«C’era una volta in America». Venerus si guarda intorno e cita il film di Sergio Leone per descrivere il posto in cui ha appena finito di fare il soundcheck. Locomotive, vagoni e carrozze di oltre 100 anni fa: l’ideale per un viaggio nel tempo e nello spazio, considerato anche il razzo Vega parcheggiato fuori.
È sabato pomeriggio e siamo nel Padiglione Ferroviario del Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci di Milano, la venue scelta per il party conclusivo della Digital Week 2020. Il fatto è che non verrà nessuno perché il concerto di Venerus, causa Coronavirus, sarà trasmesso in streaming live dalla piattaforma Dice.FM. Prezzo del biglietto per assistere da casa all’evento: 5,50 euro, più o meno il costo di una birra al pub. Biglietti venduti: 800.
«Sono curioso di vedere cosa farò», racconta Venerus seduto nel cortile del museo prima del concerto: «Suonerò le mie canzoni, ok, ma tra una canzone e l’altra con chi parlo? Comunque ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto fare un programma in radio per parlare alla gente: la dimensione probabilmente sarà la stessa, parli da solo ma sai che c’è qualcuno che ti sta ascoltando».
Qualcuno che paga un biglietto non solo per ascoltare, ma per guardare in tempo reale un concerto girato professionalmente in una location d’eccezione, non un live su Instagram in diretta disturbata dalla cucina di un artista: «Ci ho pensato perché sono il primo a rompere le palle con ste cose», dice Venerus, «e per un artista che mi piace sarei disposto a pagare. Pensa se avessi la possibilità di vedere a 5 euro il tuo cantante preferito che fa un concerto con un set-up mai visto prima insieme a musicisti con cui non ha mai suonato prima… Pagherei di brutto, sì».
Tra staff in mascherina e distanze di sicurezza d’ordinanza, già il soundcheck è un’esperienza unica per il solo Venerus e chi suona con lui. C’è il beatmaker Mace, che ha sì prodotto Canzone per un amico, ma che finora non aveva mai condiviso un live con Venerus: «Per assurdo, tutto il lavoro sui suoni lo faccio con lui, ma dal vivo di solito è tutto suonato con gli strumenti, quindi ho aspettato per tirarlo in gioco anche dal vivo: è l’inizio di una collaborazione anche da questo punto di vista, era la dimensione che mi mancava, il modo moderno di essere una band».
E poi, seduto sui binari del museo della Scienza di Milano, c’è anche il maestro Enrico Gabrielli con sassofono e flauto traverso: «Era un mio sogno», spiega Venerus: «Sono in fissa con lui dal 2014, mi piacciono i Calibro. Lo avevo già contattato per delle mie produzioni e alla fine l’ho sentito per questo progetto. Mi ha risposto mega-positivo: “Non vedevo l’ora, non ho fatto niente per tre mesi. Fammi suonare”».
Attenzione: non solo Venerus e Gabrielli non avevano mai suonato insieme prima di oggi, ma non si erano mai conosciuti di persona. «Mi sono fidato del fatto che io le mie canzoni le so, Mace le mie canzoni le sa», scherza Venerus: «E Gabrielli è un musicista della Madonna. Situazioni simili ti ricordano cosa vuol dire suonare insieme, cioè comunicare: io suono e se tu conosci il mio linguaggio puoi dialogare con me. Ed è anche il motivo per cui, sia per me che per il pubblico, vale davvero la pena partecipare a questo evento».
Mentre Venerus, Gabrielli e Mace provano la decina di pezzi in scaletta e videomaker e regia calibrano le riprese per il live streaming, nel cortile del museo c’è anche Tommaso Deserti, country manager di Dice, società di ticketing da poco sbarcata in Italia la cui missione principale sarebbe “fare uscire di più la gente”.
Poi è arrivato il Coronavirus e hanno cominciato a lavorare su eventi simili in remoto, per esempio con Lewis Capaldi e Laura Marling. Questo party di chiusura della Milano Digital Week è il loro primo esperimento del genere in Italia. «Ora non possiamo portare fuori i fan», spiega carico di entusiasmo dietro la mascherina Deserti, «ma l’altra nostra missione è comunque avvicinarli agli artisti». E se i biglietti venduti sono circa 800, probabilmente le persone che seguiranno il live di Venerus saranno molte di più. La visione collettiva di un evento, come per Sanremo, tutti sul divano davanti allo schermo: «E per simulare il sudore al massimo qualche amico ti tira addosso una secchiata d’acqua».
«Sono figlio di due ingegneri, mi portavano qui da piccolo a 5 o 6 anni», ricorda Venerus, che conosce benissimo il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano: «Dall’altra parte ci sono tutte le macchine di Leonardo coi bottoni… È un bel throwback». E qui, tra vecchi treni, navi d’altri tempi, aerei di ogni epoca e missili spaziali, sospeso tra passato, presente e futuro, pianeta terra e mondi lontani, Venerus mette a nudo tutto se stesso, piccolo Prince della musica italiana.
Insieme a un paio di fotografi, entourage dell’artista e ai tecnici impegnati tra suono e immagini, siamo gli unici ad assistere davvero dal vivo al concerto trasmesso in streaming dalle nove in punto, gli unici a partecipare fisicamente a questo party di chiusura della Milano Digital Week, dunque non c’è molta differenza rispetto al soundcheck del pomeriggio. Il silenzio sospeso della sera viene spezzato dalla voce di Venerus: «Amici siamo in diretta, qui riuniti per ricordarci cosa vuol dire suonare insieme».
Dalla piccola area destinata al pubblico ridotto all’osso presente, addetti ai lavori e nient’altro, riusciamo a vedere solo Venerus in abito zoot oversize, il viso truccato con una composizione psichedelico-floreale: si sposta dal pianoforte incastonato sulla banchina tra due treni alla chitarra appoggiata sui binari della ferrovia musearia. Impossibile scorgere il maestro Gabrielli e i suoi fiati, a malapena intravediamo Mace davanti al suo laptop. Fuori in cortile l’entourage di Venerus segue invece lo show in livestreaming come i fan a casa, ed è davvero uno spettacolo unico.
Tra le canzoni in scaletta, Love Anthem No. 1, Fulmini, Al buio un po’ mi perdo e, naturalmente, Canzone per un amico, tutte arrangiate con la raffinatezza e l’eleganza che contraddistinguono Venerus. Suggestioni jazz, sprazzi R&B, elettronica onirica: alla fine di ogni pezzo noi pochi presenti vorremmo applaudire, ma non possiamo.
«Immaginiamo le persone che fanno un cuore», dice a un certo punto Venerus un po’ impacciato, leggermente a disagio per questo dialogo a distanza privo di risposte certe: «Sembra un sogno o un film, speriamo non un incubo». E dopo un’oretta di show ringrazia per questo «viaggio a distanza». Lo show è finito e arriva l’applauso liberatorio di chi ha lavorato all’impresa, i ragazzi che hanno seguito in regia riprese e trasmissione del live sorridono soddisfatti ed è facile immaginare sia lo stesso per chi si è goduto lo spettacolo a casa.
«Non sapevo bene cosa dire, a chi parlare», dice Venerus ancora sudato dopo il concerto. Ma è visibilmente contento, consapevole di aver fatto ancora una volta da ponte tra passato, presente e futuro della musica italiana, pronto a tornare su un palco davanti ai suoi fan in carne e ossa, con o senza mascherina.