Time in Jazz è il festival che sfida il coronavirus | Rolling Stone Italia
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Time in Jazz è il festival che sfida il coronavirus

La rassegna ideata dal trombettista Paolo Fresu si terrà in agosto in Sardegna, con posti ridotti, distanziamento, mascherine. «Non possiamo permetterci di chiudere tutto e dire che la musica ripartirà nel 2021»

Time in Jazz è il festival che sfida il coronavirus

Paolo Fresu a Time in Jazz 2017, con Philippe Garcia

Foto: Alessandra Freguja

Gli organizzatori del festival estivo Time in Jazz avevano fatte le cose in grande. Al posto di presentare l’edizione 2020 con la solita conferenza stampa, erano pronti per invitare i giornalisti a Berchidda, il piccolo comune dell’entroterra sardo dove da 33 anni si tiene il festival. Il lockdown decretato il 9 marzo ha bloccato tutto. Due mesi e mezzo dopo, contro ogni previsione, Time in Jazz ha presentato il suo programma per il mese di agosto. Nell’estate in cui si è detto che la musica si sarebbe fermata, il festival organizzerà oltre 50 eventi fra concerti, mostre e incontri nella Piazza del Popolo di Berchidda e nei comuni limitrofi. È una storia che ha che fare con la caparbietà, il sentirsi parte di una missione culturale, il contatto costante con le istituzioni e forse con un pizzico d’incoscienza.

Time in Jazz è fondato e diretto dal trombettista jazz di fama internazionale Paolo Fresu ed è gestito da un’associazione culturale senza scopo di lucro. Ha cioè un’economia radicalmente diversa da quella di chi deve creare profitti e può farlo principalmente tramite le entrate derivanti dalla vendita dei biglietti. Il festival ospita solitamente 30 mila persone con un indotto sul territorio di 3 milioni di euro. Buona parte delle spese sono coperte da finanziamenti pubblici (soprattutto la Regione Sardegna, poi il Ministero per i beni e le attività culturali, quindi i comuni), il resto da sponsor privati.

È Fresu a compilare il programma. Inizia solitamente fra ottobre e novembre. Nel gennaio 2020 aveva la line-up pronta. Il lockdown è stato uno shock. «Era tutto pronto, avevamo l’ok degli artisti e dei comuni, avevamo già fissato la conferenza stampa a Berchidda in aprile», spiega la direttrice organizzativa Mattea Lissia. «Siamo entrati in apnea. Quando Paolo non ha potuto fare il concerto con Danilo Rea all’Aeroporto Olbia Costa Smeralda l’8 marzo abbiamo capito che le cose si mettevano male». Eppure non hanno mai pensato di cancellare il festival. «Avremmo fatto concerti davanti a una sola persona, se fosse stato necessario. Abbiamo anche pensato di spostare tutto in autunno. In ogni caso, non avremmo mai rinunciato al progetto. Abbiamo voluto lanciare un messaggio: la cultura non si può fermare. Siamo ottimisti, forse incoscienti o temerari, ma non folli».

E così il festival si terrà nel mese di agosto. Le date precise devono essere ancora definite e i particolari decisi in base all’andamento del virus e alle disposizioni di legge che verranno. Il cast va da jazzisti come Fresu e Rita Marcotulli a cantanti pop come Daniele Silvestri che sarà in concerto all’Agnata, la tenuta di Fabrizio De André. Il costante contatto con le istituzioni ha permesso di organizzare il festival. Fresu ha partecipato ad alcuni tavoli di lavoro con il ministro Dario Franceschini e il MIBACT. «È stato dialogando con le istituzioni che siamo stati in grado di dare consigli e immaginare il festival sapendo in anticipo quali sono i miglioramenti che verranno apportati alle linee guida uscite una decina di giorni fa». Nel decreto si stabilisce fra le altre cose che il numero massimo di spettatori sia 1000 per gli spettacoli all’aperto, che vi sia mantenimento del distanziamento interpersonale, la misurazione della temperatura corporea, l’utilizzo di mascherine e altri dispositivi di protezione, la separazione fra entrata e uscita. Una parte controversa delle linee guida riguarda il divieto del consumo di cibo e bevande. «E invece ci potrà essere nelle modalità attualmente usate nei locali e nei bar», assicura Lissia. «Speriamo si allarghino ulteriormente le maglie e che ad esempio sia possibile fare sedere vicini i nuclei famigliari».

Paolo Fresu a Time in Jazz 2018. Foto: Roberto Sanna

L’ufficio tecnico di Time in Jazz è abituato alle situazioni difficili. «Abbiamo portato tre pianoforti in montagna e fatto concerti su una chiatta dentro uno stagno. Ci si adatta». Adeguarsi ha un costo. Si calcola che l’applicazione delle nuove norme di sicurezza provocherà un incremento dei costi del 30% a fonte di una riduzione del numero di biglietti. Il luogo più grande in cui si tengono i concerti è Piazza del Popolo a Berchidda. Solitamente ospita 1300 persone, ora ne farà accomodare 360. «Non potendoci permettere l’incremento del 30% dei costi siamo costretti a ridurre le spese di quella stessa quota. Abbiamo ridotto di due giorni la durata del festival. Non abbiamo invitato artisti internazionali come Archie Shepp. Abbiamo rinunciato ai 100 Cellos, che sarebbero stati ingestibili in questa situazione, e a un progetto imponente di Rita Marcotulli su Caravaggio. Abbiamo chiesto agli ospiti piccoli sacrifici, su come viaggiano e sugli accompagnatori. In nessun caso è stato deciso di abbassare i compensi. È una scelta politica: in un momento di crisi non sarebbe giusto chiederlo né agli artisti, né ai lavoratori. Tenere alta la bandiera significa anche pagare dignitosamente le persone. Consideriamo il festival un presidio economico-culturale. La musica non è uno spritz che bevi la sera. È cibo, in tutti i sensi. Non possiamo permetterci di chiudere tutto e dire che la musica ripartirà nel 2021».

«È stato difficilissimo organizzare il festival e anche andare dai comuni chiedendo risorse che avrebbero potuto destinare ad altri usi in questo momento di crisi, ma abbiamo voluto difendere con le unghie e con i denti il lavoro. Dice Paolo che quando li ha chiamati per invitarli, alcuni artisti si sono commossi. Un ingaggio oggi è miracolo». L’immagine del pubblico sparpagliato con addosso le mascherine non mette allegria. «Però mette speranza», ribatte Lissia. «L’ho capito l’8 maggio, quando Paolo Fresu ha fatto il concerto in streaming dal Blue Note di Milano, senza pubblico. Vederlo salire sul palco con la mascherina è stato commovente. C’erano tensione ed emozione. L’idea è: riprendiamoci gli spazi, riprendiamoci la vita».

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