A sinistra c’è il finestrone da cui entrano voci e rumori che finiscono nelle canzoni. A destra ci sono gli strumenti: una Taylor con la cassa acustica piccola, un basso, una chitarra elettrica. In mezzo c’è la postazione di lavoro: una mini tastiera Akai da cui tira fuori gran parte dei suoni; un MacBook con Logic per manipolarli; un vecchio iPad regalato dalla madre su cui scrive i testi; un sintetizzatore palmare della Korg, «un giocattolino chiamato Monotron da cui cavo suoni di background onirici e spaziali». E poi, una scheda audio Apollo Twin; due casse ad alta fedeltà Yamaha; un microfono ammaccato col filtro antipop, «perché tutto parte dalla voce». Sul tavolo è poggiato lo smartphone su cui appunta idee strumentali e testi improvvisati. «Scrivo in modo istintivo. Dimenticherei tutto se non registrassi col telefono».
È in questa piccola postazione nella sua casa milanese che Viviana Colombo ha registrato le prime canzoni che ha pubblicato come VV. Sono otto. Le prime sette sono uscite fra il 2019 e il 2020 – si trovano su Spotify – e sono numerate in modo progressivo, da Moschino_01 a La distanza_07. L’ottava non è numerata. S’intitola Il giusto, è uscita a inizio luglio ed è sia l’evoluzione più avanzata di questo progetto di ricerca, sia il primo singolo dall’album di debutto che VV pubblicherà presumibilmente in autunno. È una canzone diversa dalle altre, non solo perché è stata rifinita nello studio del fratello della cantautrice, il produttore e batterista Giordano Colombo, uno che ha suonato con Battiato e lavorato con Ligabue (il secondo produttore è Federico Nardelli). È diversa perché lancia la collaborazione con l’etichetta Maciste Dischi e soprattutto perché mostra una scrittura pop più matura ed è cantata in modo magnificamente espressivo – del resto, come vedremo, VV è un’esordiente un po’ particolare. Il giusto è una canzone dolce e ammiccante sull’accettazione di sé e sulla ricerca di un certo equilibrio nella vita. «Lo so, la moderazione non è molto rock’n’roll», dice lei, seduta sul divano di casa. «Ma sono una tipa sanguigna, istintiva. Mi butto nelle cose e poi ci sto male. Il giusto dice: non ti fiondare nelle cose, la chiave per sentirsi bene è stare nel tuo equilibrio».
È stato durante una sessione di registrazione casalinga che VV è venuta fuori con la frase chiave del ritornello della canzone: “Mi sento come una città in un bosco, al verde”. È uno di quei versi che ti si appiccano in testa a dispetto del significato incerto. «È pura improvvisazione. Quando registro, chiudo gli occhi e parto col flusso di pensieri. Neanch’io so che cosa vuol dire. So che rimane. È una sensazione». Nonostante l’origine casalinga e l’etichetta che la pubblica, Il giusto ha una produzione e un’inclinazione al mainstream. Un po’ come tutto l’album che uscirà in autunno, spiega Giordano, non sono stati usati strumenti virtuali, «ma elettrici, acustici e tastiere analogiche vintage, tutti suoni che abbiamo poi trattato e che a volte sembrano digitali, ma non lo sono». Il risultato rimanda a certe produzioni italiane a cavallo fra anni ’70 e ’80 («Amo Battisti!», dice VV) e in altre canzoni più ritmate e per ora inedite la cantante ricorda una giovane Loredana Berté. Intanto c’è il video di Il giusto, che è stato girato da Jacopo Farina a Greenland, la cosiddetta Città Satellite, un ex parco divertimenti in provincia di Milano. «È un viaggio nella mia testa», dice VV. La stessa cosa potrebbe essere detta della sua musica.
Viviana Colombo ha appena finito di cantare Ti scatterò una foto di Tiziano Ferro alle blind auditions di The Voice of Italy. La inquadrano mentre, arrabbiata, abbraccia il fratello. Il voiceover di Federico Russo dice che «non bisogna abbattersi, per questa ragazza ci saranno altre possibilità». È successo nella precedente vita artistica di VV, quando ancora non aveva messo a fuoco chi era, chi voleva diventare, come arrivarci. Era il 2014. Oggi Viviana ha 31 anni e non ricorda volentieri quel periodo. «Ero insicura e non avevo le idee chiare. Mi hanno chiamato loro. Dire di no alle opportunità che mi si presentavano mi sembrava sbagliato. Mi pareva uno spreco, ecco».
Viviana si è trasferita a Milano un paio d’anni fa. È cresciuta nel comune brianzolo di Lentate sul Seveso. «Facevo cover nei localini. Magari iniziavo a incidere qualcosa di mio, ma ogni volta mandavo tutto all’aria, un po’ per perfezionismo, un po’ perché non mi ci ritrovavo». Nel 2014 ha vinto un concorso sponsorizzato alla Sony e da Motivi grazie al quale ha pubblicato, come Viviana Colombo, il video della cover di Tutti i miei sbagli dei Subsonica. «La cosa non è andata avanti: temevo di non avere capito chi ero». Quasi non la si riconosce: faceva un pop mainstream vecchia scuola, come se la rivoluzione indie non fosse mai accaduta, aveva i capelli stirati, indossava vestiti pseudoeleganti da aspirante pop star per famiglie. Cantava persino in modo diverso, più anonimo.
A The Voice of Italy è tornata nel 2016, «perché sono una tipa orgogliosa e ingenuamente volevo dimostrare ciò di cui ero capace». Ha passato le selezioni ed è entrata nel Team Pezzali. «Ma alla fine sono scappata da quella dimensione. Pensavo ci fosse spazio per fare musica come desideravo, e invece non c’era». Intanto scriveva e i contatti con altri autori l’hanno portata a fare i cori per Eros Ramazzotti (in Vita ce n’è), Francesco Gabbani (Amen), Raphael Gualazzi.
Quattro anni fa s’è laureata in psicologia. «Brancolavo nel buio. Dovevo fare una scelta. Non riuscivo a fare bene nessuna delle due cose, né la musica, né la psicologia». Uno stage in un ufficio che produceva corsi di formazione le ha aperto gli occhi. «Parlavo al telefono coi clienti e intanto pensavo ai miei testi. Mi sono detta: non è la mia vita, questa qui. Voglio fare quel che desidero. È stato un cambiamento profondo, finalmente mi sono accettata. Mi ero fatta idee sbagliate su di me per compiacere gli altri, anche mio padre che avendo fatto il musicista – era un batterista jazz nel giro dei locali milanesi come il Capolinea – temeva che una carriera nella musica sarebbe stata difficile».
Viviana ha «rivoluzionato la vita» e s’è iscritta al Conservatorio di Milano, indirizzo pop. «Ma non esiste un corso che ti dice chi sei a livello artistico. Fortunatamente dopo l’esperienza di The Voice avevo le idee strachiare: volevo scrivere le mie canzoni, volevo esprimermi. L’estetica di The Voice non era mia. Guardami, sono una maschiaccia». Indossa una maglietta dei Ramones e un paio di shorts scuri. «A The Voice ci sono stylist che ti consigliano e ti vestono. Anche tornare ai capelli ricci è stato un modo di segnalare che non ce n’era più per nessuno».
E così Viviana Colombo è diventata VV. «Il nome stesso è un modo per far capire che ora è tutto diverso. Sono VV perché sono io che decido tutto del mio progetto, anche di cambiarmi il nome che m’hanno dato alla nascita». Messa sotto contratto da Sony/ATV come autrice e da Maciste come artista, ha cominciato a registrare e pubblicare le sue cose in libertà. «Schiacciavo rec e usavo la prima take. Quelle numerate non sono canzoni perfette, ma avevo bisogno di esprimermi, di raccontare delle storie. Ho anche provato a rifare per bene i suoni, ma il risultato non aveva la spontaneità della prima take, che era sempre quella con la giusta intenzione. Non riuscivo nemmeno a fare una take dall’inizio alla fine senza rumori, perciò alla fine li ho lasciati dentro». I primi testi che pubblica sembrano flussi di pensieri non strutturati. «Non m’interessava che qualcuno li capisse. Volevo buttare fuori quel che avevo dentro, creare un mood. Poi ho cominciato a pensare che devo farmi capire da chi mi ascolta e allora ho iniziato a usare un linguaggio più diretto».
Più diretto e più curato. Da Dolcetto_06 in poi le cose sono cambiate. I pezzi sono stati finalizzati in un vero studio di registrazione, quello del fratello, e anche la qualità della ripresa delle voce è migliorata. «E quando è arrivato Il giusto mi sono detta: questa canzone si stacca dal flusso, ho raggiunto il culmine, voglio un nuovo inizio. Facci caso, Il giusto inizia con “io”: è come se finalmente volessi dire chi sono. Voglio farti entrare nel mio mondo». È un mondo trasfigurato in modo iper romantico da una sorta di poetica delle piccole cose. «Mi piace celebrare il quotidiano», dice. C’è sempre uno struggimento, però lieve, mai esagerato. «Sono una drama girl e scrivere per me significa ridimensionare le cose. C’è malinconia, sì, ma è ironica».
Viviana non sarebbe diventata VV se non avesse imparato a smanettare sui software musicali del fratello maggiore, mentre lui non era in casa. «Gli ho rubato… il giusto», dice sorridendo. Giordano la ricorda mentre «registra le sue cose in autonomia, quando non aveva nemmeno 18 anni. Al di là del talento vocale che è evidente, ora vedo una maturità che prima non c’era, soprattutto nella scrittura, nei testi. Sa farti vedere le cose da un altro punto di vista». Mentre il fratello parla, lei sorride e si copre il viso con le mani. Ora che VV non è più la ragazza col vestito in lamé che canta nei talent, dovrà abituarsi anche ai complimenti, quelli veri.