«Che male c’è se ho reso il surf uno sport popolare? L’oceano è grande, c’è posto per tutti», dice Kathy Kohner Zuckerman, 78 anni, al telefono con Rolling Stone dopo una sessione di jogging. Il mondo la conosce come Gidget, protagonista dell’omonimo libro scritto nel 1957 dal padre Friedrich Kohner, da cui sono stati tratti nel corso degli anni una serie interminabile di cult movie e show televisivi. Gidget rappresenta il punto di non ritorno: dopo la sua pubblicazione e il primo film con Sandra Dee del 1959, tutti volevano visitare Malibu, tutti volevano innamorarsi dei suoi surfisti, tutti volevano imparare a cavalcare onde su una tavola. «Ricevo di continuo e-mail da parte di registi che vogliono acquistare i diritti del libro. Credo che oggi più che mai il mondo abbia bisogno di una storia innocente e senza tempo come quella di Gidget; la gente ora ha voglia di vivere, e in acqua non devi indossare una mascherina». Oggi come ieri, Gidget, con la sua passione per l’oceano e i suoi modi di fare goffi e autentici, è la rappresentazione vivente della gioventù, della libertà e di tutta l’innocenza di chi a 16 anni è abbastanza vecchio per prendersi una cotta, ma troppo giovane per venirne a capo senza frantumarsi il cuore.
Con Gidget inizia il filone del surf movie che passando per Un mercoledì da leoni (1978) e toccando documentari sperimentali come Crystal Voyager del 1973 (a cui i Pink Floyd hanno donato l’epico brano Echoes), arriva fino a Point Break (1991). Quando il film spopolava al cinema, la vera protagonista della storia studiava al college in Oregon: «Alla fine Gidget non riuscirà a ottenere il ragazzo dei suoi sogni, ma capirà di avere conquistato le cose più importanti: prendere onde e trovare un suo posto a Malibu». È una storia di emancipazione femminile in un oceano ancora troppo sessista e dominato dagli uomini. Ma le cose stanno cambiando: Lauren Hill lo scorso maggio ha pubblicato il libro fotografico She Surf: The Rise of Female Surfing in cui dichiara che il 30% dei surfisti sono donne (anche se guardandomi intorno in acqua, non sembrerebbe sempre vero). «Io però non pensavo a cosa sarebbe successo 60 anni dopo. Non ho neppure considerato il surf una faccenda di gender, anzi, non so neppure relazionarmi con la parola gender, non mi ritengo particolarmente femminista. Ero solo una teenager che voleva fare surf, ma sono contenta se oggi ci sono più donne in acqua: sono persone e le persone hanno bisogno dell’oceano».
Kathy Kohner non sarà stata la prima surfer girl al mondo, ma è esattamente quella la figura che è andata a impersonare nella cultura popolare. Nel 1957 il surf era infatti ancora una novità, uno sport diverso come diverso è lo stile di vita che necessariamente comporta. La cultura underground a cui faceva capo è la stessa che ha accusato il film di averla resa una faccenda mainstream, ma c’è anche chi sostiene che negli anni ’60 la diffusione di questo sport sarebbe stata inevitabile. «Non c’erano altre teenager nella mia scuola che facevano surf», ricorda la Kohner. «Era considerata una cosa per pochi temerari, per gente diversa, e io mi sentivo diversa dalle mie amiche: non mi interessava lo shopping ed ero l’unica in classe ad avere vissuto per un periodo in Europa quando mio padre ebbe un lavoro a Berlino».
Friedrich Kohner era un autore e sceneggiatore originario dell’Austria, emigrato negli Stati Uniti nel momento in cui i nazisti cominciarono a rimuovere i nomi degli ebrei dai crediti dei film. Quando andò a vivere in California, lo scrittore prese l’abitudine di portare d’estate la famiglia a Malibu. «Guardavo i surfisti e pensavo: voglio farlo anch’io. Poi qualcuno mi portò con sé in tandem e decisi di comprarmi una tavola da Mike Doyle (figura leggendaria nel surf, nda) che pagai 35 dollari e che amavo da impazzire». Poiché era la più piccola e la sola donna in acqua con una tavola, veniva continuamente presa di mira dagli altri, dopotutto il soprannome che le hanno dato, Gidget, è la contrazione di “girl” e “midget”, ovvero nanerottola. «Mi nascondevano la tavola sotto la sabbia e mi sfottevano di continuo», ricorda la surfista che la sera sarebbe tornata a casa e avrebbe scritto nel suo diario di quell’universo parallelo lungo le coste di Malibu.
Si rese subito conto di avere materiale buono per scriverci un libro così ha ben pensato di affidare il compito al padre, nonché suo amico e confidente. Gidget: The Little Girl With Big Ideas è stato scritto nel giro di poche settimane e nel suo anno di pubblicazione ha venduto più copie di Sulla strada di Jack Kerouac. «Sapevo che conteneva tutti gli ingredienti giusti e diceva cose in gran parte reali: avevo davvero una cotta per uno dei ragazzi e c’era davvero chi viveva sulla spiaggia di Surfrider dentro una sorta di capanna fatta a mano». Una sistemazione del genere oggi sarebbe impensabile, anche se tutti sanno che gli sceriffi di Malibu chiudono un occhio per il paio di senzatetto, surfisti locali, con il furgone in pianta fissa sul parcheggio della spiaggia. Quanto all’atmosfera fuori dal tempo e la vibrazione condivisa dalla comunità, conferma Kathy Kohner, resta più o meno immutata nei decenni. «Oggi ci sono le telecamere e le applicazioni al telefono per vedere quando ci saranno onde, mentre una volta dovevi semplicemente guardare e aspettare. Eppure manca l’innocenza di un tempo, soprattutto per quanto riguarda la sessualità: noi non indossavamo costumi sexy, non esistevano neppure tutti questi brand di vestiti per surfisti». A dirla tutta, non si indossava nemmeno la muta e mi chiedo come facessero a resistere alle temperature gelide del Pacifico.
Cos’è Malibu per lei? «Il posto dove i miei genitori mi portavano da quando avevo 3 anni, è parte del mio dna, è nel cuore. Ora Duke è diventata la mia onda», dice la Kohner riferendosi allo storico ristorante hawaiano dove lavora come hostess da più di 10 anni e che ogni martedì ospita la riunione della Malibu Surfing Association. Prima dell’isteria Covid, era infatti molto semplice conoscere Kathy di persona: bastava entrare nel locale, prendere in mano il libro di Gidget in esposizione all’ingresso e contare circa 15 secondi finché la protagonista non ti sarebbe venuta incontro. «Mi manca parlare con la gente ma per ora dobbiamo stare attenti. Magari, virus permettendo, a gennaio ci organizzeremo una piccola festa: compio 80 anni anche se è davvero difficile per me accettarlo. Voglio dire, ti pare possibile?!». No, non mi pare, Kathy è tra le donne più energiche che conosco anche se sono 3 anni che non entra in acqua con la tavola. «Ora però ho deciso di tornare, questa chiacchierata mi ha ispirata. Invece di Gidget va Roma (come il film del 1963, nda) sarò Gidget torna a ‘Bu».