali di Providence, Rhode Island, fino a Lahaina, Hawaii. “Soddisfiamo i nostri infiniti bisogni e giustifichiamo le nostre peggiori azioni”, recita il testo, “in nome del destino e in nome di Dio”. Ad affiancare il gruppo per il pezzo non c’è solo la sezione archi per questo, ma anche un coro, per un totale di 77 persone sul palco. Tutti gli occhi sono però puntati su Henley che a 72 anni d’età ha ancora quasi tutta l’estensione vocale di un tempo.
Se il concerto fosse finito così il pubblico se ne sarebbe andato soddisfatto. E invece dopo una breve pausa gli Eagles tornano sul palco per suonare altre 22 canzoni. Gli applausi più fragorosi sono per Deacon Frey. Non è solo identico a com’era il padre nel 1975, ma ha anche la stessa voce. Per qualche motivo, Gill canta la maggior parte delle parti di Glenn (oltre a Take It To The Limit di Meisner), anche se Deacon è fondamentale delle armonie e interpreta in Take It Easy, Peaceful Easy Feeling e Already Gone con sicurezza e compostezza.
Alla fine del set, successi solisti come Life’s Been Good di Walsh e Boys of Summer di Henley sono inseriti armoniosamente nella scaletta. Nei bis si ascolta Rocky Mountain Way (senza Henley) prima del ritorno del batterista sul palco per guidare l’intera arena nel canto di Desperado. I fiati tornano per The Long Run prima di una breve ripresa di Hotel California con tanto di assoli di doppia chitarra.
Gli Eagles porteranno lo show in giro per l’America nei prossimi due mesi e a Londra in agosto per un paio di concerti a Wembley. Ai fan piacerebbe rivedere il chitarrista originale Bernie Leadon, Felder e, salute permettendo, Meisner per una grande reunion di tutti gli Eagles viventi. È una possibilità decisamente remota, ma dopo questo viaggio sentimentale nell’Hotel California è la cosa migliore che possano fare.