Nell’ultimo anno sono dimagrito 25 chili, e la mia vita è molto cambiata. Migliorata direi, sotto molti punti di vista. Le persone sul lavoro e nella vita privata hanno cominciato a prendermi più sul serio, ad esempio. Non trattandomi più come il paffuto amico buontempone. Nel piacere di godere di una vita migliorata, però, mi sono accorto di quanto tutto questo non sia giusto. Perché di fatto io sono sempre la stessa persona, che indossa semplicemente vestiti più stretti, e ha meno adipe sulle guance. E me ne sono accorto perché da qualche mese seguo la pagina Belle di Faccia, creata da Chiara Meloni e Mara Mibelli. Due attiviste sarde che si occupano di body positivity.
Sul loro account, grazie alle bellissime illustrazioni di Chiara, affrontano tutti i temi concernenti la grassofobia, la fat acceptance, e quella scala di valori imposta che risponde al nome di “thin privilege”. In quest’epoca di grande apertura nei confronti delle minoranze, e delle persone discriminate, raccontano aspetti della nostra cultura tossica spesso trascurati anche dalle aree più illuminate e progressiste: il disgusto per le persone grasse non è soltanto una questione estetica, ma una precisa conformazione sociale. Per questo motivo, ho deciso di intervistarle, facendomi spiegare come hanno iniziato ad essere attiviste, come è cambiata la loro vita quando hanno deciso di accettare i loro corpi, e cercando di capire come mai il mondo odia tanto le persone grasse.
Ciao Chiara, ciao Mara. Potete raccontarmi come vi siete conosciute, e quando è partito il vostro progetto?
Mara: Ci ha presentate un amico comune, 15 anni fa. Era convinto, non so perché, che io fossi la sua fidanzata, e voleva presentarmi a Chiara, che già conosceva.
Chiara: Già. Mi disse che Mara mi sarebbe piaciuta tantissimo, e che saremmo diventate migliori amiche. Su quello, almeno, aveva ragione.
Mara: Esatto. Dopo 15 anni di amicizia, alla fine del 2018 abbiamo deciso di aprire Belle di Faccia. Un progetto che riuscisse a trattare nel modo giusto degli argomenti di cui da sempre parlavamo fra di noi: body shaming, grassofobia, diet colture e thin privilege. Lo abbiamo chiamato così perché “sei tanto bella di faccia, che peccato”, è stata la microaggressione che abbiamo subito più spesso negli anni, a causa dei pregiudizi sui nostri corpi. Il concetto per cui se hai un bel viso – anche se i nostri haters ci dicono che siamo cesse anche di faccia – è comunque sprecato su un corpo grasso.
Come vi siete avvicinate all’attivismo per la body positivity?
Chiara: Fondamentalmente di body positivity in Italia si parlava già nei primi anni Duemila. Ma era una cosa più pensata per i brand, tutto sloganismo e poca inclusione. Del tipo “le donne sono tutte bellissime”, “ama le tue curve” e così via. C’era sempre la sensazione che non fosse abbastanza, e che si stesse semplicemente allargando un po’ il range di accettazione. Dalla taglia 42 siamo passati ad una 48, tutto lì. Negli anni, invece, siamo entrate in contatto col il vero movimento body positive: che trattava l’argomento in maniera seria. Parlando della scala di privilegi a cui sei in grado di accedere solo se sei il tuo corpo rispetta gli standard estetici imposti: quelli della magrezza.
Come si può definire, in sostanza, il fat shaming?
Mara: Mentre il body shaming è correlato direttamente con il concetto di bellezza, ed è una cosa che subiscono tutti, il fat shaming è qualcosa di più profondo. Umiliare una persona perché grassa non riguarda solo l’estetica.
Chiara: Il grasso è percepito come un fallimento dell’individuo: non sei solo brutto, ma anche pigro e stupido. È una colpa, non solo una condizione. C’è proprio un sentimento di rabbia che va a braccetto con questo pregiudizio. Sei un fallimento della volontà: un essere umano di serie B.
Mara: Non hai nemmeno un genere: una donna grassa è troppo vistosa, troppo poco elegante per essere femminile. Gli uomini invece sono visti come morbidi, privi di nerbo, poco virili. Non è un caso che il movimento nasca da ambienti queer.
Cos’è che disturba tanto della grassezza, e soprattutto delle persone grasse che accettano il loro corpo?
Mara: Come ha scritto Roxane Gay nel libro Fame, i corpi grassi sono “non normali”. E tutto quello che non è normale spaventa. Accettare questi corpi, poi, mette in forte discussione la scala di privilegio sociale, e gli sforzi che le persone fanno per attenersi ad essa. Se io sono grassa, ma nonostante questo mi accetto e sono felice di me stessa, è come se chi si è sforzato tutta la vita – con diete ed esercizio fisico – per avere un corpo magro si ritrovasse di colpo con un milione di dollari in banca. Fatica e sofferenza inutili.
Parliamo di questa scala di valori: come si può definire il thin privilege?
Mara: Innanzitutto è un privilegio sociale. Una serie di benefici di cui disponi solo perché sei magro, e che non hai fatto niente per avere. Alcune cose per una persona magra sono più facili e semplici – trovare lavoro, visibilità sociale, rispetto, accessibilità a servizi pubblici (anche quelli sanitari), disponibilità di merci pensati solo per persone magre (come vestiti, oggetti, mezzi di trasporto). Sono tante le cose che una persona magra da per scontato, e che per una persona grassa sono fonte di stress.
Chiara: La gente si incazza quando parliamo di privilegio, ma noi non incolpiamo l’individuo. No hai creato tu la piramide che mette i magri al vertice, però di fatto ne benefici. Di questo si tratta: una persona magra vive una vita più semplicemente, e non c’è una ragione dietro questo. Le persone che dimagriscono se ne accorgono subito: quando dimagrisci la tua vita cambia, ti si aprono possibilità che prima non avevi.
Voi quanto ci avete messo ad accettarvi per come siete, e che rapporto avevate prima con il vostro corpo?
Mara: Io ero la classica ragazza grassa che si serve dell’autoironia per attutire il colpo del giudizio altrui. Dicevo le cose più cattive su me stessa. Poi ho attraversato una fase in cui anche io volevo essere la bella ragazza formosa: d’altra parte chi non vorrebbe fare la parte del vincitore ed essere accettato? Mi vergognavo di me stessa, evitavo di andare al mare e vivo in Sardegna. Oggi riguardo al mio passato con grande indulgenza. Non sono sempre stata un’attivista militante, per questo ringrazio chi lo è stato prima di me.
Chiara: È stato un percorso lungo. E ci terrei a specificare che dal punto di vista sociale accettare te stesso non ti porta particolari vantaggi. Però impari a destreggiarmi, e non accetti più il ruolo a cui era stata confinata. Impari a mettere dei paletti con le persone, e capisci quali sono quelle realmente disposte ad accettarti.
Uno dei punti cardine di chi tenta di criticarvi, è l’accostamento fra magrezza e salute fisica.
Chiara: La cosa principale, che diciamo sempre, è che esistono diversi studi secondo cui le diete non funzionano per migliorare la salute fisica. La verità è che non si può evincere niente sulla salute di una persona dal suo peso corporeo: altrimenti ci sarebbero malattie che verrebbero solo ai grassi, ma non mi risulta infarti e problemi alle articolazioni colpiscano solo chi pesa molto.
Mara: Quello che vogliamo evidenziare, poi, è che la salute non può essere un valore morale, perché anche l’accesso alla salute è un privilegio. Colpevolizzare le persone e pensare che la salute sia un tuo dovere e non un diritto, pensare che un cittadino in salute è un cittadino modello mentre gli altri sono un peso per la società, è ignorare una questione fondamentale. La cosa che influenza di più la salute è la classe sociale. A parità di peso, età, e attività fisica, le persone che non sono privilegiate a livello sociale e finanziarie stanno peggio. Poi se vogliamo andare nel particolare e vedere come funzionano certe diete, l’attività fisica, il poco stress, vivere in posti che non sono a rischio: sono tutte cose accessibili solo a chi è privilegiato.
Altri invece sostengono che la grassezza è un problema da primo mondo, un problema occidentale dovuto all’industrializzazione.
Chiara: Sono percezioni falsate. I corpi grassi, o comunque i corpi non magri, sono sempre esistiti. In tutto il mondo, non solo in Occidente. Noi abbiamo un concetto della bellezza molto razzista, molto eurocentrico, quindi guardiamo solo al nostro orto. Ci sono account come Historycal Fat People, che mostrano come i corpi grassi esistessero anche prima dell’industrializzazione e dei cibi raffinati.
Si può dire che la fat liberation è una battaglia che comporterebbe un completo rovesciamento dei valori estetici?
Mara: Assolutamente. In passato abbiamo ricevuto diverse critiche da femministe che vedevano nel nostro attivismo uno spreco di attenzione. Ci chiedevano di concentrarsi su cose più importanti. Ma liberare i corpi grassi significa liberare tutti i corpi: significa annientare qualsiasi ideale maschile di bellezza introiettato.
Come è stato questo primo anno di Belle di Faccia, e che progetti avete per il futuro?
Chiara: Siamo rimaste veramente colpite dalla valanga di attenzione e affetto che abbiamo ottenuto. E ne andiamo orgogliose, perché ci siamo prese un po’ di spazio là dove di solito le persone grasse sono escluse.
Mara: Ecco il progetto futuro è proprio questo. Continuare a prendere sempre più spazio.