50 anni da ‘Festival Express’, l’evento musicale più visionario di sempre | Rolling Stone Italia
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50 anni da ‘Festival Express’, l’evento musicale più visionario di sempre

Il 27 giugno 1970 prendeva il via il festival itinerante che sarebbe rimasto nella storia: un treno che trasferiva artisti e crew, da Janis Joplin a Greatful Dead. Ma qualcuno aveva fatto male i conti

50 anni da ‘Festival Express’, l’evento musicale più visionario di sempre

Janis Joplin

Foto: Evening Standard/Getty Images

Il 27 giugno 1970, a pochi giorni dal primo anniversario di Woodstock e appena prima dell’edizione più celebre del Festival dell’Isola di Wight, prendeva il via l’evento musicale più visionario mai immaginato: Transcontinental Pop Festival. Una manifestazione senza precedenti, che avrebbe potuto trasformarsi in un modello da replicare, ma che invece, ancora oggi, rimane un unicuum, una fotografia di un periodo storico in cui tutto sembrava possibile.

L’idea dei promoter Ken Walker e dei fratelli Thor e George Eaton era tanto semplice quanto inedita: non un mega raduno sul modello dei fortunati predecessori, ma un festival itinerante che avrebbe attraversato il Canada da Toronto a Calgary. Invece di organizzare i trasferimenti in aereo, l’idea geniale di Ken Walker fu quella di affittare quattordici vagoni delle ferrovie nazionali canadesi per trasferire e ospitare artisti e crew. Un treno abituato a trasportare turisti e pendolari che, per qualche settimana, si sarebbe trasformato così in una delle massime espressioni dell’utopia Peace & Love, ostaggio di gente come Janis Joplin, Greatful Dead, The Band e Buddy Guy.

C’erano vagoni letto, open bar, ristorante, lounge e, ovviamente, un mare di prese elettriche per strumenti e amplificatori. In questo modo il viaggio in treno di collegamento tra una città e l’altra si trasformò nella più lunga jam session della storia del rock. «Avremmo potuto trovare un luogo idoneo a un classico festival, affittarlo e mettere insieme un cast, ma volevamo rompere gli schemi», disse Walker. «Volevamo dare vita a una vera e propria festa mobile, in cui la maggior parte delle performance si sarebbero svolte sul treno, senza un pubblico pagante».

Il musicista Kenny Gradney, che accompagnava Delaney & Bonnie, ricordò commosso quei giorni: «L’atmosfera durante quel minitour era persino più magica di quella di Woodstock. Era una specie di circo psichedelico itinerante». Per Mickey Hart dei Grateful Dead, «se Woodstock fu una sorta di medicina generazionale per il pubblico, quel treno fu una medicina per noi artisti». Tutti musicisti abituati a tour de force al limite della sopportazione fisica, ma che mai prima di allora si erano trovati a condividere quelle esperienze uno accanto all’altro: «In genere, durante un festival, l’unico momento in cui riuscivi a stare insieme ad altri musicisti era quando dovevi salire sul palco. Loro scendevano e tu salivi», ricordò Bob Weir. «Qualche scambio di battute sulla qualità del service e sulla risposta del pubblico e via. Su quel treno, invece, avrebbero potuto nascere decine di album». Già dopo la prima data, tuttavia, Walker e soci capirono che l’esperienza si sarebbe trasformata in un vero e proprio disastro finanziario. Mossi più dall’idea di cambiare per sempre la concezione di musica dal vivo, che da quella di diventare ricchi grazie alla loro trovata, i tre finirono per sottovalutare una marea di possibili problemi. Quando la carovana sbarcò a Toronto, tutti compresero che la maggior parte del pubblico si era presentata ai cancelli senza biglietto e, soprattutto, senza i soldi per entrarne in possesso. «Era iniziato il movimento di protesta contro il costo dei concerti», dichiarò George Eaton, «tutti erano convinti che la musica dovesse essere gratis. In qualche modo, gli ideali degli anni sessanta stavano iniziando a scontrarsi contro le logiche del music business. Era inevitabile che accadesse». Anche in quel caso, la scelta degli organizzatori si rivelò rivoluzionaria: in accordo con artisti e autorità locali, si decise di allestire un palco alternativo al di fuori dell’area scelta per il concerto, in modo da consentire alle band di suonare anche per chi era sprovvisto di biglietto. Per dare l’annuncio fu scelto Gerry Garcia: «La situazione stava degenerando. L’organizzazione pagava ventisettemila dollari al giorno per il servizio di sicurezza, ma non era possibile fermare la gente. Quindi decidemmo di fare un concerto gratuito e le proteste si placarono immediatamente. Scendevi da un palco, salivi su una macchina e ricominciavi dall’altra parte. Eravamo già lì, non ci costava nulla». «Prendemmo tutto con estrema filosofia», confessò ancora Wlaker, «Quando ripartimmo verso Winnipeg, capimmo subito di essere andati in rovina, ma non ci interessava. Avremmo dovuto tagliare ogni costo e saremmo andati comunque in bancarotta, quindi tanto valeva continuare a esagerare. Decisi di aggiungere persino un servizio di ristorazione notturna».

Nella cultura di massa, di quell’esperienza restò ben poco: il ricordo di chi vi aveva preso parte e una manciata di performance incredibili. In primis quelle disperate e drammatiche della Joplin, che non si sarebbe mai più esibita dal vivo. Fino agli inizi del nuovo millennio, quando Gavin Poolman, figlio del produttore di allora Willem Poolman, ritrovò nel garage della vecchia casa di famiglia le bobine delle riprese di allora. Consegnate a Bob Smeaton, vincitore di un Grammy per il lavoro fatto con The Beatles Anthology e al produttore di Jimi Hendrix Eddie Kramer, quei filmati diventarono Express Festival: il vero tassello mancante per completare il grande puzzle della storia del rock americano.

Festival Express Trailer HQ