Dopo la riflessione sui live in streaming e l’analisi di Murder Most Foul di Bob Dylan, Nick Cave è tornato a parlare del coronavirus e dell’isolamento che stiamo vivendo in un post pubblicato sul sito The Red Hand Flies. Questa volta il cantautore ha cercato di rispondere a una semplice domanda di un fan australiano: “Pregare, ma chi?”.
“L’atto della preghiera non è in nessun modo esclusivo alla pratica religiosa, perché la preghiera non dipende dall’esistenza di un soggetto. Non hai bisogno di pregare qualcuno”, scrive Cave. “La preghiera non è l’incontro con un agente esterno, ma un incontro con noi stessi”.
“La preghiera ci offre un momento nel tempo in cui contemplare le cose che riteniamo importanti. […] Il coronavirus ci ha messo in ginocchio, ma ci ha anche dato l’opportunità di essere devoti a prescindere dalla nostra fede in Dio”, continua. “Costringendoci all’isolamento, ha smantellato l’immagine che ci eravamo costruiti, sfidato i nostri presunti bisogni, i nostri desideri e le nostre ambizioni. Ci ha resi schietti, ci ha riportati alla nostra sostanza, ci ha spinto a riflettere. Questo improvviso dislocamento ci ha gettato in un mistero che esiste ai margini delle lacrime e della rivelazione, perché nessuno sa cosa accadrà domani”.
Infine, il cantautore spiega perché la crisi ha rivelato tutta la nostra arroganza, ma sarà proprio questa nuova debolezza a salvarci. “Pensavamo di sapere, ma mentre pieghiamo la testa di fronte allo straordinario potere del virus, l’unica cosa di cui siamo certi è la nostra impotenza. Alla fine questa vulnerabilità potrebbe essere, per il pianeta e per noi stessi, la nostra salvezza mentre metteremo piede nel domani. Liberi dalle nostre certezze, presentiamo al mondo le nostre offerte più pure: le preghiere”.