«Gli ultras mi hanno detto: prima c’erano le guerre, e la gente che voleva combattere è lì che andava. Oggi le guerre non ci sono più: questi scontri sono dunque il loro modo per sfogarsi». Così Francesco Lettieri, il regista napoletano reso celebre soprattutto dai videoclip di Liberato, racconta l’incontro con l’universo umano al centro del suo esordio alla regia di un lungometraggio. Si intitola Ultras, appunto, è prodotto da Netflix con Indigo Film e arriverà sulla piattaforma il 20 marzo, dopo un breve passaggio dal 9 all’11 marzo in alcune sale selezionate. La conferenza stampa del film, a causa dell’emergenza coronavirus, è stata la prima a svolgersi completamente in streaming.
Al centro del racconto c’è un gruppo di ultras napoletani, divisi tra chi ha cercato di mettere la testa a posto (l’ex leader interpretato da Aniello Arena, l’attore lanciato da Reality di Matteo Garrone) e le nuove leve che invece cercano lo scontro in casa e in trasferta. «Il soggetto era stato inizialmente pensato, insieme a Peppe Fiore (co-sceneggiatore del film, ndr), per un videoclip di Calcutta ambientato nel mondo degli ultras di Latina. Poi non se n’è fatto niente, dunque per il film abbiamo preso il cuore di questa storia: il personaggio del Mohicano e il suo rapporto d’amore a distanza col calcio. A distanza perché è costretto a rispettare il Daspo (il divieto di accedere a manifestazioni sportive, ndr), come il protagonista del film».
«Lettieri ha un modo personalissimo di parlare di sentimenti, di mettere un’estetica, un’autorialità molto precisa al servizio di un racconto popolare», spiega Fiore. «Nel tifo organizzato c’erano tutti gli elementi su cui Francesco ha costruito la sua unicità: quel romanticismo, quella malinconia di fondo che gli appartiene».
Lo scenario, come nei videoclip di Liberato (che firma le musiche del film a partire dal brano originale appena uscito, We Come from Napoli) è ancora una volta la città partenopea. «A differenza delle altre grandi città, che hanno più di una squadra per cui tifare, qui si è tutti uniti dal tifo per un unico team. Un tifo che ha anche a che fare con il sentimento di riscatto del Sud: il Napoli è l’unica squadra meridionale che può confrontarsi con quelle del Nord». Il focus però non è sui tifosi “normali”, ma sulle frange più pericolose. «Negli anni ’70 e ’80 si chiamavano ultrà, erano un gruppo umano più folkloristico. Dagli anni 2000 si fanno chiamare ultras, sono diventati più cupi, più violenti. Oggi stanno vivendo un momento di grande crisi: sono stati molto combattuti, repressi. Per loro, è sempre più difficile esercitare quell’indole violenta. Gli scontri, per fortuna, sono sempre più rari».
A livello visivo, per Lettieri la prova con un film vero e proprio è la sfida maggiore. «Come autore, sono cresciuto molto quando ho iniziato a lavorare con Gianluca Palma, il mio direttore della fotografia. Si è creata tra noi una vera e propria simbiosi, che ha contaminato tutto il lavoro estetico e visivo. Abbiamo cercato di costruire un’estetica contemporanea che però avesse anche dei codici nostri: l’utilizzo dello zoom, la macchina a mano “sporca”. Nel film abbiamo messo insieme tutti i pezzi della nostra esperienza. Non credo che il cinema abbia cambiato la mia estetica. Ma so che il prossimo film, se ci sarà, sarà molto diverso».