14Hunters – Amazon Prime Video
Hunters urla Tarantino a ogni fotogramma, ma qui siamo fuori tempo massimo per cambiare la Storia: l’unica soluzione è la vendetta. E allora ecco che sulla scacchiera di questo revenge fantasy si muove un gruppo di nuovi “bastardi senza gloria” con una missione: dare la caccia ai nazisti infiltrati ai vertici dell’establishment statunitense negli anni ’70. A capo di questa eterna lotta tra bene e male, come fosse Obi-Wan, c’è Al Pacino, nei panni di un ricco sopravvissuto ai campi di concentramento. Il suo Luke è Logan Lerman (quello di Percy Jackson e gli dèi dell’Olimpo), un orfano che si troverà nel bel mezzo di questa una guerra ventennale di cui non conosceva l’esistenza. Impossibile trovare un equilibrio tra il grottesco, il pulp e lo strazio di Auschwitz. Hunters ci prova, e spesso ci riesce.
13Unorthodox – Netflix
Una miniserie che è “mini” per davvero: ed è già un plus. Bastano quattro puntate per raccontare l’epopea dell’ebrea ultraortodossa di Williamsburg che si dà alla macchia; per finire in una Berlino che può finalmente accettarla per quello che è, al di là dei dogmi. Qualcuno ha contestato i toni troppo edulcorati della parte tedesca, con il gruppetto di studenti del Conservatorio che sembra la Compagnia delle Indie dei vecchi spot: vero. Ma, se il racconto funziona (e funziona: soprattutto nel ritratto della comunità newyorkese), è merito soprattutto della protagonista Shira Haas, già lanciata dalla serie-capolavoro Shtisel e qui attrice totale, capace di reggere da sola l’intera narrazione: fino a una sequenza finale (cantata) da pelle d’oca. È lei l’interprete-rivelazione dell’annata: i premi dell’autunno/inverno di sicuro non se ne dimenticheranno.
12ZeroZeroZero – Sky Atlantic/NOW TV
C’è vita oltre Gomorra? Parrebbe di sì. Se al cinema quest’inverno è uscito L’Immortale, “origin story” dedicata al Ciro di Marco D’Amore, in tv è andata in onda questa serie, sempre tratta da un libro-inchiesta di Roberto Saviano, che potrebbe essere a sua volta un prequel ideale del capostipite di tutto. Prima di arrivare a Napoli, la cocaina fa il giro del mondo. E Stefano Sollima, il più “ammerigano” dei nostri registi, ci racconta questo viaggio come fosse un’avventura di James Bond, tra location che vanno dal Messico alla Calabria, facce giustissime (vedi i “fratelli” Dane DeHaan e Andrea Riseborough) e il solito senso dell’action contemporaneo. Lo sguardo è freddo, secco, scientifico: ma mai distaccato. E ormai capace di fare scuola.
11What We Do in the Shadows 2 – Fox
Dopo una prima stagione-capolavoro, la serie tratta dal mockumentary di culto by Taika Waititi and friends sui coinquilini allergici alla luce del sole è tornata con nuovi esilaranti contrasti fra la mitologia horror e i problemi quotidiani della vita moderna a New York. Come nell’episodio in cui i nostri succhiasangue preferiti vengono invitati dai vicini a una festa per il Super Bowl, ma sono convinti che si tratti di un celebrazione dedicata alla magnificenza del gufo (Superb Owl). E se nella prima stagione la star era il “vampiro energetico” del gruppo, qui si prende la scena Guillermo, il “servo” umano dell’ex soldato dell’Impero ottomano Nandor, che scopre di discendere dal leggendario cacciatore di vampiri Abraham Van Helsing. Attendiamo con ansia una prossima serie in cui i vampiri devono vedersela con la pandemia.
10Non ho mai – Netflix
Più che un teen drama, una teen comedy, ma non per questo meno intelligente e profondo. Devi è una studentessa al secondo anno di liceo con un trauma alle spalle, che ha messo a punto un piano: trovare un ragazzo per lei e per le sue amiche, perdere la verginità e non passare più per la sfigata della scuola. Fino a qui potrebbe anche sembrare la solita storia su un’adolescente emarginata, ma la creatrice Mindy Kaling caratterizza il racconto grazie alle origini indiane di Devi e alla continua tensione tra il suo desiderio di emancipazione e le inclinazioni più tradizionaliste della madre. Un piccolo capolavoro di scrittura, ironica e tenerissima, oltre che di interpretazione: avercene di esordiente come Maitreyi Ramakrishnan. E di voci narranti come la testa calda del tennis John McEnroe.
9Tales from the Loop – Amazon Prime Video
Un’elegia fantascientifica umanissima e raffinata che ha la stessa malinconia del motivetto (fin troppo) onnipresente (e fin troppo Philip Glass) scritto da Philip Glass. Non è una serie per tutti Tales from the Loop, come d’altra parte molti prodotti di Amazon Prime Video. Perché è lontana anni luce dal mainstream, dal linguaggio pop e dall’ispirazione ostinatamente Eighties di Stranger Things: preferisce lo storytelling lento, anche trascinato, i toni delicati, l’estetica rarefatta dei quadri dello svedese Simon Stålenhag, a cui è ispirata la storia. E come in ogni sci-fi che si rispetti, la macchina, in questo caso il “Loop”, costruito per sbloccare ed esplorare i misteri dell’universo, è solo il mezzo che costringe gli umani ad allargare la mente per comprendere e comprendersi, per trovare un senso al cambiamento, per andare avanti.
8The New Pope – Sky Atlantic/NOW TV
Morto un Papa (anzi no), se ne fa un altro: che è pure meglio del primo. Se non il fake-Pontifex (tra il nuovo dandy John Malkovich e il vecchio piacione Jude Law è francamente impossibile scegliere), di sicuro la seconda stagione è meglio della prima: più libera, inventiva, sorrentiniana ma senza macchiettismi. E con voli simbolici altissimi: senza spoilerare per chi ancora non l’avesse vista, nel finale arriva l’ipotesi di una guerra santa “homemade” che è il cortocircuito perfetto per raccontare la follia del nostro tempo. Regia e scrittura strepitose, playlist musicale da maestro, cammei extralusso (da Marilyn Manson a Sharon Stone) e una spalla sempre più monumentale: il Cardinal Voiello di Silvio Orlando, who else?
7The Great – StarzPlay
Una rivisitazione larger than life (pure nella durata: 10 puntate) a metà tra Marie Antoniette e La Favorita (lo sceneggiatore è lo stesso) della vita di Caterina La Grande, con una dose dichiarata di “politically scorrect” tale da essere rinfrancante. E da rendere necessario un disclaimer – “an occasionally true story“, una storia occasionalmente vera – ad accompagnare il titolo, che oggi si sa mai. La deliziosa Elle Fanning è sensazionale nel cogliere ogni sfumatura di Catherine, nata principessa russa e approdata sedicenne a una corte russa che pare Animal House. Ma innamoratasi tanto della sua nuova patria da voler organizzare un colpo di stato per salvarla dal marito Pietro III, un Nicholas Hoult mai così bravo, che fa del suo imperatore sadico e bambinone un villain quasi inconsapevole e accattivante. Da antologia la scena in cui Elle distribuisce macaron ai soldati senza mani al fronte: c’è una nuova reginetta della dark comedy a Hollywood.
6On Becoming a God – TimVision
La serie più sottovalutata del 2019? Eccola qua. Tanto che da noi è arrivata con quasi un anno di ritardo. Per fortuna adesso si può vedere: perché una parabola di anti-Sogno Americano (aridaje) come questa non si era mai vista. Produce George Clooney, e difatti si sente il sapore dei Coen in questa satira sociale infallibile: i pilastri su cui si fonda il capitalismo cascano uno dopo l’altro come tessere di un domino impazzito, in un groviglio di paradossi che la scrittura mette a fuoco alla perfezione. Ma questa serie non esisterebbe senza la prova debordante della sua protagonista Kirsten Dunst, anche lei l’attrice più sottovalutata della sua generazione. Datele quello che si merita: si può cominciare con un Emmy a settembre, che dite?
5L’amica geniale – RaiPlay
Pareva difficile superare il già ottimo risultato dei primi episodi, ma la seconda stagione tratta dall’amatissima saga di Elena Ferrante c’è riuscita, evolvendosi nel linguaggio, allargando il respiro cinematografico e guardando oltre il rione. Proprio come Lila e Lenù che stanno crescendo, stanno attraversando l’età in cui tutto cambia, quella della scoperta dell’amore, mentre anche l’Italia vive la sua adolescenza negli anni del boom economico, in cui il desiderio di potere, di ricchezza e di crescita sociale si traduce in lotta di classe. Saverio Costanzo arruola Alice Rohrwacher per avvicinare le ragazze al loro tempo durante un’estate di libertà (anche filmica) a Ischia. E continua il piccolo miracolo immaginato dalla scrittrice: portare la storia di un’amicizia tra due bambine, ragazzine e poi donne al centro di un racconto. Che ha cambiato per sempre la serialità italiana.
4The Mandalorian – Disney+
Prendi un greatest hits di Star Wars (con l’approccio manicheo di George Lucas, non quello sovraccarico di J.J. Abrams), aggiungi un pizzico di Kurosawa e agita con una bella dose di Sergio Leone: il risultato è esattamente quello che serviva a Disney per redimersi agli occhi dei fan duri e puri (e pure parecchio incazzati) di Guerre Stellari. E cioè uno spaghetti western spaziale, con al centro un cacciatore di taglie solitario, senza nome e senza volto (sotto l’elmo mandaloriano c’è Pedro Pascal) che vive ai margini della galassia. Il resto lo fa il compagno di viaggio del pistolero, vero e proprio colpo di genio dello showrunner Jon Favreau e soci: tutti pazzi per Baby Yoda. E per The Mandalorian.
3The Last Dance – Netflix
Una docuserie sportiva? Sì: la più bella di sempre. Ma non solo quello: si può tranquillamente scomodare Shakespeare, come spesso accade in questi casi. Perché l’ultima stagione dei Bulls di Michael Jordan diventa il pretesto per un racconto di uomini e di eroi, di glorie e di tradimenti, di guerre e di fantasmi. Il protagonista è un re ferito che, per la prima volta, si rivela più umano che mai. E poi c’è l’eterno secondo (non Toto Cutugno: Scottie Pippen) che non può puntare al trono, il conflitto tra Otello e Iago (il coach Phil Jackson vs il patron Jerry Krause) e persino un meraviglioso Falstaff (Dennis Rodman che fugge a Las Vegas). Per questo The Last Dance è diventata un fenomeno trasversale, capace di appassionare anche chi dell’NBA non conosce nulla. È questa la sua forza, questo il benchmark che d’ora in poi rappresenterà per qualsiasi serie (non solo) sportiva. Up in the Air (Jordan).
2SKAM Italia 4 – TimVision/Netflix
Il fenomeno teen che ha conquistato proprio tutti è tornato con i suoi episodi forse più complessi, profondi e delicati. Proprio come i suoi protagonisti meravigliosamente normali ormai all’ultimo anno di liceo, SKAM Italia ha fatto la maturità, superando l’esame più difficile sulla carta: la stagione dedicata a Sana (Beatrice Bruschi), ragazza italiana di seconda generazione e musulmana praticante, alla ricerca di un equilibrio tra i suoi valori e quelli delle amiche e della società occidentale. Tra splendide sequenze musicali, dialoghi magnifici nel loro verismo e attori giovani sì, ma sempre perfettamente in parte e con una chimica impressionante tra di loro, SKAM Italia (grazie anche all’arrivo su Netflix) è diventata definitivamente di culto. E non solo tra gli adolescenti.
1Tiger King – Netflix
Joe, Carole, e poi lo sdentato, lo zoppo, la ragazza senza un braccio, il marito doppio anzi triplo: freaks out, ma per davvero. La galleria di mostri (nel senso dinorisiano del termine) è l’altra faccia dell’American Dream, o forse l’unica possibile: non c’è sogno che tenga, ma solo disperazione umanissima, che per questo ci riguarda tutti. Nata come docuserie true crime che sguazza nel trash, Tiger King è diventata il colosso dell’anno: un trattato sociologico degli USA subito prima del Covid, ma capace di cavalcare l’onda anche durante la pandemia (vedi la puntata speciale girata con modalità videocall di gruppo). E un ritratto a suo modo doloroso, struggente, politico, bestiale: con gli animali veri – quelli del titolo chiusi dentro zoo improvvisati – che stanno a guardare il bestiario degli uomini. La serie dell’anno, senza discussione.