«Fumare marijuana non dà dipendenza. Ma coltivarla sì». Parola di Ed Neil, il biologo e botanico losangelino con una personale piantagione di cannabis a Malibu, sulle Santa Monica Mountains. Si sa che in California il vero drogato è colui che tiene in mano una sigaretta e non una canna (che qui si fuma rigorosamente senza mischiarla con il velenoso tabacco), e che le strade di Los Angeles sono ormai tappezzate di cartelloni pubblicitari per le innumerevoli farmacie di cannabis e servizi di consegna a domicilio. Quello che invece non si dice è che la legalizzazione non risolve il problema della criminalità organizzata, visto che la conversazione in materia è spesso posta in questi termini. Anzi, secondo Ed Neil, la favorirebbe. «Ci pensi bene l’Italia a fare la cosa giusta: sì alla legalizzazione, assolutamente, ma della marijuana terapeutica, come fa New York e Miami». Il motivo principale è che la legalizzazione senza freni a scopo ricreativo, sposata di recente dalla California (e da altri 9 Stati mentre quella terapeutica è legale in 33 Stati, qui la mappa), implica una produzione di tipo aziendale. «Il mio motto è: conosci il tuo contadino. Chiedigli se il prodotto è biologico e se sono stati usati pesticidi», consiglia Ed Neil che in passato è stato arrestato per una piantagione illegale. «Ora spiegami, come fai a conoscere il tuo contadino se a produrre erba è una corporation?»
Per chi ancora non lo sapesse, oggi in California basta essere maggiorenni ed entrare in un dispensario con un documento valido per acquistare qualsiasi quantitativo di erba. Prima invece, quando la cannabis era tollerata solo a scopo terapeutico, il consumatore avrebbe dovuto procurarsi una carta medica dal dottore che raccomandasse l’utilizzo della sostanza. Sia chiaro, ottenerla era facilissimo (lo è tutt’ora, anche se adesso nei 10 Stati in cui è tollerata a uso ricreativo serve solo per pagare meno tasse). Non bisogna neppure dimostrare di essere afflitto da una delle tante patologie che la marijuana ha dimostrato di aiutare, come glaucoma, dolori cronici, diabete, Parkinson, malattie osteoarticolari e autoimmuni, depressione, effetti collaterali della chemioterapia, ecc. A me ad esempio, è bastato dire al medico, in pochi minuti, che ho problemi d’insonnia e che non intendo introdurre nel mio corpo sonniferi chimici. Se dunque la reperibilità non cambia per il consumatore, è la qualità a entrare in gioco perché la differenza tra il prodotto ricavato da un sistema di marijuana terapeutica e quello da un sistema di uso ricreativo è la stessa che corre tra la produzione di un buon vino naturale, senza solfiti aggiunti, e uno invece industriale, carico di zuccheri e porcherie chimiche.
«Vengo da una famiglia super benestante, da bambino odiavo essere ricco: la tata mi portava a scuola, non avevo amici, mi facevano vivere in isolamento, è stato orribile», ammette Ed Neil che ha iniziato ad appassionarsi della botanica e a crescere piante a 8 anni e oggi ama vivere nella natura, come un eremita. «A 14 anni ho conosciuto le arti marziali che mi hanno portato ad avere un lavoro sul set dei Power Rangers: per 360 episodi ho indossato il costume di Lord Zedd e facevo da stuntman per altri ruoli della serie. Gli altri del cast erano tutti giapponesi, io ero il solo bianco».
È stato allora, nella piena illegalità degli anni ’90, che ha cominciato a coltivare qualche piantina di cannabis. «Poi la piantagione è divenuta sempre più grande e cominciavo a passarmela davvero bene. Lavoravo ancora come stuntman, ma odiavo la gente dello showbiz, sono gli stessi che vengono qui a Malibu a costruire case enormi e se ne fregano della natura». Neal, che nel corso degli anni si è raffinato anche come biologo marino, si è però messo nei guai quando ha voluto ampliare e spostare la sua piantagione di cannabis in Oregon, prima della legalizzazione. «Quando ho capito che c’era gente al corrente di ciò che stavo facendo, l’unica cosa da fare era nascondere le piante dagli elicotteri. Ma non ho fatto in tempo, così mi hanno beccato con 100 chili, 338 piante e 4 chili di prodotto finito». Era il 2005 e solo da pochi mesi tutte le accuse sono cadute, con lui che adesso si guarda bene dal cacciarsi di nuovo nei guai. Oggi in Oregon è legale coltivare fino a 10 mila piante, ma Ed Neil, una volta tornato nella sua California, ha preferito prendersi cura di sole 50, oltre al giardino botanico di erbe native di cui è esperto.
Perché le nuovi leggi che legalizzano la cannabis a scopo ricreativo non fermano il mercato nero? «È questione di cifre. Dove vige il sistema della legalizzazione terapeutica, il numero delle piante che si possono avere è limitato e di conseguenza il prodotto è migliore. Faccio un esempio: se hai una distesa infinita di piante e alcune si ammalano, come spesso accade, cosa fai per salvarle? Di tutto: fungicidi, pesticidi, erbicidi spruzzati su tutta la piantagione». Secondo Ed Neil almeno il 50% delle grandi corporation di cannabis sono foraggiate da denaro sporco e criminalità organizzata. «Russi, armeni, vietnamiti, salvadoregni e persino la Chinatown di Los Angeles sta investendo. Non li riconosci, non usano criminali, si nascondono dietro ragazzi con faccia e fedina penale pulita».
C’è inoltre un’ipocrisia di fondo, poiché sebbene i singoli Stati possano decidere su quale tipo di legalizzazione adottare, a livello federale la cannabis resta illegale, ed è dunque vietato alle aziende che la producono versarne i ricavati direttamente sulle banche. «That’s America, baby», commenta Neal. «È così che la criminalità organizzata continua ad ampliare il proprio business, spostando illegalmente denaro da uno Stato all’altro, ammazzando gente nel percorso». Inoltre, se è vero che la legge prevede un controllo governativo di qualità del prodotto, secondo il biologo californiano le grandi corporation ovviano il problema corrompendo gli esaminatori. «Sono in gran parte ragazzi pagati 20 dollari all’ora. Basta offrirgli una valigetta con qualche migliaia di dollari, che in una grande produzione sono meno di noccioline, e il gioco è fatto». In fin dei conti, il solo costo delle licenze per coltivare marijuana ricreativa è roba da criminalità organizzata: «Si paga fino a un milione di dollari solo per avere la licenza. Poi devi aggiungere un altro milione per avere il permesso di vendere il prodotto ai negozi». Per non parlare delle foreste rase al suolo al fine di far posto a queste enormi piantagioni, così che la luce possa filtrare sulle piante. E poi ci sono le tasse da pagare, tante, per produttore e consumatore.
Ovvio che anche in un sistema di cannabis terapeutica ci saranno aziende che proveranno a infrangere le regole e a produrre più di quanto potrebbero, ma la storia ha dimostrato che raramente sopravvivono a lungo, e spesso sono consegnati alle autorità dai proprietari delle piccole piantagioni che si vedono pesticidi spruzzati nelle loro vicinanze. «In Italia i prodotti della terra sono ottimi, non siete governati da grandi industrie alimentari come in America. Con la legalizzazione della marijuana terapeutica potreste ottenere prodotti fantastici, molto meglio di New York che per via del clima è costretta a coltivare indoor», sostiene Neil.
Cos’è Malibu per lui? «Un paradiso botanico. Non ci sono altri posti al mondo con la varietà offerta dalle Santa Monica Mountains: abbiamo primavera cinque mesi all’anno e 750 specie diverse di piante». Da poco ha scavato un tunnel lungo 15 metri dove sta costruendo ciò che ha definito una “caverna di lusso”, ovvero un bunker dal miglior interior design che lo difenderà da incendi, terremoti, tornado, uragani e altre catastrofi. Cosa volete che gliene importi a Ed della pandemia?