Lo scorso 9 maggio il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato che Silvia Romano, volontaria presso la onlus “Africa Milele” e rapita nel 2018 in Kenya, è stata finalmente liberata. Sui social si sono susseguiti una serie di messaggi: molti di giubilo e altri di critica, o sarebbe meglio dire di polemica.
Moltissimi sono arrivati anche a una omonima che su Instagram ha ricevuto migliaia di menzioni e commenti sotto alcune sue foto. La Silvia Romano in questione è l’assistente del rapper Anastasio, vincitore della dodicesima edizione di X Factor, che ha dato notizia del fraintendimento sul proprio profilo Twitter @itssil, non senza sarcasmo: “Dunque io mi chiamo Silvia Romano. Ieri il mio profilo IG è esploso con tanto di messaggi “libera” sotto i miei selfie di qualche settimana fa. Le mie storie che di solito hanno 900 views, oggi ne hanno 6500”, twittava il 10 maggio alle 10.40 per poi arrivare a 9000 notifiche alle 17.31 del medesimo giorno, come aggiornato dalla stessa Romano tramite un altro tweet.
Ho scambiato due chiacchiere con Silvia, che mi ha raccontato che in realtà il problema è iniziato già quando l’altra Silvia fu sequestrata:
«18 mesi fa, quando Silvia Romano fu rapita in Kenya, per me fu una giornata strana, paradossale. Il telefono incominciò a impazzire per le innumerevoli notifiche. Alcuni amici – quelli che sapevano che mi trovavo a Milano, al lavoro come ogni giorno – mi mandavano gli screen della notizia, quelli che invece non sentivo da molto o con cui avevo perso i rapporti, mi scrissero allarmati. Ricevetti tante chiamate, soprattutto dalle mamme dei miei amici. Il mio Instagram fu preso d’assalto, avevo moltissime visite al profilo, mi ricordo che feci +300 followers. Su Facebook mi trovai a rifiutare almeno un centinaio di richieste di amicizia. Rimasi colpita, non riuscivo a capire la morbosità di andare a cercare Silvia sui social davanti a una tragedia del genere. Mi interrogai molto su questo sensazionalismo da social legato alle tragedie, arrivai alla conclusione che è solo un’altra forma di egocentrismo». Anche Anastasio ha fatto delle storie su Instagram invitando le persone a lasciare in pace la sua collaboratrice.
Qua mi sembra abbastanza evidente che non si tratta di analfabetismo funzionale, ma di vera e propria ignoranza e superficialità portata all’estremo. Una persona legge da qualche parte “Silvia Romano libera!” e, senza manco sapere chi sia, cerca la prima Silvia Romano che capita sui social per prodigarsi in un commento non necessario, che sia di bentornata a casa o di insulti ha poca importanza. Anche le buone intenzioni infatti sono pericolose in questo contesto, perché manifestano semplicemente un desiderio che non ha nulla a che fare con quanto accaduto alla Silvia Romano tenuta in ostaggio per un anno e mezzo, ma col proprio esibizionismo. La sua omonima si è chiesta infatti se le persone che l’hanno menzionata volessero una ri-condivisione, per trovarsi sotto i riflettori di una vicenda della quale non sanno nulla.
Tanto per far capire i toni, sotto una sequenza di foto del 17 aprile scorso pubblicate su Instagram un tizio le ha scritto: “Quanto ci sei costata a riportarti indietro?” a cui seguono ben 25 risposte, prima fra tutte quella di Silvia, che recita: “Io per meno di 4 milioni non alzo manco un dito”. Il profilo “destraconservatricelombardia” (un nome che parla da sé) è indignatissimo: “Ma che vergogna! 4mln per tornare indietro incinta, vestita da musulmana e sposata con uno dei rapitori… scandaloso”. GOMBLOTTO!
Ci sono anche quelli che ironizzano su Pippo Civati, segretario di Possibile, che durante il periodo del sequestro ha quotidianamente tweettato per ricordare le vicissitudini di Silvia Romano. I malfidenti commentano che sia stata tutta una mossa per farsi notare, te pareva…
Insomma, la gente non smette di esibirsi nel consueto spettacolo della mediocrità e se alcuni commenti sono talmente ridicoli e scritti male da strappare un sorriso, seppure di scherno, la dinamica è sconfortante, perché dimostra quanto la gente sia pigra e approssimativa, quanto non si prenda neppure la briga di andare a consultare un quotidiano, di informarsi per capire di cosa si stia parlando.
Queste persone si nascondono dietro l’anonimato dei profili fasulli e, anche quando ci mettono la faccia, pensano che il contesto virtuale non abbia nulla a che fare con la realtà. Presumono che scrivere su Internet non equivalga a rivolgersi personalmente agli interlocutori, ma solo blaterare cose a caso, senza alcuna valenza. Ormai noti come leoni da tastiera, assimilabili alle figure degli sceriffi da balcone tanto in voga in questo periodo, talvolta le due entità si sovrappongono dando vita a cerberi indignatissimi (lo so, il cerbero ha tre teste, vi lascio immaginare che tipo di testa sia quella che non ho menzionato), che credono di essere portatori della Verità e della Giustizia, inequivocabili, dal loro punto di vista.
Sono persone che, quando redarguite più o meno seriamente, si appellano offese alla libertà di espressione e di parola e a me viene in mente Guzzanti, col suo sketch meraviglioso dove sfotteva la coalizione di Berlusconi: “Casa delle Libertà, facciamo un po’ come cazzo ci pare!”. E qua ognuno fa davvero come gli pare, fottendosene della pertinenza di ciò che dice, del rispetto e della sensibilità altrui.